Il rispetto, altro aspetto del dibattito sul matrimonio per tutti
Articolo del 18 febbraio 2013 di Bernard Perret pubblicato su La Croix (traduzione: www.finesettimana.org)
Il dibattito sul “matrimonio per tutti” si è focalizzato, come normale, sulle conseguenze giuridiche e simboliche della riforma, cioè la decostruzione della famiglia come istituzione alla base della vita di coppia e la filiazione. Ma, sullo sfondo, resta ben presente la questione dell’accettazione dell’omosessualità da parte della società. Tanto quanto è ingiustificato definire omofobi gli argomenti di coloro che sono contrari alla legge, altrettanto sarebbe vano negare che lo sguardo rivolto all’omosessualità resta una pietra d’inciampo.
I testi che criticano il progetto di legge si premurano, certo, di precisare che non è in discussione l’omosessualità stessa, che la società è tenuta a rispettare questa realtà, o addirittura ad istituirla offrendo, oltre al pacs, un inquadramento per impegni più duraturi. È questo il senso, tra altri controprogetti, del contratto di unione civile difeso dall’Unaf (Union National des Associations Familiales). Ma la volontà di restare a livello del diritto nasconde molti non-detti. Non è necessario andare molto sotto la crosta del politicamente corretto per veder apparire considerazioni di altra natura sulla differenza omosessuale, sulle sue cause e le sue implicazioni psicologiche, sulla sua inferiorità rispetto all’amore eterosessuale, ecc. Come potrebbe essere diversamente?
Ricordiamo che l’omosessualità è ancora repressa in 76 paesi del mondo e che, fino al 1990, era iscritta dall’OMS nella lista delle malattie mentali. Sostenere che tutto questo è superato, sarebbe una grande menzogna. Sotto apparenze di banalizzazione, l’omosessualità resta fonte di perplessità e di malessere, e, troppo spesso, oggetto di larvato disprezzo. Non potendosi esprimere apertamente, questa omofobia latente assume la forma di stereotipi che si veicolano senza pensarci. Prende anche, talvolta, il volto della compassione affettata, che vede gli omosessuali come persone a cui è negata la vera felicità, votate all’instabilità affettiva e alla marginalità. Ma il loro malessere – che, ricordiamolo, porta un numero elevato di adolescenti al suicidio – è innanzitutto conseguenza dell’obbrobrio subdolo di cui sono vittime.
Qualsiasi cosa si pensi dell’omosessualità, dobbiamo ammettere che gli omosessuali non accettano più i nostri sguardi condiscendenti. La loro rivendicazione di uguaglianza nel matrimonio e nell’adozione deriva in buona parte da una irrecusabile domanda di rispetto. Il “matrimonio per tutti” è una cattiva risposta ad un vero problema, un effetto collaterale deplorevole di una guerra per il riconoscimento di cui siamo tutti protagonisti. Non si rifà la storia, ma occorrerà chiedersi un giorno se non avrebbe potuto essere scritta diversamente.
Per un cristiano, questo interrogativo ha una risonanza particolare. Ricordiamo che il catechismo della Chiesa definisce gli atti omosessuali “intrinsecamente disordinati”, nella linea di una lunga tradizione di condanna. Ma questo linguaggio è suscettibile di evolvere. Il testo pubblicato nel dicembre 2012 dal Consiglio famiglia e società della Conferenza episcopale francese segna già fin d’ora un cambiamento sensibile. Ricordando la posizione della Chiesa, prende atto positivamente dell’evoluzione delle mentalità e riconosce la necessità di “prendere sul serio le aspirazioni di coloro che desiderano impegnarsi in un rapporto stabile”. Peccato che questo testo non sia stato maggiormente fatto conoscere.
Sia ai cristiani che agli altri, l’evoluzione della società pone un problema che non può più essere eluso: siamo disposti a rivolgere uno sguardo rispettoso ed empatico, non solo sugli omosessuali, ma anche sulla loro vita affettiva e sessuale? Che l’omosessualità sia vissuta spesso come un problema dagli interessati stessi, è certo. Che sia posta sotto il segno della mancanza, riguardo alla procreazione, è evidente.
Ma questo non autorizza a guardarli dall’alto, né di traverso, e neppure a pensare che le loro storie d’amore siano meno belle delle nostre. Ci vorrebbe molta temerarietà da parte di un eterosessuale, anche sposato, nel pretendere che le sue pulsioni sessuali e i suoi slanci amorosi siano sempre posti sotto il segno del dono della vita.
E non sono certo le coppie, sempre più numerose, che si formano dopo l’età della procreazione, a dire il contrario. È ora di riconoscere nell’omosessualità una delle sfaccettature della natura umana ed una ricchezza per la società.