Il magistero siamo noi. I cristiani LGBT+ in cammino per una Chiesa sinodale
Riflessioni di Paolo Spina*
Se chiedessimo alla Chiesa: “Come ti chiami?”, non esiterebbe a rispondere: “Sinodo!” (che, alla faccia dell’inesistente ideologia del gender, in greco è pure femminile!). Non l’abbiamo scoperto noi, e neppure Papa Francesco in un discorso del lontano 2015, ma più di 1600 anni fa lo scrisse il santo teologo Giovanni Crisostomo: “Chiesa e Sinodo sono sinonimi”.
Ecco perché anche noi abbiamo letto il Documento Finale (DF) del Sinodo iniziato nel 2021 dal tema “Per una Chiesa sinodale. Comunione, partecipazione, missione”, e vorremmo provare a capire cosa ha da dire alla concretezza delle vite di noi cristiani LGBT+.
La prima parola potrebbe essere pronunciata dalla tentazione di salire sulla barricata della delusione: dopo 4 anni di ascolto e discernimento – dove i nostri stessi gruppi hanno inviato un ampio contributo alla segreteria generale – nulla è cambiato della dottrina ufficiale che sembra continuare a danzare come un anziano elefante sulle macerie delle grandi aspettative che si erano create. Delusione, invece, non sarà la prima parola, almeno per noi.
Ci saranno ancora molte parole – tante quante sono le voci di ogni discepola e discepolo! – chieste dal grande bisogno di tornare all’ABC del Vangelo: “Chiesa e Sinodo sono sinonimi”, in altre parole significa che nessun documento potrà spazzare via il guadagno ormai acquisito che, pur con funzioni e compiti specifici, ogni battezzato ha il diritto (e il dovere!) di offrire la propria voce a servizio della comunità intera, mettendo a frutto le diverse capacità e i singoli carismi, per il bene comune.
Basterebbe questo: lo stile della “conversazione nello spirito” che, uscito dai tavoli allestiti in Vaticano durante le assemblee, è arrivato fino all’ultimo dei nostri gruppi, per imparare che decidere per il bene – anche nelle singole chiese, movimenti, associazioni – vuol dire discernere, cioè ascoltare tutto e tutti, vagliando poi con l’aiuto dallo Spirito che soffia, dall’alto, in ognuno. Sembra qualcosa di scontato e banale, ma evidentemente serviva proprio un Sinodo sulla sinodalità per ricordarlo!
Al n° 50 del DF leggiamo: “A tutte le latitudini è emersa la richiesta di una Chiesa più capace di nutrire le relazioni: con il Signore, tra uomini e donne, nelle famiglie, nelle comunità, tra tutti i Cristiani, tra gruppi sociali, tra le religioni, con la creazione. Molti hanno espresso la sorpresa di essere interpellati e la gioia di poter far sentire la loro voce nella comunità; non è mancato anche chi ha condiviso la sofferenza di sentirsi escluso o giudicato anche a causa della propria situazione matrimoniale, identità e sessualità”.
Anche quando la voce della gerarchia potrebbe arrogarsi l’indebito diritto all’ultima parola, il Sinodo ricorda che non solo si cammina insieme, ma nella Chiesa si può e si deve decidere insieme, ascoltando soprattutto chi porta l’esperienza che arriva dall’essere stati posti ai margini. E anche quando la si penserà differentemente, chi è messo alla porta potrà dire: Questa è anche casa mia!
Un altro paragrafo a farsi leggere volentieri è il n° 60 – anche per essere stato approvato con il più alto numero di voti contrari: a noi le minoranze piacciono e piaceranno sempre! – dove si tratta della pari dignità di donne e uomini nel popolo di Dio: “Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo”.
Ancora una volta si affaccia la tentazione di rimanere amareggiati nel constatare che no, non è vero che nella Chiesa uomini e donne sono uguali! E non si tratta di una mera discussione della gestione del potere, ma di rendersi finalmente conto che “non ci sono ragioni” perché tra cristiani un discepolo possa valere di più o di meno sulla sola base della differenza sessuale (o di altre situazioni canonicamente definite irregolari). E allora perché, da sempre, è così?
Perché dove non ci sono ragioni esistono leggi e tradizioni alla base di pregiudizi che non solo contraddicono la ragione, ma allontanano dalla fede e sviliscono il messaggio evangelico. “Non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo” sembra l’ennesimo buffetto dato da chi comanda sulla guancia di chi la porge da troppi secoli. Noi, invece, allo Spirito crediamo veramente e sappiamo che il nostro ministero è proprio quello di continuare a lavorare a servizio della ragione che spetta a tutte quelle sane profezie azzoppate da tradizioni malate.
Per questo accogliamo il gesto rivoluzionario di Papa Francesco: non ci sarà alcuna Esortazione Apostolica post-sinodale (il documento, cioè, con il quale il pontefice prende le decisioni definitive sui temi emersi durante il Sinodo dei vescovi, organo consultivo e non decisionale).
Dare l’ultima parola al Documento Finale approvato dall’assemblea sinodale significa che magistero siamo noi, quando ci assumiamo la responsabilità che ogni battezzato ha di rendere Cristo presente nel mondo, secondo la libertà delle voci che in questi anni abbiamo alzato – e continueremo a non tacere, per amore di tutto il popolo di Dio! – perché quanto deliberato non rimanga su uno scaffale a prendere polvere, ma possa diventare chiave per schiudere tante porte ancora serrate.
*Paolo Spina è un medico, appassionato di Sacra Scrittura e teologia femminista e queer, che collabora con il Progetto Cristiani LGBT+ e con La tenda di Gionata scrivendo su temi di attualità e cristianesimo.