Arriva il Pride: siamo tutti pronti a esserci?
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
Conclusa la stagione delle veglie per le vittime dell’omofobia, comincia il Pride. L’onda Pride, si dice in Italia. Si è già cominciato con Vercelli, seguiranno: il 1° giugno Alessandria, Modena, Padova, Perugia, Salerno; l’8 Messina, Pavia, Roma, Ancona,Trieste; il 15 Brescia, Genova, Torino, Vicenza, Varese; il 22 Bologna, Frosinone, Napoli, Siracusa; il 28 Palermo; il 29 Bari, Catania, Milano, Treviso; il 6 luglio Asti, Cagliari, Monza, Pisa; il 20 luglio Matera; il 27 Campobasso, Reggio Calabria, Rimini; il 16 agosto Gallipoli; il 14 settembre Novara e Sorrento.
Secondo me, non c’è nessuna contraddizione tra le nostre veglie e il pride. Queste non sono la versione “accettabile” di quello. Sono aspetti diversi della stessa storia. Da una parte abbiamo manifestato i nostri sentimenti, le nostre ansie, i nostri desideri davanti a Dio; dall’altra lo facciamo davanti alla comunità civile. Con stili diversi, si capisce, ma con identica passione.
Per me è una festa comandata, un momento irrinunciabile in cui tutti celebriamo la nostra uguaglianza nelle diversità. Una volta, un amico un po’ riservato mi disse che il pride non era nelle sue corde. Gli risposi: “sapessi quante volte non è nelle mie corde andare a messa! E sai che c’è? Mi faccio forza, ci vado lo stesso e torno a casa contento”.
Obiettò che così stavo ledendo la sua libertà. Ma la libertà non è mica fare ognuno quel che gli pare! Libertà è costruire un mondo in cui ciascuno può soddisfare il proprio bisogno. E’ poter vivere e non solo sopravvivere, esprimersi e affermarsi senza doverlo fare di nascosto.
C’è un famoso passo evangelico, in cui si definisce bene la libertà: il Benedictus. Si dice che il Signore si è ricordato “di concederci, liberati dalle mani dei nemici, di servirlo senza timore in santità e giustizia” (Lc 1,74)
Senza timore, in santità, e giustizia. Il primo e l’ultimo termine sembrano accordarsi benissimo ai motivi per cui si celebra il pride: affermare giustizia; superare le paure. L’altro, santità, sa tanto di religioso ma non si allontana. Santità vuol dire virtù, capacità di mettere a frutto i propri talenti e di farlo contro ogni ostacolo, con eroismo. Libertà è la condizione che permette di tirare fuori il meglio di sè e metterlo a disposizione del mondo.
Belle parole, certo. Ma ci dicono che il pride è una carnevalata, che è provocatorio, “ostentato”, come afferma anche il sottosegretario alle pari opportunità Vincenzo Spadafora.
Io preferisco ricordare che il pride è l’unica manifestazione di piazza in cui non si sono mai verificati incidenti. Sobrio o pittoresco che sia, è da sempre una grande celebrazione pacifica. E infatti nasce, cinquant’anni fa precisi, dopo i moti dello Stonewall Inn di New York, come risposta nonviolenta ai soprusi della polizia.
Allo Stonewall iniziò il movimento di liberazione omosessuale. Fu un punto di partenza senza il quale oggi non avremmo alcun diritto. Senza quell’inizio, non potremmo nemmeno immaginare di celebrare oggi le nostre veglie per le vittime dell’omofobia. E Stonewall non era un posto “sobrio”. Era un baraccio in cui si radunavano più o meno clandestinamente gay e trans per fare un gran baccano. L’emancipazione del popolo lgbt non cominciò da un ragionamento politico raffinato. Fu un travestito (all’epoca si diceva così), la trans Sylvia Rivera, a segnare l’inizio della rivoluzione gentile, svincolandosi dal braccio di un poliziotto che la stava caricando su una camionetta.
Il pride, per molti di noi, è ancora oggi l’occasione per svincolarsi: dai pregiudizi, dalle paure, anche da se stessi, se necessario.
Il primo pride a cui partecipai fu quello di Torino 2006. Fino allora avevo creduto che l’omosessualità fosse una questione personale o tutt’al più “identitaria”. Quell’anno, con la discussione sui pacs, era palpabile che la nostra causa era diventata un fatto politico. Tutti parlavano di gay, perlopiù a sproposito, e allora iniziai a parlarne anch’io.
Inizialmente, avevo parecchi dubbi su una manifestazione del genere. Provai a cambiare idea. Il 16 giugno ero a Porta Susa con la mia amica Silvana, armati di macchina fotografica. E’ inutile raccontare l’emozione, la gioia di essere per strada con tutto me stesso.
Ci eravamo appostati sotto i portici di via Cernaia e guardavamo i carri passare, i visi sorridenti. Dopo un po’ ci guardammo negli occhi e ci buttammo correndo in mezzo al corteo. Con tutto noi stessi; anche con la nostra fede. Fu la nostra celebrazione privata di ingresso nella comunità pubblica.
Tutti gli anni vedo ripetersi scene come quella: ragazzi, ma soprattutto adulti della mia generazione, che guardano da sotto i portici e poi, a un tratto, sentono che è arrivato il momento giusto e si buttano nella mischia, per manifestare e manifestarsi.
Quella sera dovevo poi trovarmi a cena con gli amici della parrocchia (a cui non avevo assolutamente detto nulla). Telefonai che sarei arrivato in ritardo e mi risposero che non c’era problema perché era in ritardo tutto quanto. Quando arrivai erano a tavola e mi accolsero con uno strano silenzio. Laura si alzò e mi dette un bacino. Disse: “guarda che c’eravamo anche noi”. E ci fu un applauso.
Buon pride a tutte e tutti.