Il figliol prodigo visto dalla parte del padre
Riflessioni bibliche di Carlos Osma pubblicate sul blog Homoprotestantes (Spagna) il 25 settembre 2014, liberamente tradotte da Dino
Quando, quasi duemila anni fa, Gesù spiegò la parabola del figliuol prodigo, immaginava che i suoi ascoltatori la collocassero nel proprio mondo simbolico. Penso che ogni persona descriverebbe la casa del padre buono in modo diverso, in base alla propria esperienza.
Qualcosa di simile facciamo noi persone LGBT, o almeno dovremmo farlo, se non continuiamo ad ostinarci a leggere il testo biblico essendo chi non siamo.
È per questo che, tornando a leggerla oggi, mi sono fatto alcune domande riguardo all’apparente solitudine del padre buono: aveva un compagno distratto che non si occupava dell’educazione dei loro figli? era un padre single e doveva combattere con l’educazione di due figli, mentre cercava di avere una vita affettivo-sessuale discretamente sana con altri uomini? il suo compagno era morto? Poi mi sono venuti altri dubbi: i figli erano adottati, dati in affido, erano di un precedente matrimonio eterosessuale fallito? o un’amica si era offerta per dar loro i figli che avevano sempre sognato di avere?
Alla fine mi sono reso conto che nessuna di queste domande, o le loro risposte, sembrano avere importanza quando cerchiamo di avvicinarci al messaggio che, con la parabola, il maestro voleva trasmettere. La realtà è che niente di tutto questo è essenziale, e per questo motivo tutti, indipendentemente dalle nostre circostanze e dal modello di casa che siamo capaci di costruire per il padre buono e i suoi due figli, siamo ugualmente chiamati a riflettere su quello che Gesù intendeva insegnare. Non c’è nessuno a cui il maestro non racconterebbe la sua parabola, non c’è nessuno a cui venga chiesto di dissimulare se stesso o di separarsi da ciò che è per poterla ascoltare e applicare alla propria esperienza.
Cosicché, senza uscire dalla nostra realtà LGBT, mi chiedo se la figura del padre buono della parabola rifletta qualcosa di noi e se, dopo duemila anni, abbia ancora qualcosa da insegnarci.
“Era ancora lontano quando suo padre lo vide; e provando compassione per lui gli corse incontro e lo ricevette abbracciandolo e baciandolo. Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro Dio e contro di te, e non merito più di essere chiamato tuo figlio’. Ma il padre ordinò ai suoi servi: ‘Prendete subito gli abiti migliori e vestitelo; mettetegli anche un anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello ingrassato e uccidetelo. Mangeremo e faremo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato a vivere, si era perso ed è stato ritrovato!’ E poi cominciarono a festeggiare… questo irritò così tanto il fratello maggiore che non voleva entrare, cosicché il padre dovette uscire a pregarlo di entrare… Il padre gli disse: ‘Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo. Ma adesso dobbiamo far festa e rallegrarci, perché tuo fratello, che era morto, è tornato a vivere, si era perso ed è stato ritrovato [1]’.
Esperienza di abbandono. I due figli abbandonano il loro padre. Il figlio prodigo se n’è andato perché pensava che la felicità e la libertà si trovassero lontano dal padre, e che insieme a lui sarebbe vissuto sempre nell’oppressione. Il figlio maggiore si era allontanato molto prima perché, se anche vivevano sotto lo stesso tetto, non lo facevano come padre e figlio ma come padrone e servitore. Il padre era oggetto di un abbandono che portava con sé la cancellazione di ciò che significava essere padre. Entrambi i figli avevano fatto sparire davanti ai loro occhi la figura del padre, che non esisteva più come tale per nessuno di loro. Il rapporto fra i tre era stato destrutturato e la conseguenza di tutto ciò era che il padre, ma anche i figli, erano rimasti soli.
Credo che di questa esperienza noi persone LGBT possiamo parlare ampiamente. Nell’esperienza di cancellazione vissuta dal padre vediamo riflessa quella che anche noi abbiamo vissuto tante e tante volte. La destrutturazione dei legami famigliari o dei rapporti fraterni all’interno della comunità cristiana che l’omofobia ha provocato nei nostri riguardi è ben esemplificata in ciò che i figli hanno fatto al padre buono. Una volta o l’altra siamo stati resi invisibili in mille modi e forme diverse, abbiamo visto negata la possibilità di dire chi siamo e come siamo, chi amiamo e cosa ci piace, quali sono i nostri sogni, o in che cosa vogliamo modificarci; in molteplici occasioni le nostre famiglie o le nostre comunità hanno deciso di spezzare i legami che ci uniscono, quelli dell’amore, per cercare di isolarci e farci pagar caro il fatto di non essere come essi desideravano che fossimo. Alla fine non siamo né figli, né sorelle, né madri, né nonni… alla fine non siamo fratelli o sorelle nella fede, alla fine la famiglia sembra essere completamente distrutta.
Essere capaci di rispettare la libertà degli altri. Il padre non si oppose alla partenza di nessuno dei suoi figli, visse la sua propria realtà, rispettando quella dei suoi figli e permettendo che fossero liberi. Certo, questa libertà causò la negazione di se stesso (come padre) e la perdita di coloro che amava. Ma rispettò la libertà di coloro che non lo trattarono come meritava, forse perché non rinunciò alla libertà di essere chi era: il loro padre. Non accettò mai la negazione, era consapevole di essa, ma soprattutto era certo della sua identità e che questa identità lo univa ai suoi figli.
