Il Pride, i pregiudizi e l’importanza di un sano orgoglio gay
Riflessioni di Justin Lee* pubblicate sul suo blog Crumbs from the Communion Table (Stati Uniti) nel 2014, liberamente tradotte da Silvia Lanzi
Le sfilate/marce del Gay Pride sono popolari per molte ragioni:
1. Forniscono un senso di comunità a persone che a volte sono state isolate o emarginate, anche dai loro familiari.
2. Focalizzano l’attenzione su questioni politiche o sociali che sono importanti per molte persone LGBT.
3. Danno alle Chiese, ai centri comunitari e ad altre organizzazioni l’opportunità di mostrare pubblicamente il loro supporto alle persone LGBT e aumentano la consapevolezza sul loro lavoro.
4. Chi non ama le sfilate?
(Veramente… io no… ma, giudicando dalle folle a Walt Disney World ogni pomeriggio e sera, forse sono in minoranza.)
Ma perché sfilare con l’“orgoglio gay”?
Per capire l’“orgoglio gay”, prima bisogna capire qualcosa circa la vergogna. E questo mi porta ad una storia sulla razza.
Sono cresciuto in periferia negli anni ottanta, un privilegiato bambino bianco. Ho frequentato una scuola per alunni dotati, dove molti (ma non tutti) dei miei compagni di classe erano anche loro bambini privilegiati bianchi. Comunque, molti dei miei amici non erano bianchi e credevo fermamente in una società cieca al colore della pelle, dove la gente avrebbe potuto essere vista per quel che era, non per la sua razza.
Così forse potrete capire perché fui confuso la prima volta che vidi una compagna di classe nera indossare una maglietta che diceva “Nero è bello”.
Aspetta un attimo, pensai, non è sottinteso che siamo privi di pregiudizi razziali? Dopo tutto, se uno studente avesse indossato una maglietta che diceva “Bianco è bello”, sarebbe stato considerato razzista e offensivo. Perché non valeva lo stesso in entrambe le situazioni?
C’è voluta una chiacchierata con il mio migliore amico nero per farmi capire qualcosa.
I bambini neri americani, oggi, non crescono in un mondo con fontanelle per bere separate, ma crescono in un mondo dove la pelle nera è ancora considerata uno svantaggio. Secondo numerosi studi, anche le bambine più piccole – bianche e nere – identificano le bambole bianche come “buone” e “belle” e le bambole nere come “cattive” e “brutte”.
Questi messaggi culturali arrivano da varie fonti. Sono profondamente radicati, e chi appartiene alla maggioranza bianca non sempre li nota. Ma sono lì. A nessuno di noi piace pensare a se stesso come a un razzista, ma gli esperimenti continuano a mostrare che le persone trattano gli altri in modo diverso (e fanno diverse supposizioni su di loro) in base alla loro razza.
Anche nella comunità afroamericana è vero che spesso uomini e donne con una pelle più chiara cono considerati più belli di quelli con la pelle più scura. E questo non è un problema solo per i neri americani; in Asia, per esempio, la chirurgia estetica è diventata estremamente popolare per cercare di sembrare più caucasici.
Il messaggio implicito, senza dubbio alimentato dai film e dalla televisione americana, è che bianco è bello e le altre razze no: meno si appare caucasici, meno si è attraenti, desiderabili e affidabili.
Chi tra noi che è caucasico può scuotere tristemente la testa e desiderare che le cose siano diverse, dimenticarsene e passare al problema successivo. Ma quella ragazzina con la pelle nera non ha quest’opportunità. Si alza ogni mattina sapendo che la società, ad un certo livello, la considera “meno di” a causa della sua pelle, del suo naso e dei suoi capelli.
Così, quando quella mia compagna di classe nera indossava una maglietta con su scritto “Nero è bello” per venire a scuola, era la sua maniera di combattere contro le pressioni sociali che dicevano che solo bianco è bello. Non voleva ignorare o nascondere ciò che la rendeva diversa (e questo è quanto per “l’essere privi di pregiudizi razziali”) e non voleva vergognarsi di questo; invece, stava facendo una scelta cosciente per esaltare proprio le cose che gli altri avrebbero potuto usare per buttarla giù. Per contrasto, se qualcuno venisse a scuola con una maglietta “Bianco è bello”, non farebbe che aggiungere un tassello alle forti pressioni sociali che sta cercando così difficilmente di superare.
Essere gay in America non è lo stesso che essere neri in America; sono esperienze molto, molto diverse. Ma entrambi i gruppi hanno dovuto combattere contro un tipo velenoso di vergogna.
Alcuni tipi di vergogna vanno bene, certamente. Se fai qualcosa di sbagliato, dovresti sentire un senso di vergogna. Ma alcuni tipi di vergogna sono velenosi. Se una ragazzina pensa che ci sia qualcosa di sbagliato in lei perché i suoi capelli non sono dritti e la sua pelle è troppo scura, questo è un tipo di vergogna velenoso. E quando sua madre la incoraggia ad essere orgogliosa della sua razza e della sua eredità, è una specie di orgoglio sano e buono per combattere quella vergogna velenosa.
Le persone omosessuali, in molte culture, crescono con la stessa vergogna velenosa e, dal momento che i loro genitori normalmente sono eterosessuali, si sentono particolarmente soli. Pensiamo che ci sia qualcosa che non va in noi perché non siamo come gli altri ragazzini o le altre ragazzine, perché non ci piacciono le stesse cose che piacciono a loro, non camminiamo nello stesso modo, non parliamo nello stesso modo. Sviluppiamo l’attrazione per lo stesso sesso nella pubertà e proviamo un profondo, costante senso di vergogna, non per qualcosa che abbiamo fatto, ma a causa di sentimenti che non vogliamo e di cui non possiamo sbarazzarci. E se alla fine scegliamo di intraprendere una relazione, rimanere single o anche di sottoporci ad una terapia riparativa, può essere molto difficile scrollarci di dosso quella vergogna velenosa.
È questo – insieme ai messaggi dolorosi che possiamo sentire dalla famiglia, dai colleghi di lavoro, dai politici e dalle Chiese – che spinge molte persone LGBT a proclamare pubblicamente e ad alta voce il loro orgoglio per quello che sono. Non lo intendono come quella specie di orgoglio “arrogante” che i cristiani devono evitare, ma piuttosto nel senso di gioire per le cose che li rendono diversi, come un antidoto alla vergogna che minaccia di deprimerli.
Così le “sfilate dell’orgoglio” sono, per molti, un modo di respingere la vergogna, unirsi agli altri che sono nella stessa barca e trovare un senso di comunità e famiglia che non potrebbero avere altrimenti.
E sì, alcune persone esagerano.
Ma ancora, di nuovo, alcune persone hanno dovuto superare un sacco di vergogna velenosa solo per alzarsi dal letto la mattina. Se una bandiera arcobaleno e un tubo di glitter aiuta, direi che ne vale la pena.
* Justin Lee dirige il Gay Christian Network. I suoi temi di scrittore sono la vita e la fede autentiche.
Testo originale: Questions from Christians #3: “Why do you have gay pride parades? We don’t have straight pride parades. (And isn’t pride a sin?)”