Il pastorato è una vocazione queer che indica l’amore senza confini
Testimonianze degli studenti di teologia Erin Hancock e Eric Brown dell’Union Theological Seminary di New York (Stati Uniti) pubblicate dal progetto Queer Faith il 12 marzo 2019, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Il pastorato, per me, è una vocazione sostanzialmente queer. Viviamo in una società strutturata attorno a sistemi violenti e oppressivi (suprematismo bianco, eterosessismo, patriarcato, cisgenderismo, abilismo [discriminazione contro i disabili, n.d.t.], per non nominarne che alcuni), e se non affrontiamo tali sistemi, non potremo prenderci cura le une degli altri in modo adeguato. La mia identità queer mi costringe ad affrontarli attraverso la sfida alle aspettative sessuali e di genere che ogni giorno mi vengono imposte. La mia vocazione al pastorato mi costringe ad affrontarli a beneficio di quelli che saranno i miei parrocchiani, molti dei quali saranno queer. Essere queer però non è qualcosa che riguarda solamente l’orientamento sessuale e l’identità di genere, essere queer vuol dire rifiutare di conformarsi alle ristrette idee della società su quali siano le relazioni accettabili. Essere queer vuol dire resistere a quelle strutture di potere che mirano a controllare i nostri corpi, assieme all’uso che ne facciamo. Essere queer, in definitiva, significa scegliere di amare in un modo che mette in discussione lo status quo.
Per quella che è la mia comprensione, questo è anche l’obiettivo del pastorato. Noi, che abbiamo ricevuto la vocazione a essere pastore e pastori, dobbiamo essere pronte a chiamare con il loro nome tutto ciò che vuole limitare la moltitudine di modi diversi con cui le persone scelgono di amarsi le une le altre e di amare se stesse. Dobbiamo dirlo chiaro e tondo in modo che noi, noi come società, possiamo uscire allo scoperto… dal nascondiglio razzista, eteronormativo, cisnormativo e patriarcale che ci impedisce di amarci pienamente le une gli altri. Il pastorato deve essere queer, perché se vogliamo prenderci cura responsabilmente le une degli altri dobbiamo essere pronte a resistere a quelle strutture di potere che ci danneggiano tutte e tutti, le persone queer in particolare.
Erin Hancock
Nell’ottobre 1968, verso la fine della sua vita, Thomas Merton concluse così il suo intervento a un convegno di monaci a Calcutta: “Miei cari fratelli, noi siamo già una cosa sola; ma pensiamo di non esserlo. Ciò che dobbiamo recuperare è la nostra unità originaria. Noi non dobbiamo essere altro che ciò che siamo”. La fede queer è un dono spirituale, che va elevato e nutrito. Il pastorato queer si ispira all’azione, alla comunità, all’inclusività, alla dignità e alla grazia, e sempre, sempre è diretto verso un amore senza confini.
Eric Brown
Testo originale: ERIN HANCOCK | M.DIV. STUDENT – ERIC BROWN | M.DIV. STUDENT