Il signore delle Formiche. Un viaggio lungo una vita
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Scheda di Luciano Ragusa con cui è stato presentato al Guado di Milano il film “Il signore delle formiche” di Gianni Amelio il 14 gennaio 2023
È possibile che la figura di Aldo Braibanti, nella mente di Gianni Amelio, fosse depositata da decenni. Da quando – il regista si trasferisce a Roma a metà degli anni 60’ per assecondare la sua passione per il cinema – nel 1968, ventitreenne, partecipa a due udienze del processo all’intellettuale piacentino.
Nel 1970, grazie alla Rai, Amelio esordisce dietro la macchina da presa in pellicole per la televisione, segnalandosi istantaneamente tra i più talentuosi filmmakers della sua generazione.
Di questo periodo sono da ricordare La città del sole, 1973, ispirato all’opera del filosofo calabrese Tommaso Campanella, Bertolucci secondo il cinema, 1976, documentario girato sul set di Novecento del regista parmigiano; Il piccolo Archimede, 1979, considerato il suo miglior film televisivo (il soggetto è estrapolato da un romanzo di Aldous Huxley) che consente a Laura Betti di vincere il premio come migliore attrice al Festival Internazionale di San Sebastián.
L’esordio sul grande schermo avviene nel 1982, Colpire al cuore, pellicola che affronta il tema del terrorismo, mentre del 1988 I ragazzi di via Panisperna, nella quale, si narrano le vicende del gruppo di fisici capitanati da Enrico Fermi (viene girato in due versioni, una per il cinema, l’altra per la tv).
Con Porte aperte, 1990, Amelio si indirizza verso una dimensione internazionale, infatti, il lungometraggio, tratto da un romanzo di Leonardo Sciascia e interpretato da Gian Maria Volonté, riceve una “nomination” agli Oscar del 1991, vince quattro premi Felix, due Nastri d’argento, quattro David di Donatello, tre Globi d’oro assegnati dalla stampa estera.
A certificare l’apprezzamento fuori dai confini nazionali è Il ladro di bambini, maggior successo commerciale dell’autore, nonché vincitore del Gran Premio speciale della giuria a Cannes nel 1992, e l’European Film Award come miglior film, oltre ad un ricchissimo bottino di Nastri d’argento, David di Donatello e Ciak d’oro.
Dopo Lamerica, 1994 (due Nastri d’argento, tre David di Donatello, 3 Ciak d’oro) narrazione che si sviluppa in Albania, che rievoca le traversate di navi stracolme di profughi in fuga verso l’Italia, segue Così ridevano, 1998, lungometraggio che frutta ad Amelio il Leone d’oro alla Mostra del cinema di Venezia.
Sorvolando su Le chiavi di casa, 2004, La stella che non c’è, 2006, Il primo uomo, 2011, L’intrepido, 2013, riemerge dopo quarantacinque anni Aldo Braibanti: il 28 gennaio 2014, sulle pagine di “la Repubblica”, il regista calabrese fa “coming out”, e aggiunge che, il mese successivo, sarà in concorso al Festival internazionale del Cinema di Berlino con un docu-film intitolato Felice chi è diverso.
L’intento del lavoro è far emergere, attraverso 20 interviste a uomini anziani, e una donna transgender, il loro vissuto giovanile in relazione alla propria omosessualità.
Il documento diventa uno spaccato interessante dell’ignoranza omofobica che caratterizza la società italiana negli anni 50’ e 60’, ma anche l’invito nostalgico, da parte dei nostri nonni lgbt, di evitare facili semplificazioni nelle quali la diversità di ognuno perde sfumature, si impoverisce dietro una razionalizzazione linguistica collettiva che, seppur legittima, fluidifica esperienze significative.
Ebbene, Amelio contatta Aldo Braibanti invitandolo a partecipare al docu-film, ma, purtroppo, i novantuno anni già compiuti dal filosofo, ed una salute cagionevole, fa naufragare il progetto: a partire dal 6 marzo 2014 esce nelle sale cinematografiche italiane Felice chi è diverso, Braibanti ci lascia il successivo 6 aprile.
Dopo La tenerezza, 2017, nel quale la difficoltà del comunicare, se trascurata, ci trasforma in mostri, e Hammamet, 2020, liberamente ispirato agli ultimi mesi di vita dell’ex Presidente del Consiglio dei Ministri Bettino Craxi, si giunge alla 79ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove, il regista, ci regala finalmente la sua versione del mirmecologo piacentino.
Nel 2021, Amelio, viene contattato da alcuni produttori, tra i quali Rai Cinema, e invitato a riflettere sulla possibilità di un documentario sul filosofo di Fiorenzuola d’Arda. L’anno precedente, con il titolo Il caso Braibanti, Carmen Giardina e Massimiliano Palmese firmano un lavoro di matrice documentaristica, nel quale ricostruiscono la vicenda giudiziaria.
