Il “miracolo” del Natale per Bonhoeffer
Articolo tratto da La Civiltà Cattolica n. 23 del 4 dicembre 2004
Il 17 dicembre 1943, due anni prima di essere impiccato per ordine di Hitler, dal carcere berlinese di Tegel così Dietrich Bonhoeffer scriveva ai genitori: «Molti di questa casa [il carcere] celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome». L’editoriale mostra la profondità e la ricchezza della concezione che il martire del nazismo aveva sull’evento Natale.
A tale scopo si riportano alcuni suoi testi significativi, molto attuali anche per il nostro tempo. Egli, vissuto in tempi ben più oscuri dei nostri, invita a contemplare la mangiatoia di Betlemme per intonare l’inno della speranza.
«Soprattutto una cosa: non dovete pensare che io mi lasci abbattere da questo Natale in solitudine». Così Dietrich Bonhoeffer scriveva ai genitori il 17 dicembre 1943 dal carcere berlinese di Tegel, dove era stato rinchiuso con l’accusa di cospirazione contro il regime nazista. Fu messo in isolamento in una cella sudicia senza che nessuno gli rivolgesse la parola.
La lettera continuava: «Guardando la cosa da un punto di vista cristiano, non può essere un problema particolare trascorrere un Natale nella cella di una prigione. Molti in questa casa celebreranno probabilmente un Natale più ricco di significato e più autentico di quanto non avvenga dove di questa festa non si conserva che il nome.
Un prigioniero capisce meglio di qualunque altro che miseria, sofferenza, povertà, solitudine, mancanza di aiuto e colpa hanno agli occhi di Dio un significato completamente diverso che nel giudizio degli uomini; che Dio volge lo sguardo proprio verso coloro da cui gli uomini sono soliti distoglierlo; che Cristo nacque in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo; tutto questo per un prigioniero è veramente un lieto annunzio» (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa, Cinisello Balsamo [MI], Ed. Paoline, 1988, 324).
Rimase nel carcere di Tegel 18 mesi. Nell’ottobre del 1944 fu trasferito nel carcere della Gestapo in Prinz-Albrecht-Strasse per essere poi internato, il 7 febbraio 1945, nel campo di concentramento di Buchenwald. Il 9 aprile, nel campo di sterminio di Flossenburg, fu impiccato perché giudicato reo di cospirazione contro il Führer. Aveva 39 anni. Intuendo prossima la morte aveva detto: «È la fine – per me l’inizio della vita».
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Nella lettera citata aveva affermato di voler ricordare il Natale in prigione «con un certo orgoglio». Si riferiva soprattutto all’orgoglio di sapersi nella sequela di Cristo, nato «in una stalla perché non aveva trovato posto nell’albergo».
Neanche per D. Bonhoeffer, pastore della Confessione luterana, nemico dichiarato del regime nazista, c’era posto nella società dominante. Rifiutato come Cristo, e come Cristo giudicato colpevole. Per chi, come lui, aveva scelto Cristo come signore, centro e ideale della sua vita, l’essere «trattato come un pericoloso criminale», carcerato e ridotto al silenzio, autenticava la sua fede cristiana.
Questa condizione — l’assimilazione a Cristo —, approfondita e sviluppata nei suoi elementi essenziali, costituisce l’anima della sua concezione religiosa: «L’uomo che Dio accoglie, giudica e fa risorgere a nuova vita è Gesù Cristo, e in lui l’umanità intera: siamo noi. Soltanto la persona di Gesù Cristo affronta vittoriosamente il mondo. Da questa persona, nasce e prende forma un mondo riconciliato con Dio» (D. Bonhoeffer, Etica, Milano, Bompiani, 1969, 69).
Nella nascita di Gesù Cristo, Dio si abbassa e si rivela: «Cristo nella mangiatoia […]. Dio non si vergogna della bassezza dell’uomo, vi entra dentro […].
