Il nostro percorso di coppia gay cattolica verso l’unione civile: dalla riconoscenza al progetto
Testimonianza di Antonio e Jerry presentata al Workshop “Il percorso umano e spirituale delle coppie LGBT raccontato da loro e dai loro genitori” tenutosi al Forum dei Cristiani LGBT (6-7 ottobre 2018, Albano Laziale)
Gli ultimi due anni hanno rappresentato, per me e il mio compagno, un periodo di crescita intensa ed insperata. Dopo quasi 11 anni di relazione, abbiamo deciso di unirci civilmente, cosa che è successa nel maggio del 2017. L’unione civile è stata una festa per noi e per le persone a noi care, come ho cercato di spiegare in un’altra testimonianza. Qui vorrei parlare del percorso che abbiamo fatto nei mesi precedenti, cioè di come siamo stati accompagnati a questo passo, attraverso una crescita di consapevolezza, gratitudine e responsabilità.
Lo so e lo affermo con amarezza: molte persone considerano l’amore omosessuale una perversione, una malattia, una colpa; e questa loro convinzione è spesso alimentata dall’adesione ad una forma disumana di religiosità e di morale, ed è per questo che viene espressa con asprezza proprio da chi dovrebbe invece professare l’amore e l’accoglienza del Vangelo in cui sostiene di credere.
Per me e Jerry, invece, l’unione civile ha costituito il traguardo di un cammino lungo, faticoso, spesso travagliato. Quando siamo arrivati davanti in quella sala, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo fatto, entrambi, un lungo sospiro, per dirci in silenzio “ce l’abbiamo fatta”. È stato difficile, certo, ma anche esaltante, perché abbiamo dovuto conquistare passo dopo passo la consapevolezza della nostra dignità, come individui e come coppia.
Ed anche perché per noi la conquista dei diritti non è mai stata disgiunta dalla convinzione di dovere essere persone affidabili ed oneste, nella sfera pubblica e in quella privata. Il percorso culminato con l’unione civile è stato un percorso etico, che ci ha permesso di essere via via consapevoli che, amandoci e offrendo in modo visibile l’esperienza della nostra relazione, stavamo costruendo il bene nostro e della nostra comunità.
Questa progressiva maturazione è stata favorita e rafforzata da un gruppo di persone da tutta Italia, altre 6 coppie gay che hanno condiviso un cammino itinerante di preparazione all’unione civile. Preparazione ispirata alla fede cristiana e guidata da due persone straordinarie, un padre e una madre che hanno scelto di donare la forza del loro amore, coniugale e parentale, a noi: a noi che per lungo tempo siamo stati considerati indegni di accoglienza e considerazione. Il dono di Corrado e Michela è stato quello di credere, con noi e per noi, che il nostro amore di coppia fosse buono e pulito, fosse chiamato alla pienezza dell’espressione umana e cristiana proprio in quanto amore, e quindi riflesso della presenza di Dio e vocazione al dono di sé.
Grazie a Michela e Corrado, ma anche grazie ai nostri fratelli che hanno condiviso con noi le loro esperienze, abbiamo potuto così mettere a fuoco l’importanza del nostro amore come pro-getto. In questa parola coincidono infatti tre sfumature, tutte e tre legate ai significati della parola latina pro:
– “prima”: un progetto non nasce da un capriccio, da un’infatuazione superficiale, da un gesto impulsivo, ma da un’intenzione morale che medita attentamente sul fine delle proprie scelte. Per tutti noi, infatti, amare e stare insieme dipende non da un’attrazione effimera, ma dall’intenzione di costruire una relazione stabile e duratura.
– “davanti”: un progetto si slancia e guarda in avanti, impegna il tempo di fronte a sé, si fonde con la prospettiva di vita che da individuale diventa comunionale. Per tutti noi, infatti, stare insieme vuol dire pensare che il futuro sarà riempito dalla presenza dell’altro e dal dono reciproco;
– “a vantaggio di”: un progetto mira ad uno scopo ed è per un bene, per il bene di qualcuno. Per tutti noi infatti stare insieme vuol dire realizzare un modello di vita basato sui valori del Vangelo e orientato al bene delle persone all’interno e all’esterno della famiglia.
