Il prete social: omo-negatività vecchia col vestito nuovo
Riflòessioni di Massimo Battaglio
Tra i tanti video realizzati da don Alberto Ravagnani, l’ormai famoso giovane prete social che spopola in rete, ora ce n’è uno che ci riguarda. E’ una teleconferenza intitolata “Confronto fra ragazzi credenti e non”, in cui la web star della pastorale giovanile parla anche di omosessualità (dal minuto 1:35:00).
Avevo già alcuni sospetti sui contenuti trasmessi da don Alberto con tanta novità di linguaggio. Questa mezz’ora di battute, ficcanti ma vecchie, leggere oltre il limite della superficialità, me ne dà conferma. Forse è un limite della comunicazione social, che richiede di procedere per slogan e frecciatine, metodo che lascia sospettare un vuoto elaborativo o una consapevolezza di dire cose poco credibili, delle quali, forse, non si è nemmeno convinti.
Il nostro affronta il tema dell’omosessualità proprio così: una semplice serie di frecciatine, trovate pascolando tra ricordi vaghi di letture distratte. Come chi va a funghi senza conoscere il bosco nè i funghi stessi, ne cerca uno, lo trova, ce lo mostra tutto giulivo; qualcuno gli fa notare che non è un porcino ma un’amanita falloide; lui ne cerca un’altro sempre mantenendo lo sguardo simpatico di chi ha ragione. Lo stordimento di informazioni fornito garantisce il successo ma, se si riesamina il video, si scopre che il discorso non regge. Anzi: non esiste proprio. Seguiamo:
“La Chiesa non è quella che si diverte a dire no, non si fa non si fa non si fa. La Chiesa ha la preoccupazione di dire: guardate: se volete amare, non basta amare e punto. La frase Love is Love, a me, fa venire il prurito. Perché cosa vuol dire? Non vuol dire niente. Io posso amare uno che mi odia, posso amare una colonna, posso amare la violenza… Cosa vuol dire? Non ha senso. E’ un bellissimo slogan che è stato assunto da un certo movimento politico e però non vuol dire niente. La Chiesa dice che non tutte le forme di amore sono autentiche”.
Cominciamo bene! A me è stato insegnato che l’amore non ha confini. Nel Vangelo di Giovanni ho letto che “non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. Gesù non ha mai avuto dubbi di fronte a persone che si amano: le ha benedette e basta, senza sindacare se il loro amore fosse legittimo, certificato dai sacerdoti o semplicemente vissuto dai protagonisti.
Ci ha indicato, quasi come esempi da seguire, gli amori più eterodossi possibili: quello tra il centurione e il suo servo, quello della samaritana per il suo compagno con cui non era sposata e quello della prostituta di Betania. Non si è mai arrogato il diritto di indagare sull’autenticità di questi amori. Il giovane prete social ci avverte che la Chiesa, a differenza di “un certo movimento politico” (quale?), fa il contrario. E la difende. Ottimo!
“La Chiesa non schifa gli omosessuali eh! Non è un peccato essere omosessuali. I peccati sono sempre azioni. Un peccato è un’azione disordinata, quindi non ordinata al bene. Il peccato è l’atto sessuale. Provare un’attrazione sessuale per una persona dello stesso sesso, riconoscere in sè una tendenza omosessuale, non è peccato. E’ peccato compiere un atto omosessuale”.
E fin qui, nulla di nuovo. Mi aspetterei un minimo di approfondimanto ma devo dire che questa asciuttezza nel ripetere il riassuntino della dottrina è efficace.
“Ma la Chiesa non è che ce l’abbia con gli omosessuali. Cioè: così com’è peccato compiere un atto omosessuale, è peccato avere un rapporto sessuale prima del matrimonio. Cioè la Chiesa chiederebbe la castità agli omosessuali e agli eterosessuali, indistintamente. Solo che oggi il dibattito sull’omosessualità è stato polarizzato; è diventato la bandiera di uno scontro che vuole attaccare la Chiesa”.
