Il dubbio e la carità contro l’etica della verità
Recensione di Lucio
L’ultimo libro di Gustavo Zagrebelsky, – presidente emerito della corte costituzionale ed autorevolissimo giurista italiano, docente all’università di Torino – ha un titolo provocatorio: Contro l’etica della verità. Quindi in favore della falsità?
Ovviamente no: verità qui è contrapposta a dubbio, come è evidente in un libro-intervista dello stesso autore : La virtù del dubbio. Il tema è radicale: la verità come possesso (patrimonio, verrebbe da dire) contrapposta alla verità come ricerca, come processo continuo: un tema che appassiona la filosofia dai tempi di Socrate e Platone.
Ma ai giorni nostri, con l’avanzare dei fondamentalismi e con gli interventi sempre più decisi (e dirompenti) del Vaticano, non sono riflessioni inattuali o, peggio ancora, astratte e accademiche.
Il libro di Zagrebelsky (Contro l’etica della verità, Editori Laterza, 2008, pag 165) raccoglie interventi pubblicati in diverse occasioni – spesso su Repubblica – ma animati da una unità di fondo: l’analisi dei valori “fondanti”: la verità, la fede, la giustizia, l’identità, la democrazia, la coscienza umana e descrive come questi valori siano intesi ed usati dalla chiesa e dalla politica del nostro paese: un ritratto impietoso ma, nello stesso tempo, una riflessione sugli strumenti concettuali per cambiarlo. Sono molti gli spunti utili di questo libro: ne isolo solo alcuni.
Il dubbio contro le verità’ possedute
Già nel titolo un tema basilare: la difesa della verità. Chi crede di possedere la verità non accetta un vero dialogo: se io ho la verità perché devo dialogare? Al massimo posso convincere chi io so che è nell’errore, o tollerarlo, in attesa che la “mia” verità trionfi.
Questo è purtroppo l’atteggiamento che in questo momento sembra predominare nella chiesa cattolica e nei suoi vertici: si sente investita del possesso della verità e questa sua convinzione regola i suoi rapporti con la società (e lo stato, specie in Italia) e con le coscienze individuali.
Il vaticano interviene su tutto: la famiglia, la procreazione, la definizione di morte, i rapporti sessuali, la scuola, perfino l’arte contemporanea (come l’intervento del papa contro un’opera temporaneamente esposta al museo d’arte contemporanea di Bolzano: la rana crocifissa).
La chiesa ritiene che i suoi interventi siano non solo legittimi, ma addirittura cogenti per i fedeli: ritiene di avere il patrimonio della verità ( il depositum fidei) e di essere ispirata da dio. Ma questo atteggiamento provoca due importanti domande: è questa la verità come proposta nel vangelo e nel messaggio cristiano? Può questo concetto di verità conciliarsi con la democrazia e la convivenza dei diversi nella società attuale?
La risposta è no, ad entrambe le domande. La democrazia richiede il considerare pari a noi l’altro, anche se è “infedele”: alla “extra ecclesia nulla salus” ( nessuna salvezza fuori dalla chiesa) si deve contrapporre che “lo Spirito soffia dove vuole”.
La verità per il cristiano è “persona” ( “io sono la verità”), è seguire Cristo, non brandire le tavole della legge. Questo non significa non avere principi e valori in cui credere, ma comprendere che essi richiedono una ridefinizione continua e un confronto alla pari con gli altri.
“Ciò che occorre è che tutte le convinzioni e le fedi per quanto profondamente radicate, cessino di essere verità e si trasformino in opinioni quando diventano pubbliche nel rapporto degli uni con gli altri:” (pag.164)
Nella conclusione Zagrelbesky richiama, sulla scorta di grandi filosofi e teologi contemporanei, l’obbligo dell’umiltà per il credente, che le sue posizioni siano di ascolto, dialogo, di revisione continua.
Riporta due meravigliose citazioni bibliche sull’ascolto della voce di Dio: Elia che sul monta Oreb ( 1 Re 19, 11-12) non riconosce il suono di Dio nel tuono, nel terremoto, nel vento impetuoso, ma in una brezza sottile che richiede attenzione per essere individuata.
Il salmo 62 “ Una parola ha detto l’Eterno, due ne ho udite” a significare il dubbio, l’assillo di non aver ben compreso, che è la condizione essenziale di chi vive nella fede ( qui forse in contrasto con la religione).
“Di fronte a ciò la pretesa dell’uomo, quale sia il posto occupato nella società dei credenti, di ostentare una verità, sostituendo la propria unica parola a quella duplice sussurrata da Dio, può apparire perfino blasfema; e l’obbedienza passiva che ad essa viene prestata addirittura idolatria.” ( pag 165)
L’etica della carità contro l’etica della verità
La verità come possesso, secondo la contrapposizione vero (noi) falso (gli altri), comporta una etica “basata sulla verità” (cioè sul suo presunto possesso) contro una etica basata sulla carità, cioè sull’amore e sulla misericordia: L’etica della verità taglia il giusto e lo sbagliato conlinea astratte a priori; è l’etica dei principi nei cui confronti i casi concreti, la vita vissuta non conta.
