Il prete col triangolo rosa
Articolo pubblicato sul blog Queer Saints and Martyrs and Others (Gran Bretagna) del 18 gennaio 2010, liberamente tradotto Alessandra C.
Per la prima pubblicazione della serie “i miei strani eroi moderni”, ho voluto iniziare con un personaggio di cui la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare (credo che nessuno conoscesse il suo nome).
Ho scelto lui perché rappresenta un duplice martirio: il primo dovuto all’orientamento sessuale e il secondo alla fede. E in particolare l’ho scelto perché è un personaggio anonimo, e ci ricorda che nel nostro cammino, siamo tutti chiamati all’eroismo nonostante le persecuzioni; tutti chiamati ad essere “martiri” del vero, dal senso originario del termine “testimone di verità”. Ho letto questa storia sulla rivista “Taking a chance on God” di John McNeill’s: McNeill ha preso la storia da Heinz Heger, e queste sono le sue parole:
“Mi piacerebbe concludere questa riflessione sulla vita di una fede matura con chi è stato testimone oculare della morte dei preti gay nei campi di concentramento tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, perché non volevano smettere di pregare o esprimere disprezzo per se stessi. La storia è raccontata da Heinz Heger nel suo libro “The Men With the Pink Triangle” (gli uomini col triangolo rosa), in cui ricorda quel che successe nel campo di concentramento di Sachsenhausen ai gay (Sachsenhausen era un campo di livello 3 in cui i prigionieri erano destinati alla morte): “verso la fine di febbraio del 1940, arrivò un prete nel nostro complesso, un uomo di circa 60 anni, alto e dalle fattezze distinte. Scoprimmo che veniva da Sudentenland, da un’aristocratica famiglia tedesca.
Conobbe il tormento delle angosciose procedure d’arrivo, specialmente la lunga attesa nudi e scalzi fuori dal complesso.
Quando, dopo la doccia, si accorsero della sua tonsura, il caporale delle SS di turno, prese il rasoio e disse ‘A questo ci penso io, allunghiamogli un po’ la tonsura’. E gli rasò la testa, tagliandogli anche il cuoio capelluto. Il prete tornò alla camera del nostro complesso con la testa ferita e il sangue colante. Aveva il volto cinereo e lo sguardo fisso nel vuoto, incredulo. Si sedette su una panca, si strinse le mani sul grembo e con un fil di voce, più a se stesso che a qualcun altro, disse: “Eppure l’uomo è buono, è una creatura di Dio!”. Ero seduto vicino a lui e dissi sottovoce ma deciso: “Non tutti gli uomini; esistono anche belve dalle fattezze umane, creati forse dal diavolo”.
Il prete non prestò attenzione alle mie parole, pregava in silenzio, soltanto muovendo le labbra. Ne rimasi profondamente colpito, anche se avevo già fatto l’abitudine a tutta la sofferenza che vedevo e sperimentavo sulla mia pelle. Ma ho sempre avuto un grande rispetto per i preti, così quella preghiera silenziosa, quell’appello muto a Dio, che egli invocò per aiutarlo e dargli forza in quella sofferenza del corpo e tormento dell’anima, mi arrivò dritta al cuore.
Il capo del nostro complesso, tuttavia, un uomo brutale e disgustoso, deve aver riferito la preghiera del prete alla SS, in quanto il sergente irruppe improvvisamente nella stanza insieme a un secondo sergente, buttando il prete terrorizzato giù dalla panchina per poi prenderlo a pugni e insultarlo. Il prete si prese i pugni e gli insulti senza fiatare, fissando le due SS con gli occhi sbarrati, attoniti. Ciò deve averli fatti arrabbiare molto, perchè presero una panca e vi legarono sopra il prete.
Iniziarono indiscriminatamente a bastonarlo sullo stomaco, sulla pancia e sull’organo sessuale. Sembravano sempre più estatici e soddisfatti: “Ti facciamo smettere di pregare noi! Fottuto culattone! Fottuto culattone!”. Il prete perse i sensi, fu fatto rinvenire e svenne di nuovo. Infine le sadiche SS smisero di picchiarlo e lasciarono la stanza, ma prima si rivolsero all’uomo che avevano appena distrutto, dicendogli con disprezzo: “Ok arrapato vecchio verme, puoi pisciare col buco del culo d’ora in poi”.