Dunque, il regista, suggerisce un lungometraggio, dove riversare, in conclusione, suggestioni che agivano dentro di lui dal 1968.
IL FILM
Coprodotto da Rai Cinema, Il signore delle formiche riceve a Venezia il Premio Brian, offerto da UAAR – Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – che gratifica pellicole che esaltano i valori del laicismo, pluralismo, rispetto dei diritti umani. Esce nelle sale cinematografiche, distribuito da “01 Distribution”, l’8 settembre 2022, mentre, al 29 dicembre 2022, è collocata la disponibilità delle versioni DVD e Blu-Ray.
Con licenze importanti sulla narrazione reale, l’occhio di Amelio si concentra sul decennio 1959-1969, arco temporale nel quale si consuma l’incontro, la decisione di trasferirsi a Roma, e il successivo processo per plagio, tra Aldo Braibanti e Giovanni Sanfratello (nel film Ettore Tagliaferri).
I luoghi scelti per le riprese ricalcano verosimilmente le atmosfere della campagna emiliana degli anni 60’, con una sensibilità che ricorda Bertolucci di Novecento, con cui il regista aveva collaborato per il suo documentario del 1976. Del resto, la geografia piacentina, con i suoi borghi – le riprese di Busseto e Roccabianca sono di assoluto valore estetico – i campi larghi, i colli, ebbero un’importanza fondamentale sull’infanzia di Braibanti, perché palestre naturali dove sviluppare un pensiero ecologico “ante litteram”, e dove nutrire i primi interessi per formiche, da cui il titolo dell’opera, e di altri insetti sociali.
LA FOTOGRAFIA
Da non trascurare le scelte fotografiche in assenza di luce naturale: curate da Luan Amelio Ujkaj, figlio del regista, hanno il merito di prestarsi a inquadrature dal forte potere narrativo mantenendosi essenziali, senza cedere ad eccessive sottolineature di volti e ambienti. In questo senso, sono dirimenti le sequenze girate a Roma di notte, nelle quali, il direttore della fotografia, ha dovuto “smorzare i lumi” di una città invadente, certamente meno adusa, nel decennio descritto in pellicola, ad inquinamento luminoso.
LE MUSICHE
Per il film, Amelio, non sceglie una colonna sonora originale, ma si fa guidare, come nella sceneggiatura, da persuasioni emotive intime, senza per questo sacrificare la coerenza della storia. Riconoscibile dalla prima nota è Sleep Walk, di “Santo & Jonny” Farina, pezzo solo strumentale inciso nel 1959 con una “steel guitar”, o chitarra hawaiana, che si suona con un cilindro d’acciaio sulle corde.
Anche Ornella Vanoni è inserita nel contesto sonoro, con una bellissima canzone, Il tuo amore, tratta dall’album del 1969 “Io si (ai miei amici cantautori n° 2)”. Il testo, scritto da Bruno Lauzi e presentato al Festival di Sanremo del 1965 in coppia con Kenny Rankin, bene si presta alla drammaticità della vicenda:
Quanto bene tu mi hai fatto / Carezzandomi la mano
Quel mattino ormai lontano/ Che mi hai regalato te
Il tuo amore così puro / Tutto il bene che mi vuoi
Non lo dare più a nessuno / Ma conservalo per noi
Non lo dare più a nessuno / Ma conservalo per noi
A fare però da collante all’intero film è Giuseppe Verdi. Due sono le citazioni del maestro, Oberto, Conte di San Bonifacio – Overture, prima opera del compositore su libretto di Antonio Piazza, e Aida, nella quale, la sepoltura di Radamès e Aida, il rifiuto del protagonista a discolparsi, fanno il paio con la morte sociale a cui sono sottoposti Giovanni e Aldo, per via del famigerato art. 603 del c.p. introdotto nel codice Rocco.
Non è casuale che nello sviluppo della trama, la piramide, appaia più volte ad annodare l’aspetto simbolico della vicenda (la violenza in ogni tempo e luogo contro chi non si conforma) con quello pragmatico (Ettore che dipinge la piramide incastonata nella scenografia dell’opera lirica in allestimento).
GLI ATTORI
Spiccano su tutti, non poteva essere altrimenti, Luigi Lo Cascio, nel ruolo di Braibanti (con un accento emiliano invidiabile), ed Elio Germano, nella parte di Ennio Scribani, giornalista del quotidiano “l’Unità” che si occupa del processo.
Inutile elencare le performance apprezzate da critici e pubblico dei due attori: mi permetto solo di citare I cento passi, 2000, diretto da Marco Tullio Giordana con Lo Cascio protagonista, che ha il merito di aver restituito Peppino Impastato, trucidato dalla mafia il 9 maggio 1978, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma, alla memoria nazionale, nelle vesti di protagonista assoluto nella lotta contro la mafia; e Il giovane favoloso, dove Elio Germano, diretto da Mario Martone, centra il bersaglio grosso interpretando il poeta Giacomo Leopardi.
