Cara mamma voglio parlarti del mio segreto, la mia omosessualità
Lettera scritta da Stefano, con cui fece coming out con sua madre, il 17 novembre del 2002
Cara mamma, ti scrivo da lontano, con il cuore lacerato e dolente, ti scrivo dall’intimo della mia anima, con angoscia e tormento. Ti scrivo confuso e stanco. Ti scrivo preoccupato e triste. Tu sei la madre migliore del mondo e se non ti ho parlato prima di questo doloroso pugnale che mi taglia, è perché non volevo darti questo immane dolore, non volevo versarti addosso il fardello della mia vergogna e della mia colpa. (…)
Se io mi sono chiuso in me stesso e sono stato schivo, se sono fuggito non è perché temevo la tua ira o il tuo disprezzo (…) Se solo avessi potuto evitartelo!… credimi, l’avrei fatto. Ma non posso più, perché sto scoppiando, perché questo fardello mi sta uccidendo.
L’ho tenuto chiuso per anni nel cavo più buio della mia anima, piano piano, cresceva e spingeva e scalciava, piano piano mi sommergeva e non mi lasciava più respiro, mi soffocava. Da sempre, credo, ho saputo di essere ciò che sono.
Ma da piccolo fluttuavo in un mondo spensierato, fatto di giochi, fatto di innocenza, fatto di purezza. Cresci sognando di essere padre, di sposarti,(…) poi pian piano scopri le prime pulsioni, con naturalità, con ingenua e ignara innocenza, scopri il sesso, scopri l’amore, ma scopri anche che per te è diverso, che non sei come gli altri, allora hai mille dubbi, ti chiedi tante cose, vorresti fare delle domande … all’improvviso ti accorgi che non vai bene.
Credi di essere naturale, credi di essere nel giusto, ma per gli altri, “i normali”, non è così. La tua diversità è devianza: diventi malato, coglione, finocchio, diventi cattivo, maniaco, depravato.
Ti accorgi a soli tredici anni, mentre i tuoi amichetti hanno le prime cotte, che sarai sempre l’altro. Entri nel panico, che fare? Si può a tredici anni accettare l’emarginazione, l’insulto, il rigetto? Si può accettare se stessi se tutti ti fanno capire che così non vai?
No, non si può. Io non posso.
Ti guardi allo specchio e ti fai schifo, tu non hai chiesto di essere così e non ti accetti. La prima cosa che fai è ingoiare tutto e cacciarlo nel fondo dell’anima, tenerlo lì, fermo, in un angolo. Respingerlo quando tenta di uscire, nelle notti di solitudine, quando solo con te stesso una voce ti grida da dentro e tu paralizzato taci.
Il silenzio. Tutto tace. Tutto deve tacere, per sempre, ti dici. E ci provi. Ci provi ad essere normale, perché nessuno va incontro ad una vita difficile e sofferta con piacere. Perché tu vuoi disperatamente essere normale e ci provi. Ti fidanzi con una ragazza. Ma niente, per te è solo un’amica e lo sai.
Quando ti accorgi di farle del male la lasci, (…) almeno non devi più mentire.
Sei stanco, non puoi più portare da solo una maschera, ma non riesci a levartela, resti intrappolato in te stesso e non sai come uscirne.
Ti chiedi se sei malato, ma in fondo, sai che non è così, perché dalle malattie si guarisce.
Ti svegli alcune notti distrutto, tormentato. E vorresti morire, potresti farlo, ma non puoi, (…) i tuoi. Già, i tuoi, è per loro che vivi, che fingi, che porti la maschera. E’ per loro che dopo una notte insonne ti alzi, come se nulla fosse e continui a recitare.
Chi ti è vicino si chiede qualcosa, ma poi scaccia via il pensiero, chi ti è vicino è fiero di te, fa grandi progetti sul tuo futuro.
Desidera per te una vita felice e tranquilla, una vita che tu vorresti avere ma non puoi.
E sai nel silenzio della tua anima che li deluderai, che quando scopriranno chi sei, che cosa sei davvero, gli darai una sciabolata al cuore.
Vorresti tanto essere padre, ma non puoi, vorresti dare loro tutto ciò che si meritano, vorresti fingere per sempre e ci riusciresti, forse uccidendoti poco alla volta, rinunciando alla tua felicità e continuando a recitare.
Ma sai anche che per farlo dovresti imbrogliare una persona, giurarle che l’ami davanti a Dio e non poterle mai dare ciò che veramente desidera, perché tu non la desideri e non potrai mai desiderarla.
