Il fantasma lesbico nella cultura europea del primo Novecento
Articolo di Lidia Borghi tratto da Orizont Literar Contemporan (Romania), n.4 (24), luglio/agosto 2011
«Trovo che questo evento sia stato un gesto di grande utilità sociale. Perché le lesbiche, nella nostra società, sono ancora più isolate e discriminate dei gay.
I gay maschi sono stati in qualche modo già sdoganati dai media, anche se la tv non riesce ad andare al di là delle macchiette».
Così si è espresso, dalle pagine elettroniche di Vanity Fair Italia il giornalista Luca Bianchini a proposito del matrimonio fra la deputata italiana Anna Paola Concia e Ricarda Trautmann, svoltosi a Francoforte, in Germania, il sei agosto 2011 con rito civile tedesco.
È vero, il mondo lesbico, in Italia, è pressoché sconosciuto ai più, nascosto, passato sotto silenzio, come vuole la tradizione maschilista patriarcale di una nazione che, durante il ventennio fascista, diede il colpo di grazia alle donne che amano le donne, confinandole in un subcontinente assai vario, fatto di prostitute, femmine mascoline, sterili e zitelle.
Eppure quelle rappresentanti del genere umano esistevano, vivevano, amavano – di nascosto – spesso protette da matrimoni di facciata con uomini altolocati, con tanto di prole al seguito. E, se quelle donne erano famose, il nascondimento si rendeva alle volte superfluo, poiché le loro relazioni lesbiche erano avallate da mariti indulgenti, sposati più per convenzione che per amore.
Che cosa garantiva a quelle reiette della società di poter continuare ad amare, riamate, altre donne, nel segreto delle loro finte vite?
Poche erano le lesbiche, nella prima metà del ventesimo secolo, che furono in grado di individuare il proprio orientamento sessuale altro e di accettarlo e poche furono coloro che riuscirono a metabolizzarlo, al fine di instaurare stabili relazioni d’amore.
Per il resto le lesbiche, in Italia e, spesso, nel resto d’Europa, non esistevano; al massimo erano fantasmi senza alcuna importanza a livello culturale e civile.
Che cosa accadeva, invece, nel mondo della cultura europea al femminile? Alcuni casi di lesbiche famose potranno chiarire un poco la faccenda.
Mentre in Europa si era da pochi anni formata la Triplice Alleanza fra Italia, Germania ed impero Austro-ungarico, a Ravenna nasceva Cordula “Lina” Poletti, una femminista italiana ante litteram che amava la poesia, il teatro e la letteratura, indossava abiti di taglio maschile, scriveva, viaggiava e viveva lontana dal conformismo.
Nerina Milletti e Luisa Passerini, le curatrici del libro Fuori della norma. Storie lesbiche nella prima metà del Novecento, l’hanno definita un’amazzone italiana, rifacendosi al circolo cultural letterario parigino che, ai primi del Novecento, era stato fondato da Natalie Clifford-Barney; al suo interno erano presenti letterate ed artiste del calibro di Renée Vivien, Isadora Duncan, Colette, Romaine Brooks e Anna de Noailles.
La sua influenza giunse ben presto in ogni angolo d’Europa, Italia compresa, influenzando non poco la mentalità delle donne di cultura dell’epoca, fra cui la stessa Poletti e Sibilla Aleramo, una delle sue più famose amanti insieme ad Eleonora Duse, l’attrice drammatica più nota d’Italia.
Cordula si laureò a Bologna nel 1907 con Giovanni Pascoli, il che avrebbe potuto anche essere accettato all’interno di una città conformista come Ravenna, ma la spregiudicatezza di questa ragazza, allora poco più che ventenne, finì per cozzare con il conformismo della provincia emiliana.
Né la Poletti mostrò mai affetto per la sua città natale, nella quale portò avanti le sue prime battaglie femministe da lesbica dichiarata, con il solo intento di sovvertire, infine, il vieto ordine sociale maschilista e paternalista.
Cordula, detta “Lina”, ebbe un vero e proprio colpo di fulmine quando incontrò per la prima volta la scrittrice Sibilla Aleramo. Fu al quinto congresso nazionale del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane.