Il prete si mosse appena e gemette di dolore. Lo slegammo e lo mettemmo a letto. Tentò di alzare la testa per ringraziarci, non aveva la forza, e la voce lo abbandonò quando provò a dire “grazie”. Stava sdraiato senza energie, con gli occhi aperti, per ogni movimento contorceva il volto in segno di sofferenza. Mi sentii come testimone della crocifissione di Cristo in una sua versione più moderna.
Al posto dei soldati romani i delinquenti delle SS, e una panca al posto della croce; e credo che l’angoscia del Salvatore sia stata di poco maggiore rispetto a quella inflitta a uno dei suoi rappresentanti millenovecento anni più tardi qui a Sachsenhausen. La mattina dopo, quando partimmo per la piazza d’armi, dovemmo trascinare il prete, ancora sul punto di svenire, debole e sofferente.
Quando il capo del nostro complesso lo riferì alla SS sergente del nostro complesso, questo arrivò dal prete e gli urlò “sei un sudicio frocio, un sudicio porco. Dillo quel che sei!” il prete doveva ripetere, ma dalle sue labbra non uscì un solo suono. L’uomo delle SS si scagliò su di lui con rabbia, quasi per ricominciare a picchiarlo.
Ma accadde l’immaginabile, qualcosa che ancora non mi so spiegare e che posso solo interpretare come un miracolo, come l’intervento divino. Dal cielo coperto, un improvviso raggio di sole che illuminò il volto distrutto del prete. Tra migliaia di prigionieri riuniti, proprio su di lui e proprio nel momento in cui stava per essere picchiato.
Ci fu un gran silenzio, e tutti i presenti alzarono lo sguardo per fissare il cielo, attoniti per quel che era successo.
Anche il sergente delle SS guardò in su, meravigliato, per qualche istante, poi preparò il pugno, lo alzò e lo lasciò cadere lentamente lungo il fianco, e si allontanò senza dire nulla per prendere la sua posizione alla fine della sua squadra.
Il prete mosse la testa e mormorò con un fil di voce: “Grazie Signore…. So che sei venuto a prendermi”. Era ancora con noi per l’appello serale. Ma non dovemmo più trasportarlo. Lo lasciammo alla fine della linea con tutti gli altri morti del giorno, cosicché ci fossimo tutti per l’appello, non importa se vivi o morti’.
Il primo tema, molto ricorrente, è quello che riguarda “il rischio di credere in Dio”, in cui non è possibile dividere teologia e psicologia, e il disprezzo per se stessi non può essere considerata psicologia. Non importa quel che alcuni uomini di chiesa dicono, quando si cerca di far sentire gli altri degli esseri “sporchi”, “sudici” o in qualche modo “malati”, non può trattarsi di teologia.
Il secondo tema, esplicitato nel titolo, è che di fronte alla persecuzione (da parte della Chiesa o dello stato), è importante ricordare che quella non è la volontà di Dio, ma dell’uomo. Nessuno di noi, probabilmente, si troverà mai nella situazione estrema che dovette affrontare il prete col triangolo rosa. Tuttavia, davanti alle più piccole prove che la vita ci sottopone, dovremmo fare del nostro meglio per seguire il suo esempio.
Ricordare sempre che noi tutti siamo creature di Dio, e che Dio non compie mai errori; sviluppare così, attraverso una vita di preghiera attiva, la nostra esperienza diretta di Dio. Una volta fatto ciò, come sottolinea Karl Rahner, niente di quel che dice la Chiesa potrà ferirci.
McNeill conclude il suo capitolo sullo sviluppo di una vita di fede matura con queste parole e con questa preghiera: “Noi gay e lesbiche riconosciamo un modello e un patrono in questo anonimo prete che fu martirizzato perché ha voluto essere sia gay che uomo di fede. Dio onnipotente, aiutaci, noi gay e lesbiche figli tuoi, a crescere e a maturare nella tua fede. Liberaci dalla paura e dalla codardia.
Fai che tutta la sofferenza e il dolore che in passato hanno provato coloro che furono perseguitati perché gay o lesbiche non siano stati invano, ma che aiutino noi e tutti coloro che verranno a raggiungere la grazia della vera liberazione. Riempi i nostri cuori della profonda consapevolezza del tuo amore per noi, cosicché possiamo essere liberi di amarci l’un l’altro in uno spirito di gratitudine. Amen”.
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Testo originale: The Priest With the Pink Triangle