“Il giorno che verrà”. L’abbraccio pasquale di tre parrocchie fiorentine ai cristiani LGBT e ai loro genitori
Riflessione di Giuseppina D’Urso del gruppo Kairos di Firenze
E’ facile cadere nella retorica e nell’apologia ripensando a quanto vissuto come Kairós, il gruppo di cristiani LGBT e dei loro genitori di Firenze, durante il recente triduo pasquale. Essere parte attiva in tre distinte comunità, nei riti che hanno caratterizzato il Giovedì Santo, il Venerdì Santo e la notte di Pasqua, è stata un’assoluta e splendida novità, segno di una parte della Chiesa che riesce realmente a essere popolo di Dio. Comunità una e molteplice allo stesso tempo. In cui ognuno possa presentarsi senza maschere con la propria identità, non solo come spettatore, ma anche come attore. Accettato come persona nella sua interezza.
Come attori siamo stati chiamati a partecipare, in una prima parrocchia, alla lavanda dei piedi, in cui un sacerdote ha voluto chinarsi su di noi, richiedendo esplicitamente la nostra presenza alla cerimonia, e facendosi servo anche nostro; come attori siamo stati chiamati, in una seconda parrocchia, a elaborare una nostra riflessione sotto la Croce in una sentita celebrazione del Venerdì Santo. Infine come attori siamo stati chiamati, in una terza parrocchia ad animare, in un dialogo, la parte conclusiva della Veglia di Pasqua.
Difficile pensarlo fino a tempi recenti, che un gruppo di omosessuali con i loro genitori potessero avere cittadinanza senza filtri in una serie di cerimonie del tempo pasquale. Come qualunque credente.
Applicando il Vangelo, che ha visto Cristo venire a liberare soprattutto gli oppressi e gli emarginati. Perché dalle periferie della storia ne divenissero centro:
“Seme gettato nel mondo, Figlio donato alla terra,
il tuo silenzio custodirò
In ciò che vive e che muore
vedo il tuo volto d’amore:
sei il mio Signore e sei il mio Dio.
Io lo so che Tu sfidi la mia morte io
lo so che Tu abiti il mio buio
nell’attesa del giorno che verrà
Resto con Te.” (Gen Verde)
Essere rimasti in Cristo, in periodi oscuri, credere che si potessero aprire spazi di riconoscimento, ha permesso di vivere queste esperienze: “il giorno che verrà”.
Don Giovanni, della parrocchia di Sant’Antonio da Padova al Romito in Firenze, ci tratta come amici di lunga data. Lava i nostri piedi, cena con noi, collabora con noi, insieme con la sua comunità, all’animazione della liturgia del Giovedì Santo. E, da ultimo, partecipa con noi al rally delle sette chiese.
Don Andrea, di Sant’Andrea in Percussina (vicino Firenze) vedendoci arrivare ci abbraccia uno ad uno. Improvvisa e ci chiede di intervenire durante la Veglia. Ci ringrazia per la nostra presenza e le nostre parole, non più di vergogna o di nascondimento. Ma di piena presa di coscienza di chi e cosa siamo. Umani fra gli umani. Che nella notte di Pasqua celebrano la vita come espressione dell’amore. Di un amore che, per essere veramente tale, è liberante. Privo di confini.
Ricordando Bonhoeffer (morto il 9 aprile 1945) che ha parlato di un Cristianesimo non religioso, che dalle realtà ultime è ridisceso alle penultime: “La Chiesa non sta lí dove vengono meno le capacità umane, ai limiti, ma sta al centro del villaggio“. Sulla Terra. Perché Cristo ha vissuto una vita pienamente umana, con tutte le gioie e i dolori che essa comporta. Accettandola per quella che è, senza vie di fughe.
“Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi. In questi cammini le persone sono aiutate a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità; a discernere le migliori forme per realizzarlo. (Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, 27 ottobre 2018, n.150)