Dio è vicino alla bassezza, ama ciò che è perduto, ciò che non è considerato, l’insignificante, ciò che è emarginato, debole e affranto; dove gli uomini dicono “perduto”, lì egli dice “salvato”; dove gli uomini dicono “no”, lì egli dice “sì”.
Dove gli uomini distolgono con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo, lì egli posa il suo sguardo pieno di amore ardente incomparabile. Dove gli uomini dicono “spregevole”, lì Dio esclama “beato”.
Dove nella nostra vita siamo finiti in una situazione in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio, dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi, dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita, proprio lì Dio ci è vicino come mai lo era stato prima, lì egli vuole irrompere nella nostra vita, lì ci fa sentire il suo approssimarsi, affinché comprendiamo il miracolo del suo amore, della sua vicinanza e della sua grazia» («Sermone della 3a domenica di Avvento», in D. Bonhoeffer, Riconoscere Dio al centro della vita, Brescia, Queriniana, 2004, 12 s; d’ora in poi RD).
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Il Natale permette di comprendere questo miracolo. Bonhoeffer lo ha compreso in maniera così viva da considerarlo la realtà della sua vita. Nella cella del carcere di Tegel ha appeso a un chiodo la corona dell’Avvento e attaccato la Natività del Lippi.
La meditazione su Maria e sul Bambino della mangiatoia lo inonda di serenità; ricorda i Lieder cantati in famiglia, soprattutto questi versi: La mangiatoia splende luminosa e chiara, / la notte porta una luce nuova, / la tenebra non deve entrare, / la fede resta sempre nella luce (Resistenza e resa, cit., 214). Allora quel «buco» di prigione diventa una finestra spalancata sull’universo della fede, e l’oscurità è assorbita dalla luce di un mistero non semplicemente da ricordare, ma da celebrare.
«Il fatto che Dio elegge Maria a suo strumento, il fatto che Dio vuole venire personalmente in questo mondo nella mangiatoia di Betlemme, non è un idillio familiare, bensì è l’inizio di una conversione totale, di un riordinamento di tutte le cose di questa terra. Se vogliamo partecipare a questo evento dell’Avvento e del Natale, non possiamo stare semplicemente a guardare come spettatori in un teatro e godere delle belle immagini che ci passano davanti, bensì dobbiamo lasciarci coinvolgere nell’azione che qui si svolge, in questo capovolgimento di tutte le cose, dobbiamo recitare anche noi su questo palcoscenico; qui lo spettatore è sempre anche un attore del dramma, e noi non possiamo sottrarci» (RD, 14).
A questo punto Bonhoeffer si chiede il significato della scena offertaci dal Natale. Che cosa accade a Natale? «Il giudizio del mondo e la redenzione del mondo: ecco ciò che qui accade. Ed è lo stesso Bambin Gesù nella mangiatoia a compiere il giudizio e la redenzione del mondo».
La conseguenza è perentoria: «Non possiamo accostarci alla sua mangiatoia come ci accostiamo alla culla di un altro bambino: a colui che vuole accostarsi alla sua mangiatoia succede qualcosa, perché da essa può allontanarsi di nuovo solo giudicato o redento, deve qui crollare oppure conoscere che la misericordia di Dio è a lui rivolta» (RD, 15).
Celebrare il Natale «in maniera paganamente distaccata», considerarlo una «bella e pia leggenda», pensare che il discorso natalizio sia semplicemente «un modo di dire»: tutto ciò significa sganciarsi dalla Rivelazione e dalla Redenzione. Dio si fa bambino «non per trastullarsi, per giocare», ma per rivelarci che «il trono di Dio nel mondo non è nei troni umani, ma negli abissi e nelle profondità umane, nella mangiatoia».
Attorno al suo trono non ha voluto i grandi della terra, ma personaggi oscuri e sconosciuti «che non si stancano di guardare questo miracolo e vogliono vivere completamente della misericordia di Dio». La mangiatoia e la croce sono le due realtà che determinano il destino dell’umanità. Dinanzi ad esse il coraggio dei grandi di questo mondo si dissolve, e al suo posto subentra la paura.