Lo stile di questo “corso” è stato itinerante: ci siamo incontrati a Parma, Milano, Bologna, Roma. Abbiamo viaggiato, e abbiamo creduto nel viaggio come risposta ad una chiamata e possibilità dell’incontro. Con il passare dei mesi, questo viaggio ci si è mostrato, sempre di più, nella luce del mistero della Visitazione.
Dopo avere ricevuto l’annuncio che avrebbe cambiato la sua vita e la storia del mondo, Maria si mette in cammino per incontrare Elisabetta, per condividere con lei l’ansia e la gioia della rivelazione divina: e dal loro incontro nascono la fede e la gioia di entrambe, nasce il Magnificat.
La consapevolezza della presenza di Dio e del suo disegno di salvezza vengono rafforzate dalla relazione, dal fatto di parlare insieme di Lui. Possiamo generare l’amore se ci incontriamo con amore. Allo stesso modo, per noi la bellezza del nostro progetto umano è stata rischiarata dalla luce della fede, proprio per il fatto di avere messo in comune le strade misteriose con cui Dio ci ha visitati, accompagnati e guidati verso la libertà.
Un canto, per me, è stato particolarmente illuminante: si chiama Vocazione. Lo ascoltavo e lo cantavo da ragazzo, con i giovani delle comunità salesiane. E pensavo, con amarezza, che per me non sembrava esserci quella vocazione all’amore che invece riguardava gli altri. A distanza di tanti anni, ho ritrovato quel canto, come una firma di Dio che certamente vede più lontano di noi; lo abbiamo cantato insieme con Corrado, Michela e gli altri ragazzi gay, e ho compreso che anche per me c’era una vocazione all’amore e alla famiglia, e che avevo risposto di sì a quella vocazione attraverso il mio sì al progetto di vita con Jerry.
Il confronto fra di noi, guidati da Corrado e Michela, ha prodotto la nascita di alcune proposte di comportamento: il “decalogo” per litigare bene e quello per dialogare bene. Abbiamo provato a scrivere questi atteggiamenti come aiuto per la nostra vita di coppia, e abbiamo scoperto che essi da un lato nascevano dalle esperienze umane di tutti, dall’altro rispecchiano i doni e i frutti dello Spirito descritti da San Paolo. Ancora una volta, riscoprire la presenza di Dio a partire dall’esperienza, fragile ma onesta, dell’amore umano, dal racconto delle meraviglie che vediamo fiorire nelle nostre vite.
Jerry ed io siamo stati i primi a celebrare la nostra unione civile. Abbiamo cercato di dare un’anima al formulario burocratico attraverso le nostre promesse, che ognuno di noi due ha scritto in privato e che ci siamo letti per la prima volta solo quel giorno. Quelle promesse dicono impegno e dono, responsabilità e sostegno. Sono il segno tangibile che l’unione civile è preziosa proprio in quanto dichiarazione pubblica ed ufficiale di un’intenzione seria, di un atteggiamento etico e costruttivo. Per noi è il matrimonio che non abbiamo potuto, purtroppo, celebrare in chiesa, e del matrimonio possiede tre valenze.
La prima riguarda il rapporto del singolo con se stesso; quello è stato il momento in cui, come in un rito di passaggio, ho potuto guardarmi allo specchio e dire a me stesso “Sei diventato capace di prenderti una responsabilità per un’altra persona, una responsabilità per la vita. Guarda come sei diventato adulto!”.
La seconda riguarda il rapporto con il mio compagno; quello è stato il momento in cui ho potuto fare alla persona che amo il dono più grande, quello della mia persona e del mio tempo esistenziale, e ricevere da lui lo stesso dono.
