Il mio viaggio di prete gay cattolico, dal ‘silenzio e la vergogna’ all’orgoglio di essere
Riflessioni di padre Gary M. Meier* pubblicate su Huffingtonpost.com (USA) il 26 agosto 2013, liberamente tradotte da Silvia Lanzi
È passato praticamente un mese da quando ho fatto coming-out come prete cattolico gay con il lancio della seconda edizione del mio libro, Hidden Voices: Reflections of a Gay Catholic Priest, e un nuovo sito web dedicato alle Rising Voices of Faith che accolgono e aiutano tutte le persone a prescindere da chi amano. La tempesta mediatica iniziale è finalmente cessata, ma la conversazione su cattolicesimo e omosessualità continua via mail, con telefonate, articoli e su Facebook.
Parlo regolarmente con cattolici gay ed etero che lottano con gli insegnamenti della Chiesa cattolica sull’omosessualità. È un privilegio discutere con così tante persone. Ho detto che, uno dei temi più consistenti che inizia ad emergere da questi dialoghi è il fatto che la cultura del silenzio e della vergogna che abbiamo creato nella nostra Chiesa sull’omosessualità è più grande e più forte di quel che potessi mai immaginare.
Credo che l’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità abbia causato e continui a causare danni a molti uomini e donne gay, giovani e vecchi, che stanno cercando accettazione ed amore e che trovano invece silenzio e vergogna. E non è solo la popolazione gay che soffre: soffrono anche tutti quelli che hanno accettato un membro della propria famiglia o hanno una persona gay-friendly per amica. Anche a loro sono stati dati da sopportare silenzio e vergogna, ostracizzati da un insegnamento della Chiesa e da una posizione gerarchica che non ci permette di essere aiutati, amati, accuditi, ma che soprattutto non ci permettedi instaurare positive relazioni gay al suo interno.
Lo slogan ‘a voce alta e con orgoglio’ è usato spesso dalla comunità gay nel tentativo di contrapporsi all’oppressione degli altri, Chiesa inclusa. Possiamo noi, come Chiesa, arrivare a favorire questa cultura, la cultura dell’‘a voce alta e con orgoglio’ al di là del silenzio e della vergogna?
Nel 2011, ho partecipato al mio primo Pride, e se dovessi sintetizzare la mia esperienza in due parole sarebbero: a voce alta e con orgoglio. È stata una formidabile esperienza di testimonianza, decine di migliaia di gay e lesbiche e di loro sostenitori erano proprio lì. Avendo vissuto per così tanto tempo in un’atmosfera ieratica di silenzio e vergogna, era liberatorio poter alzare la voce con orgoglio – libero per un momento ed in un’altra città per evitare di essere riconosciuto.
C’è sempre stata una parte di me che voleva partecipare ad un Pride ma, per essere onesto, c’era anche una parte di me che non voleva. Prima di andarci, la mia sola impressione del Pride, come quella di molti altri, era quella ricavata dalle notizie dei media. Queste sembravano dipingere la sfilata del pride in un modo strano, pazzo e un po’ fuori di testa. Nei trenta secondi di quello che sembrava uno più spot televisivo che altro, c’erano solo immagini di cross dressers (persone che indossano abiti non proprio consoni al loro sesso), dykes, travestiti e uomini con addosso praticamente nulla.
Il Pride è stato sempre rappresentato come qualcosa di radicale e controverso, qualcosa che era meglio evitare, particolarmente data la mia identità di prete cattolico. Dopo tutto ai preti non è consentito “promuovere l’agenda gay”.
Mentre si può certamente capire che solo andando ad un Pride non si promuove l’agenda gay, il servizio televisivo di un prete cattolico che guarda la sfilata (e applaude) può essere come minimo controverso. Per evitare tale controversia e rimanere prete, non ho mai partecipato ad un Pride, prima del 2011. Quell’anno fu diverso; quell’anno volevo essere visto per quel che ero ed, in qualche modo per quanto piccolo, partecipare al movemento. Con quest’obiettivo in mente, io e un mio amico andammo al Gay Pride di New York.
il giorno prima della sfilata principale, io e il mio amico stavamo camminando lungo la 6th Avenue dove notammo qualcosa che sembrava una qualche sorta di corteo, così decidemmo di saperne di più. Quando ci avvicinammo abbastanza per vedere quello che succedeva, scoprimmo che era la “Dyke Parade”. C’erano migliaia di lesbiche che marciavano per le vie di New York, cantando e facendo festa. C’erano anche un sacco di sostenitori ai bordi della strada che distribuivano volantini. Ne fermai una e le chiesi se sapesse quando e dove si sarebbe svolta la sfilata principale del Pride. Me lo disse brevemente e mi disse anche di divertirmi. Allora le risposi: “Lo farò, ma sono un po’ nervoso, non sono mai stato ad un Pride Fest prima”.
“Oh, cavolo” disse “Ti piacerà. È una tale celebrazione di diversità e unità. Non c’è nulla per cui essere nervoso, goditela soltanto”.
La sua descrizione entusiasta del Pride Fest come una celebrazione di diversità e unità mi colpì davvero. Non potevo fare a meno di pensare che anche noi, quando siamo al meglio come Chiesa, siamo una celebrazione di diversità nell’unità. Quando come Chiesa viviamo il Vangelo, celebriamo diversità e unità.
Il giorno dopo, alla sfilata, rimasi piacevolmente sorpreso di vedere che la stragrande maggioranza di quelli che partecipavano all’evento erano “normali”. Non avendo altro che le immagini dei media su cui basarmi, il mio pensiero, e la mia paura, era che sarei stato completamente fuori luogo, che ognuno si sarebbe vestito in modo strano o non si sarebbe vestito affatto. Non era la realtà. Non fraintendetemi, era pieno di vestiti pazzi e stranissimi, ma la stragrande maggioranza di quelli che guardavano e partecipavano alla sfilata erano “normali”. Erano persone normali che appartenevano a gruppi normali come vigili del fuoco, polizia, avvocati, squadre di pallavolo, organizzazioni religiose…: era rappresentato ogni sorta di gruppo concepibile. Erano gente della porta accanto. Persone che ogni giorno ti passano vicino per la strada.
Mentre il giorno andava avanti potevo sentire una soverchiante sensazione di normalità. Era fantastico e liberatorio trovarsi in una situazione che trattava gli omosessuali non come persone disturbate, bensì come persone normali, sane ed anche sacre. Se vado indietro alla mia prima esperienza del Pride, è stato davvero una celebrazione di unità e diversità e, per me personalmente, era molto liberatorio passare dal silenzio e dalla vergogna all’alzare la voce con orgoglio – anche se solo per un giorno.
Questo succedeva nel 2011 – ma ora che ho rotto il silenzio, che ha fatto parte della mia vita per così tanto tempo, le cose sono diverse. Con in mente questo, ho deciso di marciare al Pride Parade di New York di quest’anno con la speranza che questa esperienza mi permetta di passare da una cultura del silenzio e della vergogna ad una delle parole e dell’orgoglio.
*Gary M. Meier, scrittore e prete cattolico sostenitore delle persone LGBTQ. Meier è autore del libro autobiografico ‘Hidden Voices, Reflections of a Gay, Catholic Priest’
Testo originale: My Journey as a Gay Catholic Priest From ‘Silence and Shame’ to ‘Loud and Proud’