Era il 1908 e Lina aveva solo ventitré anni. Sibilla di anni ne aveva trenta ed era già famosa: il suo romanzo più noto, Una donna, era uscito solo due anni prima di quel fatale incontro. Poco tempo dopo la pubblicazione della sua storia personale, il testo venne definito “la bibbia del femminismo”.
A presiedere il consesso femminista fu la contessa Gabriella Spalletti Rasponi, classe 1853, di Ravenna, figlia di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte, nonché sorella di quell’Eugenia Spalletti Rasponi che diventerà, di lì a dieci anni, l’amante e la convivente della Poletti.
Un rapporto amoroso che durò all’incirca quattro decenni.
Cordula non era solo intransigente in tema di pari diritti e pari dignità per uomini e donne: era una delle poche partecipanti a quel congresso in grado di riconoscersi lesbica e, nel momento in cui i suoi occhi si posarono su quelli di Sibilla Aleramo, la sua grande determinazione le suggerì di provare a conquistarne il cuore, nonostante la donna fosse seguita in ogni circostanza dal compagno, il poeta Giovanni Cena e malgrado il fatto che mai, prima d’allora, una donna era riuscita a sconvolgerne i sentimenti.
Ecco come descrive quel profluvio di sentimenti amorosi la stessa Aleramo: «Stanotte non ho dormito… No, neanche lavorato… Pensato, sì… Come ti avevo vista staccata sullo sfondo, iersera, la tua figura isolata e imperiosa… Non t’aspettavo più quando comparisti…
Oh, ma lo sai il posto che hai preso nella mia vita? È qualcosa di così strano… Mai, mai… Ho la sensazione che lascerai un solco in me…» (Sibilla Aleramo, Lettere d’amore a Lina, a c. di Alessandra Cenni, Roma, Savelli, 1982, pag. 25).
La risposta di Cordula non lascia spazio a dubbi: «E nel sentimento di una dignità che non si lascia vilipendere, che sfida con sereno occhio la malignità e la malafede universale per affermare davanti al vizio o alla miseria il proprio diritto all’ascesi del perfezionamento, io Vi saluto sorella, o dolce e fiera Albunea, Sibilla Tiburtina. Io mi preparo ancora.
Voi siete già innanzi, lasciatemi la gioia di pensarvi presto radiosa nel sole» (Sibilla Aleramo, Lettere d’amore a Lina, a c. di Alessandra Cenni, Roma, Savelli, 1982, pag. 76).
Sibilla si gettò nelle braccia di Lina durante la primavera del 1909, a Firenze e, dopo di allora, diversi furono gli incontri d’amore fra le due, consumati sempre nella clandestinità. Due anni di passione tormentata, fino al 1910, quando le due donne raggiunsero il punto di rottura: Cordula era consapevole del suo orientamento sessuale lesbico, Sibilla no.
I suoi dubbi iniziali, in merito al sentimento che la legò a Lina, lasciarono quasi subito il posto ad un’idea di relazione fra donne che voleva travalicare i limitati confini degli amori vissuti fra persone del sesso opposto: ciò di cui la Poletti e la Aleramo erano alla ricerca era un legame che fosse in grado di mantenerne intatte le rispettive identità personali, al di là dei facili stereotipi che, ancora oggi, In Italia, rendono vano il dibattito per il riconoscimento dei diritti civili alle persone omosessuali.
A sentirsi stanca di questo legame fu, però, Lina: solo due anni dopo l’inizio della liaison con Sibilla, la Poletti conobbe la grande attrice drammatica Eleonora Duse, con la quale intesse un’altra travagliata storia d’amore, subito dopo essersi legata in matrimonio con il suo concittadino Santi Muratori.
Da qualche anno la Duse si era ritirata dalle scene poiché sofferente a causa di una pesante forma di depressione; incontrò Lina a Roma, l’una poco più che cinquantenne e l’altra venticinquenne. Nelle parole della curatrice Alessandra Cenni (autrice del saggio Ritratto di un’amazzone italiana: Cordula Poletti, 1885-1971, in Fuori della norma.
Storie lesbiche nella prima metà del Novecento, Rosenberg & Sellier, 2007, a c. di Nerina Milletti e Luisa Passerini), la grande attrice viene descritta come «un’amante materna, oltre che amica e protettrice.