Qui ci sono due battute: quella sulla castità e quella sull’attacco contro la Chiesa. Sulla prima, farei notare a don Alberto che due persone eterosessuali che vogliano vivere in comunione con la dottrina della Chiesa, hanno solo da sposarsi. Due persone omosessuali no. Perché gli stessi monsignori che lui difende dallo “scontro” continuano a ripetere che non c’è nessuna analogia tra il matrimonio e l’unione tra persone dello stesso sesso. E dunque: astinenza a vita. Anzi: appena si beccano due omosessuali in parrocchia, li si manda via col respingitore automatico, fosse mai che diffondano strane idee. La seconda battuta – quella sull’attacco alla Chiesa – sembra essere infilata, nella sua assurdità, per distrarre dall’altrettata assurdità della prima.
“La Chiesa non è che si espone contro le persone omosessuali. Anzi: proprio in risposta a tutto questo attacco sull’omosessualità, la Chiesa si è fatta veramente tante domande. Si tratta di andare incontro alle persone. La Chiesa ha a cuore la gente, le persone. Una persona omosessuale si deve sentire voluta bene dalla Chiesa e aiutata a fare i conti con questa roba”.
Ora: il video è già un po’ vecchiotto. Chissà se il nostro prete social ripeterebbe oggi le stesse cose, quando la posizione ufficiale della Chiesa italiana sulla legge contro l’omofobia è quella di un niet su tutta la linea. In questi giorni, le gerarchie cattoliche dimostrano di avere certo a cuore le persone ma non tutte: di alcune difendono una presunta “libertà di espressione” che tra l’altro va ben oltre l’offesa. Di altre, quelle omosessuali, difendono solo una “dignità” tutta astratta, negando la gravità del fenomeno omofobo. In nome delle idee dei primi, si accettano le botte sugli ultimi. Ma non polemizziamo: dobbiamo sentirci voluti bene.
“L’ostilità nei confronti dell’omosessualità, ce l’aveva la medicina, prima della Chiesa! Non è stato Benedetto XVI a inventare le parole frocio, culattone, finocchio. E’ stata la società, a portare il dibattito in una certa direzione”.
Altra battuta volutamente odiosa, messa lì per distrarre dall’insostenibilità della precedente. Tradisce una certa nostalgia per quando la scienza ci dava dei malati ma… quanto è appuntita!
“La Chiesa si espone per dire qual’è il modo giusto, la forma migliore dell’amore: quella che corrisponde alla verità che noi siamo. Poi l’omosessualità è un fatto. Non è che si può far finta di niente e dire: beh, gli omosessuali non esistono, è un’invenzione, bruceranno all’inferno. Una volta che assumiamo che esistono delle persone così, facendoci carico anche della ferita che comporta scoprirsi omosessuali… Perché questa cosa non è molto detta ma non è pacifico eh! E’ un travaglio”.
Qui, gli interlocutori di don Alberto non ci stanno più e lo interrompono. Gli fanno notare che la ferita, il travaglio dello scoprirsi omosessuali non sono dati di natura ma dipendono dalla mancata accettazione sociale, dalla negatività che sentono nei propri confronti. E parlano esplicitamente di una “eredità cattolica”, come dire che la Chiesa parla di travaglio ma è la prima a generarlo. Ma il sacerdote insiste:
“Oggi mi sembra che ci sia proprio una campagna di normalizzazione dell’omosessualità. Oggi, un ragazzino, nel momento in cui sta costruendo la propria identità, si trova a doversi fare questa domanda (e la domanda gli è imposta): ma io sono eterosessuale o sono omosessuale? Come se l’omosessualità o l’eterosessualità fossero delle identità, già scritte, che uno deve solamente riconoscere dentro di sè. Questa cosa non è vera. L’omosessualità e l’eterosessualità non sono delle identità. Cioè noi non siamo le azioni che compiamo. Avere una tendenza omosessuale non è la stessa cosa che essere omosessuale. Il problema è che oggi si vuole inculcare questa idea: tu sei omosessuale”.
Siamo quasi all’apice (ma non ancora): parole fumose ma con toni da figo per ribadire che l’omosessuale è anormale e che qualche oscura lobby vuole “inculcare” il contrario.
“Perchè nel mondo omosessuale c’è il pride? Una volta la medicina era ostile all’omosessualità e nei manuali di psichiatria c’era la categoria omosessuale, era considerata una malattia, era considerata un disturbo. Adesso io non sono uno psicologo ma questa cosa discriminava molto gli omosessuali nella società. Quando questa cosa è stata rivista, quasi per evitare una sorta di ritorno, da parte degli omosessuali è stato portavo avanti questo ‘orgoglio’: ‘ecco, noi siamo così! Prima ci avete discriminati e invece adesso tiè! Sapete cosa vi diciamo? Bam! Vi sbattiamo in faccia questo nostro essere e lo facciamo con orgoglio’.
