Il ricercatore Andrea Ganna: omosessualità oltre la genetica
Articolo di Luciano Moia pubblicato su Avvenire il 5 settembre 2019, pag.12
«Non esiste ‘un solo gene dell’omosessualità’. Cioè un gene con un effetto elevato. Ma ce ne sono molti, con effetti molto ridotti. Anche messi tutti assieme questi geni non possono determinare l’orientamento sessuale. In totale spiegano il 25% della variabilità nell’orientamento sessuale. In linea con altri tratti comportamentali».
Lo racconta Andrea Ganna, italiano, che ha coordinato il lavoro di un’equipe internazionale presso il Broad Institute di Mit e Harvard, negli Stati Uniti. Gli scienziati hanno lavorato per mesi con l’obiettivo di realizzare il più ampio studio genetico sul tema, grazie a un campione di oltre mezzo milione di persone presenti in due grandi banche genetiche, la britannica Uk Biobank e la statunitense 23andMe.
«È stato realizzato così uno screening di tutto il genoma, esaminando milioni di marcatori genetici per vedere quali potessero essere associati al comportamento sessuale delle persone», spiega il ricercatore che nel frattempo è passato al Laboratorio europeo di biologia molecolare a Helsinki.
Qual era il vostro obiettivo?
Sappiamo che la genetica non è l’unico fattore che influenza il comportamento, l’identità o l’orientamento sessuale. La sessualità umana, come altri tratti umani, è il frutto di un complesso mix di fattori genetici, influenze ambientali ed esperienze di vita. Il nostro scopo era utilizzare le informazioni genetiche per comprendere meglio il comportamento omosessuale.
Volevamo capire in che misura le differenze tra il comportamento sessuale delle persone si possono spiegare con i marcatori del Dna. Inoltre volevamo comprendere meglio la complessità dell’orientamento sessuale, esplorando le differenze genetiche tra femmine e maschi; tra comportamento, attrazione e identità; e tra diversi comportamenti sessuali.
Dallo studio emergono cinque variabili genetiche che, a vostro parere, risultano legate in modo statisticamente significativo all’omosessualità, ma di cui ancora non si conosce bene la funzione. Che significato attribuire a questi dati?
È importante ricordare che le varianti genetiche da sole non definiscono il comportamento sessuale di qualcuno. I tratti comportamentali, come il comportamento e l’orientamento sessuale, sono solo parzialmente determinati da fattori genetici in natura. Sono modellati da centinaia o migliaia di varianti genetiche, ognuna con un effetto molto piccolo, ma sono anche modellate in gran parte dall’ambiente e dalle esperienze di vita di una persona.
Possiamo quindi affermare con sicurezza che non esiste un singolo determinante genetico né un singolo gene responsabile del comportamento o dell’orientamento sessuale dello stesso sesso. Nella misura in cui la sessualità è influenzata dalla genetica – e sappiamo che lo è – è più probabile che siano coinvolte centinaia o migliaia di varianti genetiche. Queste varianti, insieme all’ambiente e alle esperienze, determinano risultati come il comportamento sessuale tra persone dello stesso sesso.
Sulla base dei vostri risultati la convinzione secondo cui l’orientamento sessuale è una condizione costitutiva della persona si rafforza o si indebolisce?
L’orientamento sessuale non è completamente determinato dai geni, ma non è neanche una scelta autonoma della persona. Fattori esterni e fattori genetici contribuiscono entrambi in percentuali variabili.
C’è anche però chi la letto il vostro studio come una conferma del fatto che l’omosessualità sia un’abitudine, frutto di una scelta personale. E le scelte personali si possono cambiare quando ci si accorge di aver sbagliato. È così?
No, è sbagliato semplificare in questo modo. L’orientamento sessuale è complesso e le sue cause sono da cercare in una combinazione di molti fattori, tra cui quelli genetici.
Anche alcune comunità Lgbtq hanno puntato il dito contro la vostra ricerca sostenendo che si tratti uno studio che intende esprimere una valutazione etica.
Ma no, le nostre scoperte non dovrebbero in alcun modo essere interpretate in modo da implicare il fatto che le esperienze delle persone Lgbtq siano ‘sbagliate’ o ‘disordinate’. In realtà, questo studio fornisce ulteriori prove del fatto che i diversi comportamenti sessuali sono una parte naturale della variazione umana complessiva. La nostra ricerca intende solo migliorare la comprensione delle basi genetiche del comportamento sessuale tra persone dello stesso sesso.
Giusto affermare che nel vostro studio emerge anche una discrasia tra orientamento sessuale determinato da fattori genetici e atti sessuali?
Utilizzando i dati genetici, abbiamo trovato prove del fatto che il comportamento sessuale è una caratteristica molto complessa e che non esiste un’unica dimensione della sessualità. Abbiamo scoperto che le influenze genetiche che contribuiscono alla possibilità di avere rapporti con una persona dello stesso sesso sono in gran parte distinte dalle influenze genetiche che contribuiscono al grado di comportamento sessuale tra persone di sesso opposto. Vale a dire, la genetica suggerisce che è una semplificazione eccessiva supporre che più qualcuno è attratto da persone dello stesso sesso, meno si è attratti dal sesso opposto.
Uno dei vostri coautori, Brendan Zietsch, ha spiegato che il contributo genetico alla determinazione della sessualità riguarda al massimo un terzo o un quarto delle varie componenti. E tra le altre varianti ha parlato dell’ambiente ormonale nel grembo materno. Come agirebbero questi ormoni capaci di influenzare l’orientamento sessuale?
Questa è solo una possibilità. Ma non sappiamo esattamente come funzionano. Ed è molto difficile studiare l’ambiente ormonale nel grembo materno.
SCHEDA: La difficoltà di ottenere statistiche credibili
25% La variabilità dell’orientamento sessuale causata dalle interazioni genetiche. Ambiente ed esperienze peserebbero quindi molto di più
500mila Le persone che attraverso il loro patrimonio genetico, custodito in due grandi biobanche, hanno fatto parte del campione della ricerca
3,1% Omosessuali sul totale della popolazione secondo il più vasto studio Usa (1994) sul tema. Altri studi parlano del 5-7%