La terza riguarda il rapporto fra la coppia e la società; quello è stato il momento in cui abbiamo potuto affermare che il nostro è un amore responsabile, che crea unità ed armonia e come tale è affidabile; ed il momento in cui le persone cha amiamo hanno potuto fare festa con noi e per noi.
Non si è trattato solo di un’occasione esteriore. Lo dimostra il fatto che da allora qualcosa è cambiato, dentro di noi. È cambiato il mostro modo di pensare all’altro, come la nostra casa. La relazione con mio marito è adesso la nostra casa: il luogo cui tornare la sera, in cui ritrovare e rigenerare il calore e il conforto; il luogo da cui alzarsi al mattino, lieti e fiduciosi, per essere gentili, onesti e utili a questo mondo. La casa che ripara, difende, accoglie, che resiste alle tempeste perché è fondata sulla roccia.
Scrivo questa testimonianza perché vorrei condividere con altri la gioia del cammino fatto con i nostri fratelli gay e con Corrado e Michela. Le verità che abbiamo scoperto le abbiamo raggiunte insieme, condividendo le nostre esperienze e i nostri valori, radicati nella fede in Gesù Cristo.
Corrado e Michela, che seguono coppie di fidanzati da molti anni, alla fine dell’ultimo incontro a Roma hanno detto che raramente hanno trovato tanta profondità e tanta fede, e per questo ci hanno ringraziato. Siamo noi, in realtà, che vogliamo ringraziarli: per avere creduto in noi come persone, figli amati e benedetti da Dio; per avere creduto nelle nostre relazioni come amore e nelle nostre coppie come famiglie, chiamate da Dio a vivere, in Cristo, una fecondità diversa ma pure responsabile e significativa. Corrado e Michela ci hanno annunciato che il cuore di Dio ha posto anche per noi, e che anche noi possiamo sperare in un progetto di santità attraverso l’amore.
Non tutti, all’interno della Chiesa, capiranno. Non tutti capiranno che questa iniziativa non è stata frutto di un capriccio o di una disobbedienza, ma è nata da un autentico ascolto dello Spirito, a partire dalle esigenze sincere dei fedeli che cercano Dio nella loro condizione di vita. Molti affermeranno, con rapido disprezzo, che la relazione omosessuale è peccato e che definirla amore è una bestemmia.
Non è questa la sede per profondi dibattiti esegetici e teologici. Vorrei solo ricordare che i farisei erano assai gelosi della posizione di potere che dava loro un’idea disumana e autoritaria della “legge”; essi ostacolavano la missione di Gesù gridando allo scandalo perché stava con i peccatori e agiva in nome di Dio, cosa che per loro era una “bestemmia”. Gesù li considerava ipocriti e li invitava a guardare con animo puro ciò che stava accadendo: i malati venivano risanati, i poveri gioivano per un messaggio di amore che li riscattava e li consolava. I segni messianici, l’amore e l’armonia, confermavano che il Regno di Dio era vicino, poiché nessun regno può resistere se è in guerra con se stesso.
Ora, riconoscere che le persone omosessuali sono capaci di amore; e che tale amore può e deve essere incoraggiato, che può crescere nella fedeltà e nella responsabilità; e che esso può costituire un cammino verso Dio che è amore, attraverso l’esperienza della Pasqua di Gesù Cristo; riconoscere tutto questo e costruire un percorso pastorale per rischiarare le esistenze e condurre le persone all’abbraccio di Dio -se non della Chiesa- significa cooperare alla missione di chi vuole liberare i prigionieri e chi ha detto che il sabato esiste per l’uomo, e non l’uomo per il sabato.
Ognuno di noi è responsabile delle sintesi che fa in coscienza di fronte a Dio. Noi ci affidiamo a Lui con la speranza che l’amore che ci ispira potrà farci crescere interiormente e condurci alla salvezza. Possiamo solo essere riconoscenti e cercare di riversare ancora su altri la grazia che abbiamo ricevuto.