Dal me al noi. Il nostro cammino di coppia gay cattolica verso l’unione civile
Testimonianza di Andrea e Gianluca di Trieste presentata al Workshop “Il percorso umano e spirituale delle coppie LGBT raccontato da loro e dai loro genitori” tenutosi al Forum dei Cristiani LGBT (6-7 ottobre 2018, Albano Laziale)
Ci siamo conosciuti nel settembre del 2014 durante un fine settimana organizzato dal Progetto Rùah a Barcis (PN), e il nostro cammino come coppia è stato caratterizzato, da subito, da un nuovo vigore anche nel vivere la fede, non più come singoli ma come coppia.
Quando, alla fine del 2016, abbiamo iniziato a pensare alla nostra unione civile, ci siamo resi conto che – sebbene non ci fosse un sacramento ad attenderci – il passo era importante e per questo desideravamo prepararci dal punto di vista spirituale, oltre che dal punto di vista umano. Come potevamo pensare di costruire la nostra casa se non sulla roccia che è Cristo?
Tuttavia, mentre gli sposi eterosessuali cristiani hanno a disposizione corsi di preparazione al matrimonio, le coppie di persone dello stesso sesso non hanno al momento alcuno strumento sistematizzato per discernere, crescere e far vivificare il loro rapporto.
La nostra crescita umana, ancorché messa a tema, è molto fai-da-te e spesso nei nostri gruppi le coppie non sono ancora tanto numerose da poter pensare a un cammino condiviso. Eppure, “imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si improvvisa”, ci ricorda papa Francesco nell’Amoris Laetitia (n.208).
Per questo abbiamo chiesto ad alcuni sacerdoti di accompagnarci in questo cammino; da questi ci è stato consigliato subito di rivolgerci a Michela e Corrado di Parma, una coppia di sposi – genitori di un ragazzo omosessuale come noi – che aveva sia l’esperienza della vita in comune che dell’accompagnamento di altre coppie di novelli sposi.
La loro risposta è stata assolutamente entusiasta – “Quanto scrivete sta al centro del nostro cuore… Voi ci date una grande gioia!” – e così, insieme ad altre coppie sparse in tutta Italia, abbiamo iniziato questo cammino che ci ha portato a fissare per il 26 maggio 2018 la nostra unione civile.
La comunicazione agli amici non è arrivata come qualcosa di inaspettato, mentre per alcuni familiari c’è stato un iniziale imbarazzo. Era giunto il momento in cui doveva cadere l’ultima illusione che la nostra omosessualità potesse restare qualcosa di privato: infatti dopo anni non veniva considerata più come qualcosa di “cattivo”, ma certo non era ancora qualcosa di presentabile.
Invece il fatto di sposarci e di rendere pubblica la nostra unione era per noi proprio la caduta dell’ultimo muro: “non ci vergogniamo di chi siamo, anzi ci sentiamo benedetti da Dio e vogliamo condividere e celebrare questa gioia!”. Alla fine l’amore ha prevalso e così le nostre famiglie erano presenti quel giorno insieme a noi.
Durante i mesi di preparazione abbiamo sempre veduto chiaramente la presenza di Gesù nella nostra scelta di vita comune. Abbiamo quindi deciso di vivere, oltre al rito civile in municipio (che già da solo ha costituito per noi un importante atto umano e politico come cittadini), una celebrazione di benedizione e di ringraziamento guidata da un nostro amico – un semplice battezzato – durante la quale ci siamo scambiati le promesse di fedeltà, un vincolo del tutto assente tra gli impegni previsti dalla legge. Il fatto di non avere un canone da rispettare ci ha aiutati a leggere ciò che per noi era fondativo e segno della nostra storia insieme: questo, poi, abbiamo condiviso e festeggiato con le tante persone che ci hanno accompagnato.
Da subito ci siamo accorti con sorprendente chiarezza che quella era un’esperienza di comunione e di presenza, non un atto privato né un luogo di marginalità. Pregare, ringraziare, promettere e fare festa insieme ai tanti che ci stavano accompagnando era quanto stava accadendo e noi ne eravamo pienamente consapevoli e questo ci faceva sentire che il nostro posto nel mondo non solo c’era sempre stato, ma era stato preparato per noi dall’Amore.
Gli amici e i parenti, credenti e non, ci hanno benedetti in abbondanza e attraverso modi per noi sconosciuti fino a quel momento: abbiamo sentito chiaramente il soffio dello Spirito.
Come ha detto un nostro amico, la celebrazione di quel giorno è stato un grande “punto esclamativo”: essere “alla luce del sole”, tanto per il rito civile quanto per la celebrazione, è stato un atto di affermazione e liberazione.
Ci ha sorpreso vedere una luce nuova anche negli occhi delle persone più critiche verso l’omosessualità e le unioni civili: l’impegno dell’uno con l’altro e di fronte alla società/comunità è stato riconosciuto e preso sul serio. Sentiamo che questo ha prodotto un piccolo ma significativo cambiamento.
Quel giorno è nato – intimamente e pubblicamente – un “noi”: ci sono io, c’è l’altro, ma esiste ora un “noi”, frutto del desiderio e dell’impegno. Ora l’impegno preso agisce in molte direzioni e ha delle conseguenze sulle nostre vite. Esteriormente nulla sembrerebbe cambiato, tuttavia il mondo ci riconosce per quello che siamo: una famiglia, consorti e coniugi che hanno deciso di condividere la responsabilità e la gioia di vivere insieme.
Sebbene questa visibilità sia ora accompagnata da alcune fatiche, legate talvolta a forme di discriminazione, ci dà anche la possibilità di fare la nostra parte, nella normalità e nella quotidianità, non ultima la richiesta di essere una casa accogliente per amici, singole persone o altre coppie. Questa, crediamo, sia parte della nostra fecondità e generatività come “noi”.