Il mio cammino di madre cristiana con un figlio gay
Riflessioni di Anna Battaglia di AGEDO Ragusa e volontaria de la Tenda di Gionata
Carissimi, sono Anna Battaglia di AGEDO Ragusa, il mio percorso di mamma di un figlio omosessuale è iniziato nel lontano 2002, quando mio figlio, allora ventenne, mi ha fatto il dono di condividere con me il suo orientamento affettivo attraverso una lettera densa ed esaustiva del suo percorso che lo portava a togliersi la maschera e a chiedermi di aiutarlo ad essere sé stesso “perché, mamma, spetta anche a me essere felice”. Per fortuna quella lettera me la diede a mano.
La lessi guardandolo negli occhi, quegli occhi che attendevano la mia “sentenza” con trepidazione… ed io lo abbracciai… “sei stato per me un grande dono di Dio e lo sei sempre” gli dissi e gli augurai di essere felice e di incontrare l’ amore.
Posso affermare con tutta onestà che per me non è stato un problema avere un figlio omosessuale e che da quel momento mi si aprì un orizzonte inesplorato e arricchente che mi ha portato a un impegno nel sociale con la creazione della sede territoriale di AGEDO Ragusa.
Una grossa difficoltà, invece è stato e continua ad essere, anche se in misura meno schizofrenica, il mio rapporto con la Chiesa di Roma.
Sono stata da sempre credente e praticante, formatami nell’adolescenza alla CVX dei Gesuiti insieme alla persona che è divenuta poi mio marito, gruppo famiglia da sposati: i nostri due figli sono cresciuti nell’alveo della fede.
Però quando ne parlai con il mio padre spirituale, che conosceva sin dall’ infanzia Stefano, mio figlio, e tutta la nostra famiglia, ebbi una risposta che mi lasciò inebetita: “È la cosa più terribile che ti sarebbe potuta capitare, figlia mia!”.
Come poteva essere mio figlio una cosa terribile!
… e lo diceva a me sapendo bene che una cosa terribile mi era veramente capitata ed era stata la morte di mio marito in un incidente stradale dieci anni prima.
A rincarare la dose una laica consacrata, amica fraterna e molto vicina alla nostra famiglia, mi consigliò di non rendere pubblica l’omosessualità di mio figlio, stesso consiglio il parroco della mia parrocchia.
Per me il SILENZIO era sinonimo di non rispetto nei confronti di mio figlio, significava dargli un messaggio di non reale accoglienza, un esempio di ipocrito perbenismo.
Nel momento in cui mi chiedeva di camminare con lui per accompagnarlo a vivere alla luce del sole e a farlo “nascere” di nuovo, il mio compito era quello di dimostrargli tutto l’amore di cui ero capace, ma soprattutto ebbi la consapevolezza che in questa realtà sociale italiana omofoba e con una Chiesa altrettanto omofoba e non includente ero rimasta solo io a dimostrargli il messaggio d’amore incarnato e predicato da Gesù.
Così da quel momento cammino per squarciare il viluppo del silenzio che come palude asfissia i nostri/e figli/e, per aiutare quei genitori che lo vogliono ad accogliere con rispettosa dignità la realtà affettiva di figli e figlie, a non acuire la già sofferta vita in una società non inclusiva dei figli e delle figlie che abbiamo chiamato alla vita.
La mia fede si nutre attraverso l’incontro con sacerdoti e laici misericordiosi, come afferma Papa Francesco, ma mi riesce alquanto difficile, soprattutto dopo l’acclamata teoria del gender, sentirmi “cattolica“.
Far parte di 3volteGenitori (Rete per genitori cristaini con figli LGBT), mi onora perché mi offre l’occasione del confronto con altri genitori credenti e mi aiuta sicuramente a districare i sentimenti di disagio che provo nei confronti di questa umana chiesa in cammino.
Che la pace che promana dalla Resurrezione possa invadere i nostri cuori ed espandersi nel mondo.
Anna