Io, questo orgoglio, non lo capisco. Da una parte si vuole la normalizzazione, si vuole essere riconosciuti in tutto e per tutto coi propri diritti come se l’omosessualità non fosse una cosa strana, ma poi si dice: ‘guarda che noi siamo diversi. Siamo diversi e vi sbattiamo con orgoglio la nostra diversità’. E’ questo il problema”.
Forse non ho capito: il problema è che non ci stiamo più a passare per malati mentali? O non è carino il termine “orgoglio”? Se è per questo, ho notato che, in altri video, il prete social parla spesso dell’ orgoglio di essere cristiani, e ne parla bene. Il nostro orgoglio di essere noi stessi invece, non va bene. Secondo la sua logica, noi commettiamo due peccati: uno è quello degli atti impuri e l’altro, ancora prima, quello di essere fieri di essere al mondo. Dovremmo essere più tristi, più travagliati, per piacere al don.
“Oggi il dibattito è esacerbato. Io non posso dire niente sull’omosessualità. Perché intuisco che dall’altra parte non ci sarebbe ascolto. Perché subito mi direbbero: ah voi Chiesa! Voi siete contro l’omosessualità! Voi siete vecchi! ll mio tentativo di dire che quello che mi sta a cuore sei tu e sono disposto a entrare in dialogo con te, non verrebbe assolutamente capito. Perché c’è l’intenzione di far passare un messaggio che è un filino ideologico”.
Notare: il messaggio “un filino ideologico” è sempre quello degli altri. Ricostruire la storia a proprio comodo, deridere la scienza, difendersi con artifici retorici, non è ideologico. Ideologico è ciò che viene da “un certo movimento politico”. Punto.
“La questione del gender, del transgender… adesso si dice che i generi sessuali, uno se lo sceglie… si sceglie se essere maschio e femmina… Cioè… sono questioni di una portata filosofica anche notevole, che però stanno pian pianino penetrando in tanti strati della società”
Qui, la domanda da porre al prete social sarebbe: ma dove hai sentito queste castronerie? Dove studiato? Sui bignami dei movimenti pro-vita? Ma piano perché sta per arrivare il carico da novanta:
“Io non so se essere omosessuali sia una cosa normale. Cosa vuol dire normale? Normale vuol dire che può succedere, che posso rinvenire dentro di me questa situazione o che posso trovare una persona che abbia questa tendenza. Normale vuol dire che è nell’ordine delle cose. Ma, dal punto di vista biologico, non è normale che il mio corpo si attratto dal corpo… o meglio… questa cosa può capitare, però c’è qualcosa che non funziona. Ma poi, l’uomo e la donna non sono proprio uguali. Sono due mondi completamente diversi, non solo dal punto di vista biologico fisico ma anche dal punto di vista psicologico. La psicologia parla chiaro, cioè…”
Altra interruzione: uno dei due ragazzi che discutono col prete social, sbotta. Gli fa notare che le differenze di ruolo tra maschio e femmina derivano in larga parte da fattori antropologici, culturali e sociali. Afferma che, nella psiche umana, si riscontrano differenze molto più marcate tra individui con storie di vita diverse che non con genere diverso. E aggiunge che, in natura, l’omosessualità è presente in molte specie ed ha una funzione fondamentale nella conservazione della specie stessa.
Qui, don Alberto non ribatte. Annuisce, come colui che sa tutto, ha letto tutto o perlomeno ha sentito dire, ma passa ad altro. Il prete social ottiene così di confermare le sue idee: “su certi argomenti, io non posso dire niente”.
Ma caro il mio prete social: non è questione di non poter dire niente. E’ che un esperto conoscitore di funghi non potrà mai accettare di discutere alla pari con un novellino che non ha mai messo piede in un bosco o che conosce il bosco per averne sentito parlare dai taglialegna! E tu, sacerdote ventiseienne eterosessuale, non puoi pretendere di sapere di omosessualità più di me, laico cinquantacinquenne omosessuale innamorato del proprio compagno. Il tuo dovere, prima di spopolare sui social, è di ascoltare. E studiare, anche se è faticoso.