“Il sapore del grano” di Gianni Da Campo
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Scheda di Luciano Ragusa proposta durante il cineforum del Guado di Milano del 10 Aprile 2016 per affrontare il tema dell’immagine che il cinema italiano, degli anni ottanta, dà delle persone LGBT.
Gianni Da Campo nasce a Venezia nel 1943, è stato un regista, scrittore, traduttore ed insegnante di lettere. La sua filmografia è composta solo da tre film. Il primo è Pagine chiuse (1963), Palma d’oro dell’opera prima alla Semaine di Cannes nel 1969 che però, all’epoca, praticamente non era stato distribuito in Italia e che, grazie all’istituto Luce, è stato recuperato e proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2012. Il secondo è La ragazza di passaggio che è stato girato nel 1970 e infine Il sapore del grano che è invece del 1986.
Allievo di Valerio Zurlini (Nastro d’argento per il miglior soggetto nel 1961 con Guendalina, Leone d’oro a Venezia nel 1963 per Cronaca familiare, Nastro d’argento e David di Donatello per la miglior regia nel 1977 con Il deserto dei Tartari) Da Campo affronta nei suoi film temi difficili, come la repressione delle istituzioni, in particolar modo la famiglia e la chiesa (Pagine chiuse), il femminismo (La ragazza di passaggio) o il rapporto tra uno studente e il suo maestro (Il sapore del grano).
A livello nazionale è senz’altro più conosciuto per la sua attività di traduttore e di scrittore: è stato infatti uno dei maggiori esperti di Georges Simenon a cui, nel 2004, ha dedicato, insieme a Goffredo Fofi e a Claudio Fava il libro Simenon, l’uomo nudo. Muore a Venezia nel 2014 all’età di settantuno anni.
«Il sapore del grano»
Scritto e diretto da Gianni Da Campo, Il sapore del grano è una pellicola del 1986 che partecipò al Festival del Cinema di Venezia non riscuotendo però il successo che avrebbe meritato. Il film vinse, nello stesso anno, la Targa Kim Arcalli al Laceno d’oro Festival del cinema neorealistico di Avellino, una rassegna fondata nel 1959 da Camillo Marino e da Giacomo D’Onofrio che ebbe il suo periodo d’oro negli anni in cui il neorealismo era il filone portante dell’intera industria cinematografica italiana e che, tra diverse vicissitudini, terminò la propria vicenda storica nel 1988, per poi riprendere, in una forma completamente nuova, dal 2001.
Il sapore del grano ebbe difficoltà soprattutto nella distribuzione, infatti, la mannaia dell’ostracismo, visto l’argomento trattato, impedì al film la diffusione ad un pubblico più vasto. Pochi si accorsero della validità estetica di questo lungometraggio, girato con mezzi ridottissimi, ma con una precisione e un equilibrio notevoli.
Un grande merito va dunque a Giovanni Minerba e a Ottavio Mai che, nella seconda edizione del Festival del cinema LGBT di Torino (che allora si chiamava Da Sodoma a Hollywood), proposero la pellicola, accompagnandola con una bella intervista al regista.
La trama
Lorenzo, studente universitario orfano di madre, è chiamato a fare una supplenza in una scuola media di un piccolo paese del profondo Veneto. Qui incontra una società contadina d’altri tempi e inizia una relazione fisica Cecilia, una ragazza disinibita che però non vuole andare oltre alla pura relazione sessuale perché già fidanzata e comunque poco propensa a instaurare con Lorenzo una relazione seria.
Ma è con i suoi alunni che Lorenzo si lega in un rapporto profondo. In particolare con Duilio, anch’esso orfano di madre che si innamora del suo professore e che gli si concede con l’incoscienza tipica della sua età. La matrigna di Duilio, però, si accorge del legame tropo profondo che Duilio ha instaurato con il suo insegnante e fa pressione sul padre di Duilio, perché metta fine alla loro amicizia.
Alcune caratteristiche del film
Il soggetto della pellicola nasce circa vent’anni prima della stesura definitiva della sceneggiatura, probabilmente perché il tema trattato, riconducibile alla pedofilia, scoraggiò non solo il regista, ma anche gli eventuali produttori interessati al progetto. Resta il fatto che, anche nel 1986, ci troviamo di fronte ad un film girato con una delicatezza formale e con un equilibrio, che rasentano la sospensione dal giudizio, probabilmente per la paura della censura.
Del resto bisognerà aspettare altri dieci anni per vedere in sala un lungometraggio di Antonio Capuano Pianese Nunzio, quattordici anni a maggio per rivedere sullo schermo una storia sentimentale tra un adulto (nel caso del film di Capuano un sacerdote) e un adolescente.
Il titolo: Il sapore del grano sembra richiamare il gusto di una civiltà contadina in via d’estinzione, di un mondo rurale descritto nella semplicità e nella naturalezza della vita di tutti i giorni, di una comunità in cui i rapporti tra le persone, non sono contaminati dal cinismo di chi è abituato a destreggiarsi nella giungla cittadina.
Ma il grano, ancora incanalato nella sua spiga, richiama anche la sapidità di qualcosa che non è ancora compiuto, come i chicchi che non si sono ancora trasformati in farina e come il corpo tredicenne di Duilio, già uomo nella potenza del suo desiderio, ma imprigionato in una condizione anagrafica che non gli consente di esprimere compiutamente quello che sente.
Un aspetto non secondario del film è quello in cui viene descritto il rapporto tra il giovane Lorenzo e un’istituzione scolastica ottusa e confessionale che lo costringe a trovare un compromesso tra doveri pedagogici e rispetto umano, tra i sentimenti e l’ostracismo.
Scheda:
Regia: Gianni Da Campo.
Soggetto: Gianni Da Campo.
Sceneggiatura: Gianni Da Campo.
Fotografia: Emilio Bestetti.
Musiche: Franco Piersanti.
Montaggio: Fernanda Indoni.
Interpreti: Lorenzo Lena (Lorenzo), Marco Mestriner (Duilio), Marina Vlady (matrigna), Alba Mottura (Cecilia), Paolo Garlato (padre di Duilio).
Paese di produzione: Italia.
Costumi: Stefano Nicolao.
Distribuzione: Ricordi Video, Columbia Tristar home Video.
Produttore: Chantal Lenoble – Bergamo, Enzo Porcelli per Antea.
Anno: 1986