In verità «nessun violento osa avvicinarsi alla mangiatoia, e neppure il re Erode l’ha fatto. Appunto perché qui vacillano i troni, cadono i violenti, precipitano i superbi, perché Dio è con gli infimi […]. Davanti a Maria, alla serva, alla mangiatoia di Cristo, davanti al Dio della bassezza il forte cade, non ha alcun diritto, alcuna speranza, è giudicato».
Tali considerazioni inducono a un leale esame di coscienza. «Alla luce della mangiatoia», che cosa è alto e che cosa è basso nella vita umana? Abbiamo lo stesso criterio del Signore nel formulare un giudizio in merito?
«Ognuno di noi vive con persone che diciamo altolocate e con persone che diciamo di basso rango.
Ognuno di noi ha sempre qualcuno che sta più in basso di lui. Ci aiuterà questo Natale a imparare ancora una volta a cambiare radicalmente idea su questo punto, a cambiare mentalità e a sapere che la nostra via, nella misura in cui deve essere una via verso Dio, non ci conduce verso l’alto, bensì in maniera molto reale verso il basso, verso i piccoli, e a sapere che ogni cammino tendente solo verso l’alto finisce necessariamente in maniera spaventosa?».
La conclusione di Bonhoeffer è perentoria: «Dio non permette che ci si prenda gioco di lui (Gal 6,7). Non permette che celebriamo anno dopo anno il Natale senza fare sul serio.
Egli mantiene sicuramente la sua parola, e a Natale, quando entrerà, con la sua gloria e con la sua potenza nella mangiatoia, rovescerà i violenti dai troni se finalmente, finalmente non si convertiranno» (RD, 18).
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Nell’altro sermone-meditazione del Natale 1940 Bonhoeffer si sofferma sul testo di Isaia (9,5-6): «Un bambino è nato per noi» e sugli appellativi con il quale il profeta lo qualifica. I toni elevati sono percorsi da brividi di commozione per la consapevolezza che l’oggi del profeta è anche il nostro oggi.
Anche nel nostro tempo, così appesantito da colpe e da miserie, nasce un bambino che realizza la nostra redenzione. «La mia vita dipende adesso unicamente dal fatto che questo bambino è nato, che questo figlio ci è dato, che questo discendente di uomini, che questo Figlio di Dio mi appartiene, dal fatto che lo conosco, ce l’ho, lo amo, dal fatto che sono suo e che egli è mio» (RD, 26).
Dinanzi all’affermazione che «sulle deboli spalle di questo neonato poggia la sovranità su tutto il mondo», l’uomo del nostro tempo, sicuro di sé, forse riderà beffardamente; ma i credenti sanno che il Bambino di Betlemme è «Dio in forma umana».
Sanno anche che la sovranità che poggia sulle sue spalle «consiste nel portare pazientemente gli uomini e la loro colpa. E tale portare comincia nella mangiatoia, comincia lì dove il Verbo eterno di Dio ha assunto la carne umana e l’ha portata».
Quali nomi dà il profeta a questo Bambino? Consigliere ammirabile: «Dal consiglio eterno di Dio è scaturita la nascita del bambino salvatore», che col suo amore ci conquista e ci salva. «Questo Figlio di Dio, dal momento che è il suo consigliere ammirabile, è anche una fonte di tutti i miracoli e di tutti i consigli».
Dio potente: «Qui egli è povero come noi, misero e inerme come noi, un uomo di sangue e carne come noi, nostro fratello. E tuttavia è Dio, tuttavia è potente. Dov’è la divinità, dov’è la potenza di questo bambino?
Nell’amore divino con cui divenne uguale a noi. La sua miseria nella mangiatoia è la sua potenza». Padre per sempre: in questo bambino si rivela l’amore eterno del Padre perché «il Figlio è una cosa sola con il Padre […]. Nato nel tempo, egli porta con sé l’eternità sulla terra».
