Il disvelarsi di un figlio gay. Momento di crescita come sposi, come genitori, come cristiani
Riflessioni di Corrado e Michela del gruppo “Davide” per genitori cattolici con figli LGBT
Dove sono i figli? … non si può avere un controllo di tutte le situazioni in cui un figlio potrebbe trovarsi a passare. Qui vale il principio per cui «il tempo è superiore allo spazio». Vale a dire, si tratta di generare processi più che dominare spazi. Se un genitore è ossessionato di sapere dove si trova suo figlio e controllare tutti i suoi movimenti, cercherà solo di dominare il suo spazio. In questo modo non lo educherà, non lo rafforzerà, non lo preparerà ad affrontare le sfide. Quello che interessa principalmente è generare nel figlio, con molto amore, processi di maturazione della sua libertà, di preparazione, di crescita integrale, di coltivazione dell’autentica autonomia.
Solo così quel figlio avrà in sé stesso gli elementi di cui ha bisogno per sapersi difendere e per agire con intelligenza e accortezza in circostanze difficili. Pertanto il grande interrogativo non è dove si trova fisicamente il figlio, con chi sta in questo momento, ma dove si trova in un senso esistenziale, dove sta posizionato dal punto di vista delle sue convinzioni, dei suoi obiettivi, dei suoi desideri, del suo progetto di vita. Per questo le domande che faccio ai genitori sono: «Cerchiamo di capire “dove” i figli veramente sono nel loro cammino? Dov’è realmente la loro anima, lo sappiamo? E soprattutto: lo vogliamo sapere?».
Se la maturità fosse solo lo sviluppo di qualcosa che è già contenuto nel codice genetico, non ci sarebbe molto da fare. La prudenza, il buon giudizio e il buon senso non dipendono da fattori puramente quantitativi di crescita, ma da tutta una catena di elementi che si sintetizzano nell’interiorità della persona; per essere più precisi, al centro della sua libertà.
È inevitabile che ogni figlio ci sorprenda con i progetti che scaturiscono da tale libertà, che rompa i nostri schemi, ed è bene che ciò accada. L’educazione comporta il compito di promuovere libertà responsabili, che nei punti di incrocio sappiano scegliere con buon senso e intelligenza; persone che comprendano senza riserve che la loro vita e quella della loro comunità è nelle loro mani e che questa libertà è un dono immenso. (Amoris Laetitia, n.261-262)
Ma quando i nostri figli mostrano un progetto diverso da quanto ci aspettavamo, che succede? Che fare ?
E’ inutile negarlo: quando abbiamo realizzato con certezza, circa 15 anni, fa che l’ultimo dei nostri tre figli era omosessuale è stato come un terremoto che ha scosso dalle fondamenta la nostra vita di sposi e di genitori.
Una domanda ci ha assalito: Che sarà di lui? Non tanto per noi, ma per lui che succederà ?
Questa domanda ha bruciato nel nostro cuore per tanto tempo.
Tuttavia poi abbiamo capito che questa realtà nuova che si presentava è stata lo strumento prezioso e fecondo che il Signore ci ha dato per riscoprire, approfondire, vivere con intensità la nostra promessa sponsale: aiutarci e sostenerci l’un l’altro in ogni condizione e situazione della vita.
Il dialogo tra di noi si è fatto più profondo e incessante sostenuto dall’ascolto quotidiano della parola di Dio e da quello che essa ci chiedeva in quel giorno, in quel momento.
Ecco allora un’altra domanda bruciante: cosa vuoi Signore da noi. Quale mistero d’amore vuoi farci scoprire?
Attraverso un cammino faticoso di ricerca, di ascolto, e di pazienza reciproca è cresciuta la nostra intesa, abbiamo sperimentato una maggiore tenerezza, la bellezza di rivederci ogni giorno con occhi nuovi, la gioia e la grazia di sentire la presenza del Signore in mezzo a noi.
Per lunghi mesi o anni il proponimento è stato: “abbracciamoci ogni giorno, guardiamoci negli occhi, ascoltiamoci con cuore aperto l’un l’altro e ascoltiamo quanto il Signore ha da dirci e da darci in questa avventura. Seguiamo il Maestro. Chiediamogli dove abita”.
E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. (Giovanni 1,37-39]
Noi abbiamo voluto fermarci presso di Lui. Anzi, abbiamo invitato Lui a casa nostra.
E parlando con Lui, spesso lo abbiamo provocato dicendogli: “Quella Grazia che tu ci hai promesso quel giorno del nostro matrimonio ce la devi dare, dobbiamo sentirla, dobbiamo sperimentarla, dobbiamo viverla tra di noi e con nostro figlio. Facci sentire la tua presenza Signore. Aiutaci Signore a far sentire a nostro figlio che è amato e accolto, così come tu ci ami e ci accogli per come siamo. Fà in modo che la nostra paternità e maternità possa fargli gustare la Tua Paternità e Maternità“.
Talora abbiamo pianto, più spesso ci siamo sentiti sollevati, rincuorati dalle parole della Scrittura come quando dice: “Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessuna delle cose che hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure formata. Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non l’avessi voluta?” (Sap 11,22-23).
