Il Papa e le persone omosessuali. La via stretta dell’integrazione
Articolo di Gian Luca Carrega* pubblicato su Noi in Famiglia, supplemento domenicale del quotidiano Avvenire, il 19 febbraio 2023, pag. VII
Due giovani studenti della Torah erano anche accaniti fumatori. Uno dei due prese coraggio e chiese al rabbi se era possibile fumare mentre studiava il Libro. Il rabbi lo cacciò in malo modo per il suo proposito empio.
Quando lo venne a sapere, l’altro studente scosse la testa e si avviò a sua volta dal rabbi chiedendo: «Mentre si fuma, è possibile studiare la Torah?». «Ma certo – gli rispose il rabbi con un sorriso benevolo – ogni momento è buono per dedicarsi alla Legge!».
Questa storiella ebraica, citata varie volte da quello straordinario narratore che è Moni Ovadia, piacerebbe molto a papa Francesco. Forse la sua amicizia storica col rabbino argentino Abraham Skorka lo ha reso familiare con questo genere di discussione che mette in luce l’importanza del domandare e di fare le domande giuste, davanti alle quali il saggio replica con l’arguzia che soddisfa chi lo interpella.
Il recente intervento del pontefice che condanna la criminalizzazione dell’omosessualità in alcuni Stati ha suscitato reazioni diverse, alcune entusiaste e altre più caute, molte poi sinceramente perplesse perché subito dopo – ipotizzando l’obiezione di un fedele (“Ma è peccato!”) – introduceva la distinzione tra ciò che è penalmente e moralmente rilevante. Voleva dire che l’omosessualità va considerata un peccato?
Sarebbe stato ben curioso, perché Scrittura e Tradizione condannano solo gli atti omosessuali e non l’orientamento sessuale in sé. Il suo amico gesuita padre James Martin si è messo nei panni dello studente della storiella e gli ha posto la domanda apertamente. Papa Francesco gli ha risposto a breve giro di posta e la lettera autografa è stata pubblicata sul sito di Martin.
Ci sono alcuni aspetti di questa replica che mi pare opportuno sottolineare, a fronte anche di una ripresa mediatica non del tutto fedele. Papa Francesco ha tenuto a evidenziare che riportava a senso (“In una intervista televisiva, dove si parlava con naturalezza e con un linguaggio colloquiale, si può capire che non ci sia la precisione dei termini”) il messaggio della dottrina cristiana. Personalmente mi ha un po’ infastidito che la notizia venisse riportata asserendo che il Papa ha ribadito una posizione che è quella del Catechismo. In realtà nel testo che Martin ha pubblicato in foto non c’è alcun riferimento al Catechismo ed è quantomeno riduttivo affermare che la enseñanza de la moral católica sia identificata col Catechismo…
Il fatto stesso che nell’intervista all’AP il Papa abbia voluto accostarlo alla mancanza di carità verso il prossimo indica che il discorso sugli atti omosessuali rientra nella categoria del peccato generico, e non in una categoria di peccati speciali.
Questo mi pare uno smarcarsi significativo dalla struttura del Catechismo che tratta degli atti omosessuali nell’ambito delle offese alla castità. Più correttamente, il Papa riporta l’esercizio della sessualità omosessuale nella categoria degli atti sessuali fuori dal matrimonio che, come ricorda in Amoris laetitia, devono essere considerati secondo la materia, la libertà e l’intenzione, tenendo pre¬senti circostanze e singoli casi, come si procede nella valutazione di tutti gli atti morali.
Spiega infatti al n.305: «A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa. Il discernimento deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia …».
E sul fatto che il discorso di Francesco in Amoris laetitia non vada inteso solo per le coppie in nuova unione, ci viene in soccorso il n.297: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale (…). Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino». E in quel largo “tutti” possiamo pensare di lasciare ai margini proprio le persone omosessuali e le loro relazioni?
Sotto questo aspetto mi pare che la domanda di padre Martin abbia stimolato una bella risposta, che non chiude la questione con un atto di autorità ma apre ad una riflessione che auspico serena e feconda.
*Don Gian Luca Carrega è docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà teologica di Torino e direttore dell’Ufficio per la Pastorale della Cultura della diocesi di Torino e, su mandato ricevuto dal suo arcivescovo, si occupa anche delle attività̀ pastorali per le persone LGBT e i loro familiari.