Non era la sua, come per i maschi Pigmalioni, una ricerca di signorine povere da forgiare, quanto una contemplazione adorante e speculare delle giovani di talento non aiutate dalla società ad affermarsi (…)» e, nel caso di Cordula, se ne sentì fin da subito affascinata, anche se volle tenerla a debita distanza, causando una forte ansia nella povera poetessa ravennate, in balìa di un vero e proprio turbine di sentimenti: «Eleor, ti amo. Eleor, ho fede in te. Eleor, vengo: prenderò un giro un po’ lungo, ma fra qualche giorno son lì. Eleor, anima mia!» (Lettera di Cordula Poletti a Eleonora Duse, 22 agosto 1910. Fondo Sister Mary, Fondazione Cini, Venezia).
E così ebbe inizio quella che Alessandra Cenni ha definito la “tormentata convivenza” fra l’attrice drammatica e la poetessa. Le liti erano all’ordine del giorno.
Il carattere duro e tempestoso della letterata ravennate cozzava con quello egemone e capriccioso dell’attrice di teatro più grande che l’Italia abbia mai avuto. La loro storia d’amore si spezzò per sempre nel 1912, a Venezia.
La Poletti tornò a Ravenna e riprese a scrivere. Nel frattempo scoppiò il primo conflitto mondiale, al termine del quale, nel 1918, Lina rinsaldò la sua unione con la donna che le resterà accanto, come amante, per il resto della vita, la marchesa Eugenia Spalletti Rasponi, nota suffragetta italiana che, perciò, aveva da tempo rinnegato le sue origini nobiliari a favore del femminismo.
Fu l’impegno politico comune ad avvicinare ancor di più le due donne, nonostante il fatto che il loro legame non fu meno turbinoso dei due precedenti di Cordula. In questo caso, però, a far traballare ben più di una volta la storia d’amore fra la Poletti e la marchesa Eugenia fu l’ostilità della popolazione ravennate, tanto che le due amanti decisero di spostarsi nella Capitale.
A legare l’attivista femminista e la poetessa furono molti elementi, fra cui la raffinata sensibilità artistica di Eugenia.
Le due vissero more uxorio per più di quarant’anni, condividendo una quotidianità che molte donne lesbiche, in Italia, ben conoscono, fatta di conti da pagare, pulizie domestiche, incontri pubblici, relazioni private, amore e litigi, il tutto condito da innumerevoli viaggi in diverse parti del mondo. Eugenia morì nel 1958, Cordula nel 1971.
Marguerite Antoinette Jeanne Marie Ghislaine Cleenwerck de Crayencour, alias Marguerite Yourcenar, nacque a Bruxelles nel 1903, tre anni prima che Cordula Poletti si laureasse a Bologna, con una tesi sulla canzone nella poesia del Carducci. Figlia di un ricco possidente francese dalla grande cultura, non conobbe mai la madre, morta di setticemia nel metterla al mondo.
La piccola Marguerite mostrò la sua propensione per la cultura fin dai primi anni di vita e venne iniziata dal padre alla passione per i viaggi, che non l’abbandonò mai.
Trasferitasi con il padre a Parigi subito dopo la morte della nonna paterna, avvenuta nel 1909, lì iniziò gli studi superiori in letteratura, grazie ad alcuni precettori privati; il suo primo romanzo venne pubblicato nel 1920, con lo pseudonimo di Marg Yourcenar, anagramma del suo cognome vero. Marguerite aveva solo diciassette anni.
Nel 1937, di ritorno da Londra, dove aveva incontrato la scrittrice Virginia Woolf, a Parigi, nel bar dell’hotel Wagram, la giovane letterata conobbe la studentessa universitaria statunitense Grace Frick, colei che le restò accanto per tutta la vita. Marguerite stava conversando di letteratura con un tale e Grace si inserì nel dialogo.
La mattina seguente la ragazza americana le fece pervenire un foglio su cui aveva scritto l’invito a raggiungerla nella sua stanza, al fine di osservare insieme il volo degli uccelli sopra i tetti di Parigi. La scrittrice accettò. E scoccò il colpo di fulmine e, con esso, un legame d’amore indissolubile, che cessò solo con la morte di Grace, quarant’anni più tardi.
Quella ragazza americana, sua coetanea, aveva qualcosa che attirò Marguerite in modo irresistibile: colta, ironica, intelligente e assai fine, con questi doni e con un fascino irresistibile Grace riusciva a compensare una natura che, in fatto di bellezza, con lei non era stata benigna.