Io ho scelto di non mentire, di non condannare una persona all’infelicità. Sono troppo egoista per vivere così e troppo debole per morire, allora recito. Sono confuso, sono avvolto da mille dubbi, ho paura di vivere appieno. Si può scegliere di vivere e di morire, si può scegliere di accettarsi o no, si può scegliere di vivere per come si è o far finta di nulla.
Ma non si può scegliere cosa si è, perché credimi l’omosessualità non è una questione di scelta, di cure, di cattivi esempi, ma di natura.
Io ho cercato di uscirne in tutti i modi e ci ho riprovato questa estate con un’altra ragazza ma sono stanco di lottare con me stesso; è troppo tempo che scivolo su un binario morto.
Al liceo ti dici, ancora sono piccolo, posso farcela a cambiare, all’università si vedrà. (…) All’università scoppia la pentola a pressione e cerchi di raccogliere le briciole della tua anima, devi decidere cosa fare della tua vita e non puoi più prorogare la scelta, impazziresti.
Scelgo di dire ciò che sono? Si. Sono stanco di mentire, di fingere. Che senso può avere? Mi chiedo perché sono quel che sono, faccio voti, prego, ma è inutile, perché fa parte di me. Uccidendo la mia omosessualità uccido me stesso.
Scusa mamma, se non sono quello che speravi, scusa per la sofferenza che ti porgo, sono straziato dal doverti scrivere questa lettera, ma ho scelto di essere sincero. Non ho ancora accettato ciò che sono, ho mille paure che mi stritolano sul mio futuro, ho paura di restare solo, ho paura a cominciare un nuovo cammino ma almeno non mi sento sporco, perché sono finalmente sincero.
Non ti chiedo pietà né compassione, ti chiedo di abbracciarmi perché ti ho aperto la mia anima. (…) Io sono sempre io, (…) Perdonami, ma amare vuol dire donarsi per quello che si è.
Ecco ti consegno la mia anima finalmente sincero, anche se il cuore mi si gratta pensando a come tutto ciò potrà sconvolgerti. Sappi che per me non è stato facile mentire e che se ho sbagliato l’ho fatto per amore. (…) chi non è come me non può capire quanto dolore, quanta sofferenza e quante lacrime ci vogliono soltanto per potersi specchiare senza disgusto.(…)
Tutti hanno il diritto di essere felici? Tutti hanno il diritto di vivere? Temo di no. E dopo?
Spero che Dio mi aiuti perché ho vent’anni, ho già sofferto molto, la sua chiesa mi condanna alla castità, mi dichiara reietto e contro natura. Mi condanna all’inferno.
Si crede che si possa scegliere di essere uomini o gay ma perché qualcuno non mi dice come? Se non ci si scotta con la fiamma come si può capire se il fuoco brucia? Come si può parlare, pontificando, di qualcosa che non si conosce?
Privateci della nostra dignità, privateci del rispetto di noi stessi, della felicità, della naturale libertà, condannateci senza sapere, censurateci per paura, deportateci, isolateci. Siamo solo uomini fatti di debole carne e fragili ossa, chiediamo solo di poter esistere senza sentirci animali in gabbia, senza sentirci merda.
Ho imparato, sulla mia pelle, a non condannare nessuno per quello che è.
Ogni ragazzo che vedi, ogni tuo alunno, potrebbe essere come me, non farlo sentire un diverso. La nostra cultura, civiltà, sensibilità, deve di molto crescere prima di assicurare a tutti il diritto alla vita. Perché in ogni parola, gesto, sguardo, frase si nasconde la condanna, il disprezzo, la pietà, il disgusto.
Io voglio vivere appieno, voglio imparare a guardarmi allo specchio, voglio avere il diritto di amare e di essere felice. Perché la mia finora non è stata vera vita.
Per ora vorrei solo accettarmi, non sentirmi sporco. Chiedo troppo se chiedo una vita normale?
Perdonami mamma, perché sei splendida e perché ringrazio Dio di avere una madre come te e una famiglia come la nostra. Tanti non hanno la mia fortuna. Perdonami e non soffrire per me, perché non lo meriti. Avevo giurato di non dirti mai nulla di ciò ma non ho potuto né voluto tacere più. La croce mi era diventata troppo grossa. Scusa (…)
Riuscirai a perdonarmi e a non soffrire? A pensare a me , come a tuo figlio? Probabilmente ho ucciso il tuo orgoglio di madre, ma ti prego, non chiederti dove hai sbagliato (…)
Perché ti assicuro, da tutti questi anni di silenzioso grido di muto dolore, che così si nasce e non si diventa. (…) Non chiedo nulla se non un abbraccio perché sono ancora io, più sincero e più nel profondo, sono io che ti scrivo con sofferta fermezza, madre.
Sono sempre tuo figlio anche se più debole e più stanco e ti vorrò sempre bene per quel che vale.
Tuo Figlio