Il Guado compie trent’anni. Un segno per tutti i cristiani omosessuali
Lettera aperta de Il Guado, gruppo di ricerca su Fede e Omosessualità di Milano, del 12 dicembre 2010
Ecco! Ci siamo! Tra qualche giorno, il 20 Dicembre (20101), il Guado compie trent’anni: la data di inizio delle attività ce la possiamo ricordare grazie agli appunti di don Domenico Pezzini (a cui va, in questo momento di difficoltà, il nostro ricordo affettuoso). Era il 20 Dicembre del 1980.
C’era un’altro mondo: l’Europa orientale era ancora controllata dal PCUS di Breznev e negli Stati Uniti veniva eletto un presidente che parlava della Russia come dell’«Impero del Male» e che, per contrastare i piani sovietici sull’Afghanistan, appoggiava la resistenza organizzata dai Talevani; le Germanie erano ancora due, la Jugoslavia e la Cescoslovacchia erano ancora unite, mentre l’URSS era una immensa federazione che non aveva ancora perso i tanti stati che ai giorni nostri, fanno da corona alla Federazione Russa.
C’era un’altra Italia. Il Presidente del Consiglio si chiamava Arnaldo Forlani ed era un democristiano, mentre al Quirinale c’era un ex partigiano molto amato dalla gente.
Massimo D’alema era appena diventato segretario della federazione giovanile di un partito che non aveva problemi a chiamarsi comunista.
Umberto Bossi era iscritto all’ennesimo anno come fuori corso all’Università di Pavia e aveva appena dato vita a una “Unione Nord Occidentale Lombarda per l’Autonomia” su cui nessuno era disposto a scommettere.
Gianfranco Fini era da poco stato imposto come segretario ai giovani missini dal leader indiscusso dell’estrema destra italiana che si chiamava Giorgio Almirante.
Silvio Berlusconi era un imprenditore edile legato al partito socialista di Bettino Craxi e iscritto a quella loggia massonica segreta che si chiamava P2.
Anche Milano era molto diversa. Non era certo la Milano multiculturale del razzismo e delle tensioni xenofobe che conosciamo ora, ma non era nemmeno la Milano da bere che sarebbe nata negli anni ottanta: il terrorismo mordeva ancora e la buona borghesia della città si era trasferita in quei ghetti dorati che erano in alcune città satellite costruite ad hoc, con tanto di portineria comune, di vigilanza privata e di televisione via cavo che offriva finalmente un’alternativa alla noiosa programmazione RAI.
E che dire, infine, della Chiesa cattolica? Archiviato il tormentato pontificato di Paolo VI era ormai chiaro che si stava andando incontro a una fase completamente nuova.
Nessuno era però ancora riuscito a indovinare le linee guida che avrebbero ispirato il pontificato di questo cardinale polacco dal nome inconsueto che era stato eletto papa poco più di due anni prima.
A Milano era appena arrivato come arcivescovo un biblista famoso che si chiamava Carlo Maria Martini e a Venezia era stato mandato come patriarca un vescovo che era considerato uno degli ispiratori della “scelta religiosa” compiuta dall’Azione Cattolica e tanto criticata da Comunione e Liberazione.
Joseph Ratzinger era da poco diventato arcivescovo di Monaco e la sua missione restauratrice a Roma non era ancora prevedibile.
Ma anche noi omosessuali eravamo diversi. Il movimento usciva da un decennio in cui una piccola minoranza aveva fatto un lavoro formidabile di elaborazione e di approfondimento che però non aveva avuto nessuna conseguenza sulla vita dei tanti omosessuali che vivevano nel terrore di essere scoperti.
E se Mario Mieli poteva pubblicare per uno dei più prestigiosi editori di sinistra i suoi «Elementi di critica omosessuale», centinaia di omosessuali vivevano nel terrore di essere scoperti e rifiutati dall’ambiente in cui vivevano.
Non è un caso che, proprio nell’estate del 1980, quando Ferruccio Castellano, faceva partire il primo campo di Agape su Fede e Omosessualità, a Giarre, in provincia di Catania, due giovani omosessuali si erano fatti uccidere per sottrarsi alla vergogna che la loro condizione di omosessuali poteva procurare a loro stessi e alle loro famiglie.
Scosso da questa notizia, don Marco Bisceglia, prese la decisione di dar vita all’Arcigay, ridando un respiro nazionale a un movimento che, dopo l’esperienza del Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano, si era disperso in decine di rivoli localistici.
Dalla chiesa gli omosessuali si aspettavano un’approvazione che non è mai arrivata. E questo atteggiamento è continuato per anni, visto che ancora nel 1992, durante l’annuale campo di Agape su Fede e Omosessualità, si facevano i conti con una realtà ecclesiale che aveva scelto di non considerare gli omosessuali credenti degli interlocutori.
Fu in quell’occasione che qualcuno iniziò a pensare che siamo noi stessi che dobbiamo, per primi, accettarci per quello che siamo, senza più attendere dalle nostre chiese una benedizione e un’approvazione che avrebbero potuto non arrivare mai.
In questi trent’anni possiamo dire di essere diventati dei cristiani «adulti», anche se dobbiamo tristemente constatare che, al contrario di quanto accadeva trent’anni fa, nella chiesa cattolica di oggi, i cristiani «adulti» vengono guardati con il sospetto di chi vive la testimonianza della propria fede come l’appartenenza a una struttura di marketing che deve preoccuparsi di dare all’esterno un unico messaggio deciso dall’alto.
Trent’anni fa eravamo come le donne descritte nel primo finale del Vangelo di Marco che, dopo aver visto, nel sepolcro di Gesù, un giovane dalle vesti bianche che le invita a dire ai discepoli che il Messia li precede in Galilea, fuggono via e non dicono niente a nessuno, «perché avevano paura» (Mc 16,8).
Il Signore però ci esorta a non avere paura e ci ripete quello che, nel secondo finale dello stesso Vangelo, dice agli undici quando appare loro mentre erano a tavola: «Andate per tutto il mondo, predicate il vangelo a ogni creatura.
Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato; ma chi non avrà creduto sarà condannato.
Questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: nel nome mio scacceranno i demoni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti; anche se berranno qualche veleno, non ne avranno alcun male; imporranno le mani agli ammalati ed essi guariranno».
Ma per vivere finalmente in pienezza quel mandato abbiamo bisogno di fare l’esperienza del risorto che viene raccontata nell’ultimo capitolo del Vangelo: sperimentare e assaporare la presenza del risorto accanto a noi.
Questi trent’anni di una storia che non si è ancora conclusa nonostante le tante difficoltà che ci sono state, nonostante il clima di ostilità che spesso abbiamo incontrato, nonostante i limiti oggettivi delle nostre personalità, sono un segno di questa presenza.
Questi trent’anni di storia, ricordati insieme in questa occasione, possono aiutarci ad obbedire finalmente a Gesù testimoniando nella chiesa e nel mondo che il Dio ama tutti gli uomini e tutte le donne al di là del loro specifico orientamento.