Il senso del Padre Nostro per un padre
Riflessioni di Gilles Le Gall pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 28 ottobre 2014, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Abbiamo fatto della preghiera il centro della vita spirituale: non vediamo forse Gesù in preghiera, non ha forse composto un Padre Nostro? Ma cosa vale questa preghiera, se la biascichiamo soltanto?
Padre nostro, che sei nei cieli:
Il Padre al quale ci rivolgiamo è un Padre che è nei cieli, il che equivale a dire che questo Padre è assente da questo mondo: sebbene tu viva, l’angelo di Dio non verrà in tuo soccorso, non dividerà le acque per farti passare, non farà sgorgare l’acqua e non ti darà il pane nel deserto, non aprirà le porte delle segrete etc.
Sia santificato il tuo nome:
Vuoi pregare? Non ti rivolgere a Dio come fanno i bambini che, nel pericolo, implorano il padre – o la madre -. Il Dio da cui tu attendi il pane, la gloria o l’immortalità, il Dio come tu te lo immagini non è Dio, è il “padre della menzogna”.
Venga il tuo regno, Sia fatta la tua volontà, come cielo anche in terra:
Il regno di Dio su questa terra? Ancora una volta, è grande la tentazione di mettere questo regno in relazione con i nostri sogni, il sogno di un mondo in cui tutti gioiremo dell’abbondanza, un mondo da cui sarà bandita ogni violenza. Di questo sogno si alimentano tutte le utopie e, di conseguenza, nuove fatalità per gli uomini. Meglio, su questo punto, aderire alla saggezza stoica: le cose sono quelle che sono, non ti lamentare, non accusare nessuno, né gli Dèi, né il mondo, né gli altri, ma dà il tuo consenso alla necessità: è questo il tuo ruolo, ciò che dipende da te. Tuo figlio ti insulta, fa ciò che gli sembra bene, si autodistrugge? Non dipende da te; ciò che dipende da te è interpretare il ruolo che il regista ti ha affidato, e interpretarlo alla perfezione: che fare se non interpretare e continuare a interpretare il tuo ruolo di padre? Il padre della parabola forse agisce in modo diverso?
Dacci oggi il nostro pane sostanziale:
Comprendere la preghiera di Gesù di Nazareth? Non c’è che una via per entrare nel regno, e questa via è quella dell’amore, di un amore puro. Ecco perché si parla di pane “soprannaturale” e non di pane quotidiano. Il pane soprannaturale, “sostanziale”, il “pane di vita” è quello che viene prodotto nel silenzio di colui che medita, a partire dall’inconcepibile, dell’irrimediabile (quando colui o colei che abbiamo amato di un amore puro ci è stato tolto o tolta), quando, nel corso di questa traversata degli inferi, si scopre la certezza che questo amore non perirà. È di questo cammino, è di questa certezza che ci nutriamo.
Rimettici i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non indurci in tentazione (“fa’ che non entriamo nella tentazione”, come se fossimo rinchiusi in una casa o in una cella)
Ma liberaci dal male:
Che differenza c’è, mi chiedo, tra la saggezza stoica e il senso di questa preghiera: cosa può significare il perdono dei peccati, se non lavorare su noi stessi per liberarci da ciò che ci ha fatto del male? Altrimenti come non divenire, in questo mondo, una pianta che soffoca, un talento sterile, un’ombra?
Amare il nostro prossimo, insegnava lui… Ma amare il nostro prossimo perché lo esige Dio non è amare, è obbedire. È quindi impossibile insegnare questo amore come fosse un comandamento. Amare non è voler obbedire, è essersi affidati, non rinunciare, essere saldi: che altro fare, di fronte al figlio che si perde?
Tuo figlio, il tuo bambino, la carne della tua carne, ti sarà tolto? E tu sprofonderai nella tristezza, nella disperazione, nella rivolta? No, se il tuo amore era un amore puro non sciuperai la tua vita, non sciuperai la vita dei tuoi cari, come non hai voluto che lui sciupasse la sua: non cadrai nella passione, non cederai alla tentazione, sola maniera di onorare il Padre: ai tuoi padri ripugnava dare al loro Dio un nome? Non conosci, perché non l’hai vissuto, cosa vuol dire essere padre? Ormai lo sai, lo conosci il Suo nome.
Epilogo:
Per comprendere questa preghiera, per comprendere perché Dio è chiamato Padre, bisognerebbe dunque cominciare dalla fine, sconvolgere l’ordine delle “richieste”, o piuttosto smettere di salmodiarle come se l’uomo non fosse che un bambino che si rivolge a suo padre come a un essere onnipotente, una sorta di “monarca orientale, per non dire tirannico, circondato di potenza, di regno, di gloria, di rispetto e di timore”.
Al Padre che è nei cieli, di conseguenza, non c’è nulla da chiedere: su questa terra non c’è che una sola via, quella dell’amore, l’amore per il prossimo, l’amore puro. Viene la tempesta, colui o colei che tu ami scompare, viene il giudizio: o cadi o, come in un parto molto doloroso, lo chiami ancora: “Adamo, dove sei?”… Molto tempo dopo, per non sottrarti alla sofferenza, tu affermerai che su questo amore il tempo non può nulla: nulla potrà togliertelo.
Cosa contiene questa preghiera?
La capacità di affermare che non tutto scomparirà, e questo non attraverso il pensiero, ma per aver amato di un amore puro.
Se questa lettura, questa interpretazione ha una qualche consistenza, se non vi è “salvezza” per l’uomo che nell’amore e attraverso l’amore che ha vissuto, le conseguenze sono temibili:
Lì dove si parla di fede, bisogna sostituirla con l’esperienza;
Lì dove si parla di Dio come di un essere estraneo agli uomini, si sta parlando del nulla; il solo modo di concepirlo in maniera adeguata si trova, di nuovo, nell’esperienza, nell’aver vissuto di un amore puro, nel non essere stati distrutti dal dolore della perdita.
Queste condizioni sono senza dubbio eccezionali e sono, io credo, all’origine dei Vangeli.
Beati i puri di cuore, è detto nelle Beatitudini…
Beati coloro che avranno amato di un amore puro, che non cercheranno di coprire la loro sofferenza imputandola alla volontà di qualche Dio, cercando di giustificarla o di consolarsi. Beati coloro che soffriranno senza essere sommersi dall’odio e dal desiderio di vendetta,
… perché vedranno Dio.