E’ l’etica degli imperativi categorici, che non si fa carico delle conseguenze: fiat justitia, pereat mundus (sia fatta la giustizia, costi quello che costi!). Questa concezione etica muove spesso la chiesa: è giusto (noi possediamo la verità) e va fatto; le decisioni sono sconcertanti, secondo il senso comune della pietà: negare il matrimonio religioso a un disabile ( perché manca la possibilità dell’atto sessuale fecondo) come ha recentemente fatto un vescovo laziale, o rifiutare il funerale religioso a Welby (nel dibattuto caso sulla sua morte) come deciso dal cardinale vicario di Roma.
Ma questa etica della verità ha veramente basi solide, dal punto di visto filosofico, giuridico e, soprattutto, evangelico? No, é solo una triste conseguenza di una discutibilissima visione “patrimoniale” della verità.
Quanto a Gesù, sempre usa il parametro della misericordia, della carità, mai quello dei principi di legge.
All’etica della verità si contrappone (e le due logiche non sono conciliabili) l’etica dell’amore, del caso concreto, del male minore (o meglio, del bene maggiore), del qui ed ora, del possibile contro i principi assoluti.
La natura e’ fondamento dell’etica?
L’etica dei principi è “etica naturale”? La “ natura” viene spesso messa come fondamento “oggettivo” dell’etica. Noi omosessuali lo sappiamo bene: la nostra è una condizione “contro natura” quindi immorale, o, con un curioso termine scovato dalla Chiesa, “disordinata”, oggettivamente disordinata .
Oggettivamente, non soggettivamente: la chiesa è maestra di finezze: un gay potrebbe essere casto e puro in pensieri e opere, – cioè soggettivamente – ma in quanto gay è oggettivamente disordinato: non può dire peccatore, perché se uno non fa, non pecca, ma un “disordine morale” ce l’ha comunque: una specie di peccato originale aggiuntivo!.
La chiesa riprende continuamente il concetto di morale naturale: famiglia naturale ( cioè uomo-donna; e che dire della poligamia ammessa come naturale dall’islam?), morte naturale (qui poi le cose ora sono davvero complesse: cessare di respirare, morte cerebrale o che altro?), nascita naturale (anche qui le cose sono complesse: nell’utero? Unione di gamenti? Primo respiro?).
La catena del ragionamento è abbastanza semplice: la natura, creata da dio , ha un ordine; la morale consiste nel seguire questo ordine e la chiesa, ispirata da dio è l’unica autentica interprete dell’ordine “naturale” cioè “oggettivo”: solo la chiesa è maestra di verità per tutti gli uomini.
Ma, dimostra Zagrabelsky, il concetto di natura “oggettiva” è estremamente ambiguo, anzi inconsistente. Riporta della pagine impressionanti con cui i nazisti, in nome del diritto naturale, giustificavano la soppressione dei disabili: in natura i deboli e i malati non soccombono? Non è questa la legge di natura?
Il diritto e l’etica non possono fondarsi sul concetto di natura, che è impossibile da definire rigorosamente, ma sull’accordo tra gli uomini, su valori condivisi e continuamente ridefiniti.
Il servo della gleba era ritenuto, per natura, inferiore fino alla rivoluzione francese; la donna era, per natura, inferiore, fino alla parificazione dei nostri giorni; noi gay siamo, per natura, inferiori ai normali, almeno finora! Ma sappiamo bene che tutto questo con la natura non c’entra!
Un libro utile anche per noi gay!
Il testo di Zagrabesky non è facilissimo da leggere, ma ci dà (a tutti, ma a noi gay in particolare) degli strumenti concettuali importanti per far emergere le contraddizioni dei nostri avversari, specie dalla gerarchia cattolica e per superare i sensi di colpa interiorizzati (“sono immorale! Sono contro natura!”)
Richiamo in sintesi alcuni concetti: l’idea della natura come fondamento oggettivo della morale è contraddittoria; “natura” è un concetto prodotto dall’uomo, che cambia a seconda delle diverse culture; non c’è una natura “oggettiva”. La morale e il diritto nascono nel cuore degli uomini e dal continuo confronto tra di loro.
La verità, secondo fede e secondo ragione, non è un possesso di cui qualcuno ha l’esclusiva, ma una continua ricerca e progresso.
L’etica di Gesù è basata sull’amore, sui casi concreti, sulla vita reale, non sui principi astratti. Queste idee vanno sostenute e applicate nella società, tra noi cittadini, per garantire una convivenza migliore, ma anche nella chiesa e tra noi fedeli, per costruire una testimonianza più vicina al Vangelo.
Gustavo Zagrebelsky, Contro l’etica della verità, Editori Laterza, 2008, pag 165
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