Il movimento omosessuale visto da Gianni Geraci: la sua carica rivoluzionaria negli anni ‘80
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Intervista di Giacomo Vitali a Gianni Geraci del Guado, gruppo di cristiani omosessuali di Milano, seconda parte
Certamente negli anni ’80 la carica rivoluzionaria e “contestativa” del movimento di liberazione omosessuale era molto forte e radicata esclusivamente in due correnti politiche: in quella radicale libertaria, che faceva capo a Pannella, dirompente ma pur sempre filoamericana ed inserita a pieno regime nell’alveo della democrazia liberale; e in quella marxista antiborghese ed anticapitalista, facente capo all’area del Psi – Pci.
Anche la letteratura gay mainstream, non “di nicchia” dell’epoca e il periodico “Babilonia” riflettevano quel clima di contrapposizione ideologica fra le correnti sopracitate da una parte e la Democrazia Cristiana e il Msi dall’altra, che, pur annoverando parlamentari omosessuali tra le loro fila, preferirono per pruderie che dell’argomento non si parlasse e che trionfasse l’ipocrisia del “si fa, ma non si dice”. Potremmo dire, parafrasando Simone De Beauvoir nel suo saggio esistenzialista “Il Secondo sesso”(1949), che “uomini e uomini gay si diventa”?
Gianni Geraci: La frase di Simone De Beauvoir va letta all’interno del processo che ha portato alla nascita del pensiero femminista e, interpretata in maniera corretta, dovrebbe essere a parer mio riformulata così: «donne magari si nasce, ma donne consapevoli del proprio ruolo di donne lo si diventa».
Lo stesso si può dire per gli uomini e, ancora di più per gli uomini omosessuali. La domanda può però nascondere anche un altro significato, molto più dibattuto intorno al tema dell’omosessualità. E allora la domanda: «Omosessuali si nasce o si diventa?» può essere riformulata in maniera più precisa chiedendosi se l’omosessualità sia qualcosa di innato o di acquisito.
Io personalmente credo che una risposta definitiva a questa domanda non ci sia, anche perché con il passare del tempo ho iniziato a convincermi che non abbia molto senso parlare “della” omosessualità al singolare, e che sia più corretto parlare “delle” omosessualità al plurale, visto che sono più di una le modalità con cui si manifesta la tendenza a «vivere emozioni profonde per persone del proprio sesso»: la definizione è dello psicoterapeuta Paolo Rigliano che la usa per definire l’omosessualità nel suo libro “Amori senza scandalo. Cosa vuol dire essere gay“, Feltrinelli, 2001.
Tra l’altro, anche se Rigliano non la prende in considerazione, dobbiamo fare i conti anche con la bisessualità, perché l’idea che i bisessuali non fossero altro che omosessuali che non hanno il coraggio di definirsi tali, secondo me, è ormai superata, poiché ci sono persone che non solo non nascondono la loro bisessualità, ma che di questa bisessualità hanno acquisito una coscienza paragonabile a quella che hanno sviluppato gli omosessuali.
In questo contesto diventa difficile dire se omosessuali si nasce o si diventa: ci sono elementi che ci portano a concludere che c’è una componente genetica nell’orientamento sessuale (gli studi di Bailey e di Whitam sui gemelli o quelli di LeVay sull’ipotalamo vanno senz’altro in questa direzione), ma ci sono studi altrettanto autorevoli, come quelli di Byne, che ci portano a concludere che questa componente non spiega in maniera completa la presenza di un determinato orientamento omosessuale.
Una sintesi molto corretta è quella che propone Giovanni Dall’Orto, uno dei padri nobili del movimento omosessuale italiano, quando, in un suo articolo su “Babilonia”, ha scritto: «Omosessuali non si nasce. Omosessuali non si diventa. Omosessuali si è».
La conseguenza di questa affermazione perentoria è che non ha senso disperdere energie per capire per quali misteriosi motivi ha un orientamento sessuale piuttosto che un altro, ma che è molto più utile e produttivo chiedersi come si può vivere bene l’orientamento sessuale che ci si ritrova.
Simone De Beauvoir, come dici a ragione anche tu, ha avuto il merito per prima di distinguere la componente biologica del “sesso”, che è un dato di natura, dal “genere”, -anche se una definizione compiuta verrà formulata dalla Rubin nel ’75 nel saggio “Lo scambio delle donne”- che invece rappresenta la componente socio e culturale dei ruoli, per lo più stereotipati, che le donne dovrebbero assumere in seno alla famiglia e alla società.
Allo stesso modo le persone omosessuali si interrogavano e si interrogano ancora, anche se in una prospettiva eziologica, di ricerca delle cause, sulla loro identità, su quale peso abbiano e la componente strettamente genitale e la componente invece culturale ed educativa.
Tuttavia, come per le donne, la sfida più avvincente rimane quella, allora come oggi, di essere se stessi, di vivere una vita “buona e bella”, da single o in coppia, di accogliere e valorizzare la propria diversità in un’ottica di apertura ad altre differenze.