Spesso abbiamo riletto e meditato Luca 2, 43-51.
…ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.
Ci siamo sentiti molto vicini a Maria e Giuseppe quando ricercavano il loro figlio che pensavano disperso “non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui”.
Si va alla ricerca di un figlio “perduto” perché lo pensavamo o volevamo diverso.
Nel frangente del disvelarsi del figlio, non lo riconosciamo più!!
Tuttavia Maria e Giuseppe lo cercano insieme, chiedendosi l’un l’altro e nella carovana “dove mai sarà?”, confidandosi le angosce e le paure per cosa mai sarà successo.
Per ben 3 giorni non sapevano che pensare, se non che dovevano sostenersi l’un l’altro e magari piangere insieme.
Nessuno degli amici e dei parenti sapeva né poteva confortarli dando loro magari un suggerimento o una speranza.
Difficilmente troveremo risposte al difuori di noi, al di fuori della nostra alleanza sponsale, tra noi e nel Signore.
Questa alleanza sponsale ci ha fatto sperimentare la Grazia di vedere una luce nel buio delle incertezze, dei dubbi, della sofferenza.
Inoltre essere sposi nel Signore, avere riscoperto il nostro patto sponsale ci ha aiutato in modo insostituibile ad essere genitori migliori: “tuo padre e io ti cercavamo” Lc 2, 48,
Ci ha aiutato a superare l’angoscia del primo impatto.
Si, l’angoscia provata da Maria e da Giuseppe:” Figlio perché ci hai fatto così,…… angosciati ti cercavamo ….!”.
Angoscia che nasce dal dispiacere, dal non capire, dal non capacitarsi di come possa essere successo proprio a noi e dal non trovare soluzioni.
Angoscia che nasce dalla mancanza di senso, del sentirsi falliti, dall’aver mancato un compito.
Angoscia che è come un dolore vivo nella tua carne
Angoscia tuttavia, che è stata condivisa e perciò resa sopportabile.
Questa è la possibilità che ci è data: portare un peso insieme, per poi gioire insieme.
E’ attraverso questo dialogo continuo, questo confronto e a volte anche questo scontro di opinioni, che abbiamo preso una più profonda consapevolezza del fatto che nostro figlio non ci apparteneva; che su di lui c’era un piano, un progetto d’amore di Dio unico e irripetibile e che il nostro compito era aiutare lui a scoprirlo passo passo, continuamente: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? “.
Gesù in quella frase ci dice che i figli non ci appartengono, ci sono dati in custodia, perché possiamo aiutarli a scoprire sé stessi; a scoprire quel piano d’amore pensato per loro e che va accolto come tale perché, comunque, racchiude la loro realizzazione, la loro felicità.
Esiste un piano scritto in ogni figlio o figlia, unico e irripetibile che tuttavia è misterioso “ma essi non compresero”, anche doloroso, ma che comunque è pensato per il loro bene.
Non solo.
Porta a compimento anche il nostro progetto, il nostro bene di sposi e di genitori; ci aiuta a trarre fuori da noi la parte migliore che neppure pensavamo di avere.
È stato un cammino di riflessione e di consapevolezza lungo, talora difficile, comunque sostenuto da un pensiero forte: “Noi vogliamo essere sopra di te Simone per proteggerti, al tuo fianco per sostenerti, dietro di te per raccoglierti quando cadrai”.
Spesso nei primi tempi l’invocazione è stata: “Signore non farci scendere da questa croce, ma facci stare su di essa con nostro figlio, accanto a lui, non farlo sentire solo”.
Poi, come nel mistero pasquale, abbiamo scoperto, sperimentato e toccato con mano che questa croce porta in frutto la speranza, la gioia, la serenità: il dialogo che per alcuni anni si era quasi interrotto, è ripreso fecondo e quotidiano e vediamo nostro figlio sereno.
In quest’esperienza di travaglio doloroso è come se avessimo generato di nuovo nostro figlio: ci sentiamo genitori due volte.
Questo è sembrato per noi il significato della frase “Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore”, cioè, Maria, meditando queste cose nel suo cuore le custodiva come cose preziosissime, perle d’amore, distribuite dalla Provvidenza per lei, diventando via via sempre più madre, fino ad essere “La Madre”, che ai piedi della croce abbraccia tutti noi, l’umanità intera.
Meditare nel nostro cuore quanto Dio ci pone davanti e ci fa vivere, ci ha fatto infine capire il senso profondo di abbandonarci a Lui e alla sua volontà, di fidarci di Lui e di affidarci a Lui completamente.
Tre sono le armi a nostra disposizione a cui affidarci/di cui fidarci:
La Grazia dello/a sposo/a che il Signore ci ha messo accanto.
La Grazia del Sacramento.
La Grazia della Parola.
Poi abbiamo scoperto la Grazia del Gruppo. Ma questa è un’altra storia
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Per contattare Corrado e Michela del Gruppo Davide Parma scrivere a: corradoemichelagruppodavide@gmail.com