Il prezzo della libertà. La mia vita come missionario e gay in Africa
Intervista di Adélard a fratello Jimmy, missionario in Africa, pubblicata sul sito GayChristianAfrica.org il 17 novembre 2019, liberamente tradotta da Giacomo Tessaro
“Le nostre culture hanno un ruolo importante nella società, perciò la lotta per i diritti dovrebbe essere condotta attraverso il dialogo”. Fratello Jimmy ci parla della sua vita di missionario e gay (in Africa).
Quando ha capito di essere omosessuale?
Quando ho capito di avere dei sentimenti diversi non ero più giovanissimo; comunque, all’età di dieci anni, mi ricordo che ammiravo un mio compagno che divenne mio amico intimo, adoravo vedermi con lui, sedermi accanto a lui in aula, andare in giro insieme, non avevo in testa nessun pensiero sessuale, ma nutrivo dei sentimenti profondi per lui.
Anche ora che è sposato, ogni volta che lo vedo mi ricordo dei vecchi tempi… ma questo mi dimostra che l’orientamento sessuale non consiste in ciò che avviene tra due uomini o due donne, come si tende a pensare, ma è un sentimento naturale tra due persone, una cosa che ritengo molto normale.
Questo è mai stato un problema per la sua vocazione? In che modo vive la sua scelta di seguire Dio, la sua fede, e la sua sessualità?
Sì [è stato un problema], perché a volte non mi sono sentito capito nei miei ragionamenti. Penso che vivere la vocazione e al tempo stesso questo stile di vita non costituisca un problema, fino a che non trovi qualcuno che cerca di ingannarti per spillarti soldi; voglio dire, la gente che approfitta del fatto che sei un consacrato gay per ricattarti; a volte succede, perché se si sapesse, in certi ambienti scoppierebbe uno scandalo.
Una volta mi sono trovato in una situazione del genere: un amico, approfittando del fatto che sono un religioso, ha pubblicato la mia foto a una festa gay con il mio nome; la festa era riuscita bene, gli invitati si erano comportati bene, e non dissi niente a questo mio amico che mi chiedeva soldi, ma senza ottenere gran che. Per questo motivo non è facile socializzare, le nostre società non sono pronte e tendono ad essere omofobe, e secondo me i motivi sono l’ignoranza e la scarsa comprensione.
Di fronte agli altri, si sente libero e accettato nelle sue scelte?
Penso che, per quanto riguarda la vita interna della comunità, non ci siano problemi. Per me l’orientamento sessuale è uno stile di vita, che dovrebbe essere vissuto in modo positivo e non dà problemi.
Nessuno va in giro a chiedere alla gente che orientamento ha, ma a volte, per vivere a fondo l’esperienza comunitaria, dobbiamo comunicarlo in privato ai nostri confratelli. Viene compreso? Nella maggior parte dei casi no, ma la cosa più importante sono le relazioni tra i membri della comunità, l’orientamento sessuale può venire compreso benissimo, e può essere un dono anche per gli altri.
Perché ha fatto la scelta della vita comunitaria?
Ho fatto questa scelta prima di scoprire il mio orientamento. Ho frequentato una scuola mista, e ho avuto l’opportunità di passare del tempo con le ragazze. Avvertivo il loro affetto, ma ricordo che sentivo attrazione per i ragazzi, e mi piaceva stare in mezzo a loro. Nella nostra compagnia c’erano molte ragazze, è vero, ma con loro non mi comportavo come facevano i miei amici, che passavano le notti dietro alle ragazze.
Questo a volte ha suscitato degli interrogativi tra i miei amici, ma non mi ha mai causato problemi, perché avevo una ragazza come ce l’avevano gli altri, ma non buttavo il mio tempo libero con lei. Questo, a scuola, ha fatto di me un gigante nell’autocontrollo. In quel periodo non è successo nulla tra noi ragazzi, e i miei sentimenti per loro non erano chiari.
Cosa la fa stare in carreggiata?
