“Il regno dei cieli è simile a un granello di senape” (Matteo 13:31-33)
Riflessioni bibliche* di Giacomo Tessaro**
Sicuramente noi valdesi abbiamo pensato molte volte di essere una Chiesa davvero piccola e insignificante: mi riferisco sia alle nostre comunità prese singolarmente, in particolare le più piccole e isolate, sia all’Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste che è la nostra “denominazione”, come dicono gli americani. I valdesi e i metodisti in Italia sono circa 30.000, a cui vanno aggiunte alcune migliaia di battisti dell’Unione delle Chiese Battiste. Siamo un numero molto esiguo all’interno della realtà italiana e non è facile far sentire la nostra voce, anche se siamo presenti da secoli in Italia e la maggior parte di noi non sente il peso dell’essere uno straniero, un immigrato, con tutte le difficoltà che ciò comporta.
Ho fatto questa premessa non certo per dire che noi metodisti e valdesi siamo i veri cristiani mentre gli altri non lo sono, o per dire che noi salveremo l’Italia e il mondo; il paragone con la nostra consistenza numerica viene naturale a un valdese quando pensa alle parole di Gesù oggetto di questa riflessione.
Il Regno dei Cieli viene paragonato a cosa piccole e apparentemente insignificanti, cose che difficilmente vengono notate: quando vediamo un albero non pensiamo al seme che lo ha fatto nascere e quando mangiamo del pane pensiamo forse al grano e alla farina, più difficilmente al lievito. Quando qualcuno incontra un’opera sociale o diaconale della Chiesa Valdese forse riflette molto poco a cosa si celi dietro quel nome che talvolta si sente nei mass media, ma a cui pochi riescono ad associare qualcosa di preciso, tanto da pensare che si tratti di una realtà non cristiana.
Nei decenni che hanno seguito l’emancipazione e l’unità d’Italia una delle prime cose che i missionari valdesi delle Valli e quelli metodisti e battisti provenienti dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti facevano al loro arrivo in una località di provincia, magari isolata, era fondare una scuola che insegnasse ai bambini e agli adulti, non solo appartenenti alla comunità evangelica ma anche esterni, a leggere e scrivere, in un’epoca in cui il sistema scolastico non raggiungeva tutti e la maggior parte della popolazione era analfabeta.
Questi missionari, oltre a predicare, assolvevano al compito di mettere la Bibbia in mano a tutti, alfabetizzando le classi più povere perché potessero pensare con la propria testa.
I missionari che hanno fondato tante nostre comunità in tutta Italia sono partiti soli, sono arrivati soli in zone spesso ostili, hanno lavorato duro per portare a molte persone oppresse la luce di una fede vissuta in modo diverso, più personale e consapevole, ma nello stesso tempo hanno agito anche come maestri di scuola e volontari del sociale, come diremmo noi oggi.
Le comunità che hanno fondato sono rimaste sempre piccole e conosciute solamente nella zona di pertinenza, a volte sono scomparse, ma vengono sovente ricordate per il loro impegno sociale e per la loro importanza nella storia locale. Questo ci riporta alle due immagini utilizzate da Gesù: il seme è scomparso, nel senso che non è più seme ma si è sviluppato in albero; il lievito è servito a fare il pane, ma è scomparso in quanto tale e non si avverte al palato la sua presenza.
Questo forse non è molto incoraggiante: servire da seme e da lievito, da sale, per utilizzare un’altra immagine di Gesù, è certo nostro dovere di cristiani, ma vuol dire forse che, come questi tre elementi, per poter fare del bene al mondo che ci circonda dobbiamo per forza scomparire?
Quando qualcuno fonda un’associazione di volontariato, un’opera assistenziale o diaconale, per usare un termine a noi molto famigliare, il suo scopo non è certo quello di lavorare e impegnarsi per un determinato periodo di tempo per poi vedere la propria opera scomparire, quale che sia il motivo.
A nessun fondatore di movimenti religiosi, a nessun imprenditore fa piacere pensare che un giorno, venuto a mancare il fondatore, quello che ha creato morirà o si trasformerà in qualcosa di molto diverso. In questo atteggiamento c’è una certa dose di egocentrismo e di orgoglio: io sono indispensabile e quello che ho creato io non voglio che scompaia, quelli che verranno devono seguire le mie orme.