Quando Marguerite le chiese di seguirla nel suo viaggio lungo le coste del Mediterraneo, Grace accettò. Fu un viaggio d’amore – una vera e propria luna di miele – che portò le due amanti a visitare Capri, quale ultima tappa del loro percorso, nel 1937.
Sulla nota isola campana la Yourcenar affittò La Casarella, in via Matermaria, all’imbocco della strada che porta all’Arco Naturale.
Fu un mese di luglio meraviglioso, fatto di lunghe passeggiate, di cene a lume di luna, con i Faraglioni a far loro da scenario naturale. Grace era più alta di Marg e soleva cingere con un braccio le spalle dell’amata.
All’inizio di agosto del 1937 le due donne partirono per Napoli, dal cui porto si imbarcarono separate. La scrittrice franco-belga tornò a Losanna, la studentessa a New York.
Marguerite sentì di non poter restare separata da Grace ancora per molto e finì per accettare l’invito dell’amante di recarsi in America.
A settembre di quello stesso anno Marg si imbarcò per raggiungere Grace a New Haven. Le due restarono insieme fino alla primavera successiva, quando la Yourcenar fece ritorno in Europa. La seconda guerra mondiale era alle porte. Marg tornò, sola, a Capri. Lì ricominciò a scrivere.
Ad ottobre del 1939 la scrittrice si imbarcò di nuovo per gli Stati Uniti. Ad accoglierla su una banchina del porto di Bordeaux era il piroscafo California, che la condusse a New York. Ad attenderla, in porto, c’era la sua amata Grace, che la condusse in un appartamento di Riverside Drive.
Lì ebbe inizio una convivenza matrimoniale che solo la malattia della donna americana riuscì a spezzare.
Qualche tempo dopo, quando in Europa imperversava il secondo conflitto mondiale, Marguerite si stabilì, insieme a Grace, a Mount Desert Island, sulle coste del Maine.
Otto anni più tardi le venne data la cittadinanza statunitense e, sulle coste a picco sul mare del Maine, diede vita al capolavoro della sua attività di scrittrice, le Memorie di Adriano.
La passione mai sopita per i viaggi riprese di lì a poco. Con la sua amante fece il giro del mondo e si fermò solo quando la sua Grace si ammalò.
La sua lotta contro il cancro, durata vent’anni, la vide soccombere nel 1979. Marguerite le sopravvisse per otto anni e morì nel Maine all’età di ottantaquattro anni.
È difficile trovare storie d’amore fra donne che vissero nell’Europa del ventesimo secolo.
Come tanti fantasmi, esse resteranno per sempre imprigionate fra le pieghe del tempo, in una sorta di altro mondo fatto di lettere intrise di sconforto, sospiri trattenuti, gesti appena accennati, baci furtivi, lacrime disperate, incontri clandestini fatti di rapporti carnali consumati alla svelta, lontano dalle convenzioni sociali.
Eppure quelle donne, che si sentissero lesbiche o meno, quei legami li hanno vissuti fino in fondo.
Hanno amato e sono state amate, hanno sofferto, lottato con le unghie e con i denti, pur di mantenere intatti i loro legami amorosi con altre donne, sfidando la presunta regola etero-normativa del tempo che – si stenta a crederlo ma è così – permane intatta ai giorni nostri. Il pregiudizio sociale e quello cattolico sono stati in grado di mantenere integra quella regola mai scritta.
Ci vorranno decenni per sgretolarla e ben venga ogni sforzo per far riemergere dai fumi del tempo quei fantasmi lesbici, spesso nascosti fra le pagine di fonti storiche volutamente passate sotto silenzio dal maschilismo imperante.
FONTI:
http://popup.vanityfair.it/2011/08/08/se-paola-ama-paola/
A c. di Nerina Milletti e Luisa Passerini, Fuori della norma. Storie lesbiche nella prima metà del Novecento, Rosenberg & Sellier, 2007
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/Libri/grubrica.asp?ID_blog=54&ID_articolo=781&ID_sezione=80&sezione=
Ciro Sandomenico, Il “viaggio di nozze” di Marguerite a Capri, Liguori, Napoli, 2001