Principe della pace: «Dove Dio viene agli uomini e si unisce ad essi per amore, lì tra Dio e l’uomo, e tra uomo e uomo è conclusa la pace. Se temi l’ira di Dio, va’ dal bambino nella mangiatoia e lasciati ivi donare la pace di Dio.
Se sei in lite con tuo fratello e lo odi, vieni e vedi come Dio è diventato per puro amore nostro fratello e ci vuole riconciliare fra di noi. Nel mondo regna la violenza, questo bambino è il principe della pace. Dov’egli è, lì regna la pace» (RD, 30).
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Occorreva coraggio e fede profonda per scrivere queste parole quando l’esercito hitleriano avanzava vittorioso su molte nazioni europee, convinto che Gott mit Uns, che Dio era con la razza ariana, che Dio era il Terzo Reich.
Mentre molti intellettuali, scienziati e artisti erano emigrati perché consapevoli della fine di ogni libertà della cultura, lui — Bonhoeffer — era rientrato in Germania dagli Stati Uniti per aiutare la sua nazione a ritrovare la propria anima, la propria libertà, soprattutto a ricordarle dove si trovano le radici della pace.
Karl Barth, suo maestro, aveva denunciato l’inconciliabilità del nazismo con il cristianesimo e abbandonato la Germania; Bonhoeffer, superando ogni timore, aveva deciso di restare accanto alla «Chiesa confessante» (die bekennende Kirche) di netta opposizione al nazismo. Al Terzo Reich opponeva il regno di Dio.
«Soltanto dove non si permette a Gesù di regnare, dove l’ostinazione, il dispetto, l’odio e l’avidità umana possono scatenarsi sfrenatamente non può esserci pace. Gesù non vuole il suo regno di pace con la violenza, bensì dona la sua pace mirabile a coloro che gli si sottomettono volontariamente e lo lasciano regnare sopra di sé […].
Un regno di pace e di giustizia, desiderio inappagato degli uomini, è cominciato con la nascita del bambino divino. Noi siamo chiamati a tal regno, e lo possiamo trovare se riceviamo nella Chiesa, nella comunità dei credenti, la parola e il sacramento del Signore Gesù Cristo, se ci sottoponiamo alla sua sovranità, se riconosciamo nel bambino posto nella mangiatoia il nostro salvatore e redentore e ci lasciamo da lui donare una nuova vita nell’amore» (RD, 32 s). Al Gott mit Uns dei nazisti il pastore luterano oppone il «Dio con noi, Gesù-Emanuele» del Natale.
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Celebriamo questo Natale … in un periodo storico in qualche momento minacciato dalla strategia dell’orrore, sotto i cieli dell’insicurezza e dello sgomento anche se senza le tragedie immani della seconda guerra mondiale.
Alcuni pensatori e scrittori, da tempo, hanno intonato il De profundis per l’umanità. Bonhoeffer è vissuto in tempi molto più oscuri del nostro.
Invece del De profundis ha invitato gli uomini del suo tempo a contemplare la mangiatoia di Betlemme per poter intonare l’inno della speranza nonostante il grigiore dei tempi. Due suoi pensieri ne scandiscono le note: «La figura di colui che riconcilia, dell’Uomo-Dio Gesù Cristo, si interpone fra Dio e il mondo, e occupa il centro di tutti gli eventi. In lui è svelato il segreto del mondo e in lui si rivela il segreto di Dio. Nessun abisso del male può rimanere occulto a colui mediante il quale il mondo è riconciliato con Dio. Ma l’abisso dell’amore di Dio abbraccia anche la più abissale iniquità».
«Dio si fa uomo per amore degli uomini. Non cerca il più perfetto degli uomini per unirsi a lui, ma assume la natura umana così com’è. Gesù Cristo non è un’umanità eccelsa trasfigurata, ma il “sì” di Dio all’uomo reale; non il “sì” spassionato del giudice ma il “sì” misericordioso del compagno di sofferenze. In questo “sì” è racchiusa la vita intera e l’intera speranza del mondo» (Etica, cit., 62 s).