Credo che questo comportamento nella parabola abbia molte cose da dire a noi persone LGBT. La maggior parte di noi ha fatto l’impossibile per non perdere le persone che amava. Abbiamo taciuto, abbiamo nascosto i nostri sentimenti o abbiamo accettato il disprezzo affinché i nostri figli, genitori, amici o Chiese di cui facevamo parte non ci abbandonassero. Ma alla fine questo cammino non ha portato la liberazione, ci ha invece costretto a vivere imprigionati nei ricatti omofobici di chi tanto amavamo. Tuttavia nella parabola che Gesù ha narrato tanto tempo fa si afferma che soltanto quando siamo capaci di concedere libertà agli altri, anche se li perdiamo per sempre, possiamo raggiungere la nostra. Solo quando siamo liberi da stupidi pregiudizi siamo capaci di lasciar andare chi non può ancora sfuggire da essi. Libertà di essere e di permettere di essere, questo è uno dei messaggi più diretti e che nella parabola maggiormente interrogano noi persone LGBT.
Mostrarsi attivi, credere che i cambiamenti siano possibili e avere in essi una parte attiva. Il padre sarebbe potuto rimanere nella sua casa pensando che il figlio minore non sarebbe mai tornato o, in occasione della festa, essendo certo che il figlio maggiore non sarebbe mai entrato. Ma in entrambi i casi esce dal luogo dove si trova e va da loro senza negarsi; è il loro padre e come tale agisce. Si mostra sempre attivo, tende la mano alla riconciliazione, sa che i suoi figli hanno sbagliato, ma per lui è una festa che scoprano essi stessi il loro errore e vogliano tornare a casa. Non c’è nessuna recriminazione, né vincitori né vinti, tutti escono vincenti se accettano l’altro così com’è.
La percentuale di persone LGBT che lavorano per trasformare il loro ambiente è molto maggiore rispetto a qualsiasi altro gruppo che io conosca. Poche persone LGBT del mio ambiente hanno gettato la spugna con il loro padre, la loro madre, i figli, i fratelli o con la loro Chiesa; credono sempre che ci sia una possibilità, che ci sia ancora speranza che qualcuno dei loro esseri amati superi la propria omofobia e vada verso la casa comune per abbracciarsi così come ognuno è, senza negazioni. Molte persone omosessuali dell’ambiente a me vicino escono ogni giorno dalla festa della riconciliazione e dell’amore in cui vivono per ricordare a qualcuno che ha negato loro l’identità che anche lui è invitato alla festa. Mani tese sempre, come il padre buono… e mentre questa mano continua a tendersi, il suo ambiente circostante può essere trasformato e riconciliato. Si tratta di non perdere mai la speranza, ma allo stesso tempo di non far dipendere la felicità dall’atteggiamento che altre persone hanno verso di noi. Mano tesa, da quello che siamo, per amare gli altri così come essi sono.
Sul perdono. È evidente che nella parabola Gesù parlava di un Dio che perdona sempre e che se ci paragoniamo a questo amore infinito che Egli ci dimostra ci sentiamo ben poca cosa. Dio ama sempre, Dio perdona sempre, con Lui è sempre possibile ricominciare, avere un’altra possibilità. E questo ci riempie di forza, ci fa sperare, perché sappiamo che non ci considera mai persi, che non dipende da quello che facciamo o non facciamo, che il suo amore sarà sempre lì con noi. Sappiamo che chi mette limiti all’amore di Dio è perché non lo conosce davvero. Chi puntualizza con un “ma” questo amore è perché confonde l’amore umano con quello divino. Dio ci ama, tutti e tutte.
Noi persone LGBT siamo chiamate ad imitare questo amore ed è difficile farlo quando devi amare qualcuno che ti rifiuta, ti insulta, fa una caricatura di qualcosa che tu non sei, fa del male alla tua famiglia o vuole metter fine ad ogni rapporto con te. Ma anche così, l’invito di Gesù nella parabola continua ad essere valido: dobbiamo imitare l’amore del padre buono. Credo sinceramente che molte persone LGBT ogni giorno rendano visibile questo amore, anche se in modo imperfetto. Vedo molto amore quando un padre è capace di abbracciare nuovamente la figlia con la quale non si vedeva e non parlava da anni perché era omosessuale. Vedo l’amore del padre buono quando una figlia decide di prendersi cura della madre malata che l’aveva disprezzata dal momento in cui le disse di essere lesbica. Ma vedo amore anche nel fratello che ha perdonato la sorella con la quale non sarà mai d’accordo perché non è un buon esempio per i nipoti. Non sempre l’amore è in grado di far nascere la riconciliazione, a volte un padre continua a vivere nella sua casa, felice di essere chi è e di aver educato due figli liberi, sapendo però che non potrà condividere la sua vita con loro. Anche in queste circostanze è necessario aver perdonato.
Per imitare il padre buono abbiamo bisogno di non allontanarci da casa, di non rifiutare chi siamo né di umiliarci e annullarci per ottenere l’affetto di qualche figlio che è incapace di vedere più in là di quello che egli stesso è. Per imitare il padre buono dobbiamo dimenticare di trasformarci in eroi o eroine o di pensare che alla fine tutto andrà bene. Dobbiamo soprattutto allontanare da noi il risentimento per il dolore sofferto e capire che gli altri hanno il diritto di sbagliare, di scegliere un cammino terribile che non solo li allontana da noi ma anche da Dio e, cosa importantissima, da ciò che essi sono. E quando avremo messo fine al risentimento e potremo vivere felici con noi stessi, in quel momento saremo capaci di ricevere con un abbraccio paterno quelli che tanto ci hanno fatto soffrire. E se non facessero ritorno non dovremmo rassegnarci, è sempre possibile tornare a costruire un’altra famiglia nella quale l’amore sia veramente ciò che ci unisce.
Testo originale: Parábola del padre gay que recobra a su hijo.