Cerco di stare in carreggiata, certamente non da solo. In comunità ho visto tante, troppe persone che entrano per sfuggire a vari problemi, perché hanno paura di mettere su famiglia, perché temono di non poter soddisfare la loro donna, o semplicemente perché vogliono fuggire, ma l’esperienza comunitaria non è una fuga, richiede di mettersi di fronte a Dio e dire “Eccomi, prendimi così come sono e dammi ciò di cui ho bisogno per essere come tu mi vuoi”; questa è la mia esperienza dopo 22 anni di comunità, non ho rimpianti, e non ne ho mai parlato con i miei superiori, nemmeno una volta.
Provo amore per loro, mi hanno ascoltato e aiutato… non a diventare diverso da quello che sono, ma ad imparare a gestire la mia sessualità, come dovrebbe fare chiunque, di qualsiasi orientamento.
Lei è stato in molti Paesi come missionario; come definirebbe i vari punti di vista sull’omosessualità all’interno della Chiesa Cattolica?
In Africa ci sono Paesi più aperti, come il Sudafrica e il Botswana, dove ho notato che la Chiesa stessa non condanna, ma aiuta. Per esempio, la cappella della Santa Trinità all’Università Witz di Johannesburg organizza ogni giovedì una Messa serale per le persone LGBT, a cui segue una cena fraterna; è un bellissimo momento, lì ho visto molti giovani andare a Messa, confessarsi, ricevere la Comunione, ma rimanere quello che sono.
Quale, tra i Paesi africani che ha visitato, è più aperto e accogliente verso le persone LGBT?
Penso che i Pesi africani debbano aprirsi e comprendere la situazione di ogni individuo, e le Chiese dovrebbero fare la stessa cosa. Sono sicuro che alcune lo fanno, ma dentro di me sorge prepotente una domanda: se vogliamo essere compresi, come dobbiamo presentarci a chi non ci conosce? Non va bene il modo in cui presentiamo le nostre problematiche in Africa, le nostre culture hanno un ruolo importante nella società, perciò la lotta per i diritti dovrebbe essere condotta attraverso il dialogo.
L’omosessualità dovrebbe essere posta in dialogo con le nostre culture, bisognerebbe soprattutto parlare con le madri, con i genitori, il messaggio può essere dato con dolcezza, in modo da poter essere ascoltato e compreso. C’è bisogno di comprensione. In Sudafrica questo è stato possibile grazie alle buone relazioni instauratesi tra le persone LGBT e i gesuiti… che ha creato un buon clima per la comprensione.
Cosa vuole dire alle culture africane su questo tema?
Bisogna ascoltare prima di giudicare una persona. Sia la Chiesa che le persone LGBT hanno bisogno di dialogare, un dialogo che può iniziare nel privato e aprirsi sempre di più.
C’è qualcos’altro che vuol dirci, che vorrebbe dire ai giovani che si barcamenano tra la loro fede e la loro sessualità?
C’è un’avvertenza che nessuno dovrebbe ignorare: “Abbiamo una sola vita”. Se ne avessi due, ne userei una per Dio e una per me, ma dato che ne abbiamo solamente una, cerchiamo di usarla bene. Sia che siamo omosessuali, sia che siamo bisessuali, sia che siamo etero, sia che siamo qualsiasi altra cosa, possiamo venire compresi solamente attraverso il modo in cui viviamo. So che la vita non è sempre facile, ma per esempio, essere cristiani e LGBT vuol dire, in un certo senso, andare controcorrente.
Voglio dire, io ho la mia vocazione e anche la mia vita privata, posso frequentare i miei confratelli, posso andare a Messa dove sono invitato, ma non è facile sapere cosa fare e come comportarsi. La regola “pratica l’astinenza, sii fedele e usa il profilattico” non vale solo per le persone etero, ma per tutti gli esseri umani. Perciò, questo è il mio consiglio: siate liberi, ma ricordate che i cristiani sanno bene che la libertà non è gratis: ha un prezzo, e noi dobbiamo fare la nostra parte.
Testo originale: African churches and LGTB need to have a dialogue
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