Ma il seme non scompare, si trasforma solamente in qualcosa di diverso, ma che ha la medesima natura: leggiamo nel vangelo di Giovanni “In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto” (Giovanni 12:24).
Per tornare all’esempio della nostra Chiesa Valdese, le scuole dove si imparava a a leggere e scrivere sono “morte” perché l’ambiente sociale da allora è profondamente cambiato e l’istruzione è stata presa in carico, nel bene e nel male, dallo Stato, ma questo esempio non è andato perduto: le opere e le iniziative benefiche sostenute dalla Chiesa lo testimoniano. Ogni realtà ecclesiale, di volontariato, ogni associazione che cerchi in qualche modo di rendere il mondo un po’ migliore, di essere lievito e sale della terra, opera in maniera differente a seconda dell’ambiente in cui si trova: un missionario o un medico che si recano in Africa lavoreranno in maniera molto diversa da un parroco o un medico di famiglia in Europa.
L’organizzazione per cui lavorano potrà anche scomparire, ma altre organizzazioni prenderanno il loro posto: l’essenziale è che il lavoro portato avanti da questo sale della terra, lievito di un mondo migliore, seme che darà molto frutto, vada avanti, proprio come l’albero che vive per lunghi anni e addirittura secoli.
Cosa possiamo fare, noi Chiesa Valdese, ma anche noi Chiesa Cattolica, noi cristiani sempre più in minoranza nelle nostre terre secolarizzate, per portare un po’ di Regno dei cieli in un mondo che ci ignora e che ha sempre più bisogno di Evangelo?
La parabola del seme di senapa ci dice che da un piccolissimo seme può nascere una cosa grande: dai nostri piccoli numeri, dalla nostra piccola presenza possiamo ricavare qualcosa di significativo. Posso dire che in quanto a fede, mi riferisco alla mia comunità locale ma potrei dirlo per moltissime comunità cristiane in tutto il mondo, non siamo secondi a nessuno: i nostri legami di fraternità e amicizia, la nostra vita di fede come la esprimiamo in privato e in comunità, la nostra storia di credenti costituiscono un pezzo di Regno dei Cieli, perché da diversi cammini di vita ci siamo trovati e riuniti per celebrare qualcosa che va oltre la materialità e la meschinità quotidiana, nella persona di Gesù Cristo e del suo Evangelo: non noi ci siamo scelti, ma lo Spirito ci ha chiamati a vivere e ad esprimerci come cristiani.
La realtà alla quale apparteniamo è piccola ma sufficiente a farci intravedere il Regno: quando preghiamo, quando ringraziamo il Signore per quello che ha fatto nella nostra vita, non dimentichiamo di ringraziarlo per averci fatto vivere l’avventura di essere cristiani e ringraziamolo anche per ogni piccolo gesto di misericordia, di generosità, di accoglienza che abbiamo esercitato nei riguardi del prossimo, per l’occasione di ascoltare la Parola di Dio e di pregare assieme a sorelle e fratelli: abbiamo potuto farlo perché lo Spirito ci ha spinti in una comunità piccola come un seme di senapa.
Le realtà sono fatte di donne e uomini e non possono durare per sempre, ma il lievito non muore invano: ogni piccolo gesto da noi fatto per avvicinare altri a Cristo sarà un pane gustoso che non verrà dimenticato e che in futuro potrà sfamare altri.
Amen
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Dal vangelo di Matteo 13:31-33
Egli propose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand’è cresciuto, è maggiore degli ortaggi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata».
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* I passi biblici sono tratti dalla Bibbia Nuova Riveduta
** Giacomo Tessaro, nato nel 1980, ha cominciato a frequentare la Chiesa Valdese e Metodista nel 2008, dopo molti anni di adesione all’ateismo materialista e dopo una conversione alla fede in Dio maturata nelle sue letture di carattere religioso e filosofico. Sin dagli inizi della sua frequentazione protestante è stato incaricato della predicazione nella sua piccola comunità metodista di Vintebbio, in provincia di Vercelli, per la quale svolge anche compiti di cura pastorale. Ha la passione della scrittura e della traduzione e svolge l’attività di traduttore per il mensile Évangile et Liberté dal 2010, oltre che per il Progetto Gionata – Fede e omosessualità.