Il Pride. Un’esperienza che comprendi solo se decidi di viverla
Qualche anno fa ho scritto questa frase: «Alla fine, l’unica risposta davvero adeguata, mi è sempre sembrata quella di invitare i miei interlocutori a venire con me per ripercorrere lo stesso percorso che aveva portato me a modificare il mio giudizio sul Pride, passando dalle posizioni dei miei interlocutori, a un atteggiamento di adesione convinta e gioiosa che mi spinge tutti gli anni verso la città in cui viene organizzato».
Per farvi capire questo discorso vi ricordo che oggi é sant’Antonio. Dovete sapere che io sono stato a Padova diversi anni e tutti gli anni ho partecipato a quella grande rappresentazione collettica che é la processione del Santo.
Con il tempo i frati l’hanno incanalata lungo strade che hanno abbandonato il buon gusto e le stranezze, ma anche l’ultima volta che ci sono andato, ho visto alcune cose che mi hanno lasciato perplesso. Eppure ero lì e mi sentivo pienamente partecipe di una rappresentazione corale che aveva uno dei suoi significati nella celebrazione delle diverse forme con cui l’uomo si avvicina a quel segno del soprannaturale che é la figura di Antonio.
So che tra noi (ndr cristiani omosessuali) ci sono dei valdesi: li conosco da molto tempo e so che non apprezzano certe forme di religiosità come la processione del Santo a Padova. Sono però sicuro che anche loro, se andassero alla processione del Santo alla fine si accorgerebbero di aver vissuto un’esprienza forte che andava la pena di vivere.
Ecco, la stessa cosa capita per chi viene al Pride. L’ho sperimentato anche ieri con un ragazzo che ci partecipava per la prima volta: anche se non modifica il suo giudizio su certe cose che sono di cattivo gusto, quella persona capisce che lì, in quel contesto, anche queste cose vanno bene, perché fanno parte di una celebrazione collettiva che va al di là delle singole manifestazioni con cui si presenta.
Ecco perché io invito sempre i perplessi a farla questa esperienza di venire al Pride e di fare l’esperienza di chi si lascia coinvolgere in una cosa che all’inizio fa fatica a capire.
Tra l’altro, questa “celebrazione/ostentazione della diversità” durante la parata del Pride ha un significato ancora più particolare, perché coinvolge molto spesso persone che durante la vita di tutti i giorni sono costrette a nasconderla questa loro diversità o che hanno dovuto fare tanta fatica per accettarla e conquistarla.
Una persona mi aveva infatti contestato la presenza delle transessuali scosciate e scoperte che mettevano in mostra tutto il ben di Dio che erano riuscite ad accumulare durante il lungo percorso di terapie ormonali e di operazioni chirurgiche che l’e aveva portate a trasformare il loro corpo da maschile a femminile.
L’ho fatto ricordando una frase che mi aveva detto un’amica transessuale tanti anni prima: «Vedi, quando dopo aver dovuto sopportare un corpo che non senti come il tuo per tanti anni, ti ritrovi ad avere un corpo che non ti mette più a disagio, la reazione che hai è quella di chi ha portato per tutto il giorno delle scarpe troppo strette e che, la sera, le può finalmente togliere: un senso di liberazione indicibile».
Alla luce di queste parole si può capire l’esibizionismo di certe persone che finalmente non si sentono più oppresse da un corpo estraneo e sentono la necessità di far vedere il corpo con cui sono finalmente riuscite a fare la pace, un corpo di cui provano una fierezza che difficilmente noi riusciamo a immaginare, anche perché quel corpo é il risultato di un percorso faticoso e fisicamente doloroso.
E così diventa bello sfilare con loro, anche se il loro esibizionismo qualche volta ti da fastidio (qualcuno mi ha ricordato un mitico battibecco che ho avuto con una transona piena di piume che si fermava continuamente per farsi fotografare e a cui ho detto: «Se non ti togli di mezzo e non ci fai passare ti spenno viva!»). E’ bello perché sappiamo che per loro, tutta quell’ostentazione, é davvero un momento liberante, perché alla fine il Pride non é altro che una «celebrazione della diversità».
Ed é alla luce di questa constatazione che ho sempre detto che non ha senso dare alle parate del Pride altri significati e ho sempre visto con grande sospetto quelle che, da qualche anno a questa parte, gli organizzatori propongono come le «piattaforme politiche» dei Pride.
Mi sembrano forzature, perché l’unica vera piattaforma politica che univa tutte le persone che sfilavano ieri a Milano era il desiderio di essere se stessi senza doversi nascondere per il giudizio e per l’ostilità dell’ambiente circostante, un desiderio che talvolta portava a una fierezza di questa propria specificità (il “pride” appunto), un desiderio che, per chi come me è credente, si traduce in un senso di gratitudine nei confronti di Dio per avermi creato, per avermi fatto cristiano e per avermi fatto omosessuale.