Il don risponde. Cosa deve fare un gay per non essere in peccato?
Email inviataci da Salvatore, risponde don Luca
Sono un gay dichiarato, che da circa un mese ha una relazione con un fervente cattolico, il cui ostacolo alla prosecuzione della nostra relazione è la posizione della dottrina cattolica. Quali forme di rapporto affettivo sono consentiti a persone dello stesso sesso, senza che si incorra nel peccato e conseguente impossibilità di vivere una vita nella pienezza di Dio?
Salvatore
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La risposta…
Come vivere senza peccare? Eheh… gran bella domanda la tua! Se lo sapessi te lo direi. Il problema è che, se paradossalmente avessi la risposta, peccherei di presunzione e quindi la mia soluzione non sarebbe buona. Potrei dirti, rispondendo in senso stretto alla tua domanda, che voi dovreste vivere la vostra relazione senza esprimere il vostro amore attraverso l’esercizio della genitalità (che in parole povere vuol dire niente sesso).
Ma non lo farò: la continenza è una cosa difficile per me che l’ho scelta (ma che è giusto che rispetti perché l’ho appunto scelta), non immagino cosa possa essere per voi che ve la vedete imporre. Ti invito a rileggere la risposta che diedi a Rosaria che mi scrisse qualche settimana fa e dove, rispondendo a lei, credo di rispondere un po’ anche a te.
Vorrei, però, soffermarmi anche su un’altro aspetto che emerge dalla tua mail e che per me è importante affrontare. Mettiamo che tu riuscissi a vivere la continenza (supponendo che sia la cosa giusta da fare), questo sarebbe sufficiente per porti nella condizione di essere nella pienezza di Dio? Ti porrebbe nella condizione di non peccare? Assolutamente… NO.
Il libro dei Proverbi ci ricorda che “il giusto [il santo, ndr] pecca sette volte al giorno” (e nella numerologia biblica il sette è il numero della pienezza, della completezza). Nella tua domanda, che mi formuli in modo molto garbato, parti da un punto di vista sbagliato: tu vuoi sapere come vivere senza peccare, riducendo così – perdona l’azzardo interpretativo – la fede ad un mero rispetto di regole comportamentali della seria ce l’ho, mi manca… dai dai che se resto sotto 60 sono promosso e vado in paradiso.
Questo è il modo di credere del fariseo che pensa di essere puro perché rispetta alla lettera le 630 prescrizioni che la legge gli imponeva. Ma il messaggio che il Signore ci ha portato è qualcosa di ben più grande che supera questa visione ipocrita della fede, tanto è vero che definisce il fariseo “sepolcro imbiancato: bello fuori ma putrido dentro”.
La fede non è un insieme di regole da rispettare, non è uno stile di vita o una filosofia… se io riducessi la mia fede a questo: povero me. Ma davvero povero me! No, la fede è sopra a tutto l’incontro con una persona che parla al mio cuore e che lo trasforma con il suo amore e la sua misericordia, poi verrà tutto il resto: ma sarà una cosa che è la conseguenza di quell’incontro che ho fatto con il Signore, non un insieme di cose da fare aprioristicamente, stile lista della spesa…
E nella mia quotidianità non posso credere di essere immune dal peccare, come ti dicevo sopra. Però del mio peccato non devo avere paura, ne vergogna, ne credere che il confessore possa giudicarmi quando sbaglio (ti assicuro che noi preti le combiniamo ben più grosse di voi, per cui vai tranquillo :-)).
Se prendi in mano il Vangelo ti renderai conto di come al Signore poca importa, in realtà, dei nostri peccati. Prova a leggerti la parabola del figliol prodigo, o della pecorella smarrita o dell’adultera lapidata… in ognuno di questi brani il Signore mette prima di tutto l’uomo non il suo peccato.
Del mio peccato, al Signore, non gliene frega assolutamente nulla. A lui interesso io, non il mio peccato: e questo stampatelo a caratteri cubitali nel cervello.
Prendi per esempio la parabola del figliol prodigo che è forse la più conosciuta: quando il figlio ritorna a casa per chiedere perdono, il padre appena lo scorge gli corre incontro (e se ne frega altamente che il correre fosse a quei tempi una cosa disonorevole… pensa un po’ quanto grande era la sua felicità, e chi se ne frega se il figlio gli ha mangiato mezzo patrimonio e se ha disonorato il nome della sua casata… questo figlio era perduto ma ora è stato ritrovato, era morto ma ora è tornato in vita… non il suo peccato, non suo errore interessa al padre ma che questo figlio ora c’è, ora è qui, ora è vivo). Questo padre, credi a me, ha perdonato il figlio un secondo dopo che era partito e da allora aspettava solo di festeggiare il suo ritorno.
E questi figli prodighi siamo ognuno di noi: io, te, il papa… ognuno di noi. E quando sperimentiamo il peccato (e TUTTI lo sperimentiamo) lasciamoci allora abbracciare da Dio nel sacramento più bello e più gioioso che ci sia, quale è quello della Riconciliazione (e non banalizziamolo chiamandolo confessione) nel quale sperimentiamo, allora più che mai, l’abbraccio paterno e materno di Dio che appena mi vede sulla soglia del confessionale, come il padre della parabola, incomincia già a fare festa, e si fa carico del mio peccato, del mio errore e mi chiede di ricominciare, ANCORA UNA VOLTA, sulla Sua parola, ricordandomi che il Suo amore, la Sua misericordia e la Sua fedeltà è per sempre. Su coraggio, amato figlio di Dio.
don Luca