Il mio coming out al pranzo della domenica
Testimonianza di Alfonso Signorini tratta da blog.Panorama.it del 26 Novembre 2007
Mia sorella, “non sapendo più come arginare le smanie della mamma, mi mise alle strette: «Non ne posso più: o parli tu o lo faccio io». Ed eccoci dunque al famoso pranzo domenicale. A quel punto toccava a me: « Mamma, non abito più lì. Convivo con una persona. È un uomo. Sì, sono gay. È una persona straordinaria. Lo amo e lui mi ama…». Parlai tutto d’un fiato e mi fermai solo quando finì la saliva. Ricordo ancora il silenzio che seguì, e le persone intorno immobili davanti alla gallina fumante come nel fermo immagine di un film. Silenzio, silenzio. Poi mio padre se ne uscì, in dialetto: «Mi, l’avevi semper dì (Io l’avevo sempre detto)». Il giornalista Alfonso Signorini racconta il suo coming out.
Sarebbe stato un pranzo domenicale coi fiocchi: sorella, mamma, papà e pure la zia Ester, 80 anni, zitella nonché dama di San Vincenzo, riuniti davanti al piatto di portata con una bella gallina fumante. La notte prima non ho dormito. Temevo che l’anziana dama di San Vincenzo non avrebbe retto all’annuncio. E poi papà, che già soffriva di cuore…
Ma quella che più mi spaventava era la reazione della mamma. Per anni l’avevo illusa, illudendo me stesso. Ero arrivato a un passo dalle nozze: a 27 anni stavo per sposare la zia di un mio allievo. Allora insegnavo dai gesuiti, e già quello mi era sembrato un bello scandalo: mandare tutto all’aria con le pubblicazioni fatte, i regali arrivati, la cerimonia a Sant’Ambrogio e il pranzo già prenotati.
Due giorni prima che tutto accadesse mi ero presentato dai miei e avevo detto: «Non mi sposo più». Ancora adesso mi chiedo come non siano caduti per terra, svenuti. Per far passare la tempesta me ne ero fuggito in vacanza a Ceylon, un posto sufficientemente lontano, in compagnia del mio amico Aristide e dei suoi genitori.
Avevo riprovato: io e la mamma ci avevamo creduto di nuovo. Questa volta era una romana, conosciuta sulle piste di sci: 7 anni di convivenza. Poi siamo tornati dalle vacanze estive in un villaggio turistico in Turchia: io avevo letto un sacco di libri, lei aveva diviso il suo tempo tra l’ombrellone e il campo di tennis.
Soltanto dopo scoprii che se l’intendeva con il maestro. E mi ritrovai single: la mamma era sicura che non sarei sopravvissuto senza un aiuto. E per tenere in ordine l’appartamento mi mandò Pina, fedele e fidata collaboratrice domestica, «che come stira lei le camicie non c’è nessuna».
E così fu Pina la prima persona di casa a cui lo dissi: quando cominciai a frequentare quello che ancora oggi è il mio compagno, quando poi andammo a vivere insieme, dovetti istruirla per bene: «Non una parola a mia madre: se ti cerca, non farti trovare». E la costrinsi a una latitanza che nemmeno i terroristi.
Racconto tutto questo perché fu Pina la causa scatenante del mio outing familiare. Non riuscendo più a parlare con la tata, la mamma era in preda a un’ansia assoluta. E, visto che anch’io ero molto vago (a quel punto ero già giornalista a Chi, e mi inventavo servizi e trasferte per non parlarle), tutti gli sfoghi finivano su mia sorella. Che, non sapendo più come arginare le smanie della mamma, mi mise alle strette: «Non ne posso più: o parli tu o lo faccio io».
Ed eccoci dunque al famoso pranzo domenicale. Mi ero vestito con la camicia bianca, la cravatta e la giacca, che non mi tolsi mai anche se, nonostante fossimo in pieno inverno, sudavo come d’estate in Amazzonia. Non presi la macchina: ero così nervoso che avrei fatto un incidente. Andai dai miei in taxi.
Eravamo d’accordo che mia sorella avrebbe dato il la, poi sarei andato avanti io, senza più rete. E fu così che il discorso andò sulla Pina: «Devi smetterla di chiedermi di lei» attaccò mia sorella. Fu come aprire una diga: «Che cosa è successo con Pina, me lo devi dire, non l’avrai mica licenziata?»: un fiume in piena.
A quel punto toccava a me: « Mamma, non abito più lì. Convivo con una persona. È un uomo. Sì, sono gay. È una persona straordinaria. Lo amo e lui mi ama…».
Parlai tutto d’un fiato e mi fermai solo quando finì la saliva. Ricordo ancora il silenzio che seguì, e le persone intorno immobili davanti alla gallina fumante come nel fermo immagine di un film. Silenzio, silenzio. Poi mio padre se ne uscì, in dialetto: «Mi, l’avevi semper dì (Io l’avevo sempre detto)».
E attaccò con gallina e mostarda. Inutile dire che da allora la mia vita è migliorata immensamente. Papà, quel mitico papà dalla battuta fulminante, non c’è più.
Nei confronti di mamma e zia mi sembra di essere più onesto. E il mio compagno è stato adottato. La sera la mamma mi fa sempre la stessa domanda: «Che gli hai preparato da mangiare?». Nel suo immaginario, probabilmente, sono una casalinga disperata.