Il mio Coming out e il silenzio imbarazzato dei miei genitori
Speravo che il coming out fatto conducesse ad un maggior dialogo coi miei, un dialogo pressoché mai esistito o quanto meno fatto di argomentazioni superficiali e futili, atte a coprire quanto di vero e profondo ci fosse. E invece no.
Dopo una settimana trascorsa nella città natale, durante la quale io mi sentivo tranquillo e sereno perché finalmente me stesso, pochi secondi prima di inoltrarmi nei controlli di sicurezza per prendere l’aereo che mi avrebbe portato dal mio ragazzo, mio padre mi ha consegnato una busta: “Poi leggila con calma”, mi ha detto. Il contenuto – letto mentre attendevo l’imbarco – mi ha lasciato a bocca aperta…
“Siamo certi che quest’anno che sta per nascere porterà nella tua vita quelle novità che noi tutti che ti vogliamo bene ti auguriamo. Il Signore ti ha creato ‘vero uomo’ e Lui, lo sappiamo, NON SBAGLIA MAI!!! Siamo noi a sbagliare, ma Lui che è il Signore della vita e di ogni cosa non sbaglia mai!
Pregheremo per te e per il tuo amico S., affinché il Signore vi conduca a ritrovare la giusta via, a ritrovare la vostra vera natura e identità e vi dia la gioia di scoprire una nuova dimensione della vostra vita che vi porti a formare le vostre famiglie”.
In quel momento sarei voluto uscire, rincorrerli e gridare contro di loro tutta la rabbia, più per la forma che per il contenuto (che pure…). Mi sono limitato a rispondere con un sms lapidario: “Mi spiace che come ogni volta non riusciamo a comunicare. Sono stato quasi una settimana e dovete affidare i vostri pensieri a una lettera a cui non posso rispondere dal vivo. S. non è un amico, è il mio ragazzo.
Sono vero uomo anche se sono omosessuale e così anche S. e il Signore non ha fatto errori di creazione. La nostra vera natura e identità è questa, non ce ne sono altre. Quanto alla famiglia, quella stiamo provando a costruirla noi due. Non è una fase transitoria, non è una malattia dalla quale guarire. Prima ne prenderete coscienza e meglio sarà per voi. Vi voglio bene.”
A volte mi chiedo se riusciranno mai a capire e ad accettare. Mi basterebbe riuscire a comunicare e non a fare finta.
Quando in seguito ho chiesto per telefono perché non me ne avessero parlato mentre ero con loro, mio padre ha risposto: “Eri troppo tranquillo e sereno… non volevo rovinare l’atmosfera…”. Nonostante l’amarezza che ho ancora in bocca, ritengo di aver fatto la cosa giusta. Tutto sta ora a capire come muovermi in questo campo minato, un campo di incomunicabilità…