Convincente Leonardo Maltese, al suo esordio cinematografico, nel difficile sforzo di portare in scena Ettore Tagliaferri (Giovanni Sanfratello), giovane uomo sottoposto ad ogni violenza psichiatrica.
Quattro, invece, le figure femminili, non secondarie, scelte da Amelio per completare il cast: Anna Caterina Antonacci, soprano lirico, alla prima collaborazione cinematografica, come madre di Ettore; a Rita Bosello l’onere della genitrice, Susanna, di Aldo Braibanti; per il personaggio di Graziella, cugina di Ennio Scribani, attivista vicino al Partito Radicale, Amelio scrittura Sara Serraiocco, classe 1990, pervenuta al cinema dopo un infortunio alla caviglia che ha precluso una carriera da ballerina; infine, Maria Caleffi, Carla nel film, giovane attrice che frequenta il laboratorio artistico del filosofo.
Durante una manifestazione organizzata da Graziella fa capolino il volto di Emma Bonino, come a sottolineare che il Partito Radicale fu l’unica forza politica pubblicamente schierata in favore dell’intellettuale.
CITAZIONI
Si colgono almeno tre citazioni all’interno dell’opera: la prima è spesa nei frammenti iniziali, allorché, durante un’ipotetica Festa dell’Unità, sullo sfondo si proietta Quando volano le cicogne (1957, diretto da Michail Kalatozov, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 1958), dove si narra la sfortunata storia d’amore fra Veronika e Boris, separati dall’invasione tedesca nei territori russi durante la Seconda guerra mondiale.
A circa metà pellicola, alla festa di compleanno romana di Sylvano Bussotti, amico intimo di Braibanti, col quale diede vita all’esperienza del laboratorio artistico di Torrione Farnese, si odono i convitati intonare un pezzo d’avanspettacolo tratto da Teresa Venerdì, 1941, con Vittorio De Sica dietro la macchina da presa, e una sciantosa Anna Magnani:
Qui nel cuor, qui nel cuor, / c’è un amor, c’è un dolor,
qui nel sen, qui nel sen / c’è il mio ben col tuo ben,
sempre più, sempre più nel mio cuor ci sei tu.
Non tremar, non morir, / sì, t’amo tanto da impazzir…
Infine, Amelio, seguita i prorpi passi: a circa un terzo del film, i fratelli Ettore e Riccardo Tagliaferri, percorrono, in bicicletta, un viale alberato; la telecamera riprende il dialogo tra i due frontalmente, fino a quando, Riccardo, si alza sui pedali uscendo di scena. Nel film del 1982, Colpire al cuore, Jean-Louis Trintignant (Dario), e Fausto Rossi (Emilio), sono protagonisti di una sequenza molto simile, artificio tecnico a cui il regista catanzarese è evidentemente legato.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
Come già accennato nelle prime righe di questo articolo, Il signore delle formiche, è “liberamente” ispirato alla relazione amorosa tra l’intellettuale piacentino e Giovanni Sanfratello, e il processo per plagio che ne deriva. Non sono poche, rispetto alla storia reale, le licenze che Amelio introduce nella personale narrazione, che, per correttezza, credo sia utile sottolineare, fermo restando la legittimità dell’operazione in quanto inserita in un contesto artistico.
– Balza istantaneamente alla coscienza il parallelismo tra la madre di Pier Paolo Pasolini e quella di Aldo Braibanti: Gianni Amelio, nella finzione, chiama la genitrice del protagonista Susanna, come la figura tanto amata dal poeta friulano. In alcuni frammenti della pellicola sembrano addirittura somigliarsi, sebbene, il regista, le abbia riservato un destino diverso rispetto ai fatti. A fine lungometraggio, il mirmecologo, ottiene un permesso premio, verosimilmente siamo nel 1969, per presenziare al funerale della stessa, la quale, fuori dall’illusorio filmico, vivrà molti anni dopo la scarcerazione del figlio.
Senza fare psicoanalisi di bassa lega, il filmmaker, ha voluto “riordinare” l’incongruenza temporale rappresentata da una madre, Susanna Colussi, che vede morire in modo atroce i propri figli Pier Paolo e Guidalberto, invecchiando senza i loro abbracci. Nella sostanza, si tratta di un risarcimento a posteriori, come a ripristinare nell’immaginario la corretta linea cronologica per cui, i figli, sopravvivono ai genitori.
– Anche le sequenze finali, dove, incastonati nella splendida campagna piacentina, Aldo ed Ettore si incontrano per l’ultima volta, profumano di parziale indennizzo. Nella vita vera, i protagonisti, al di fuori dell’aula giudiziaria, mai più incroceranno i loro destini. Pertanto, Amelio, riserva loro un esito conclusivo la cui dimensione è poetica, luogo nella quale, la maldicenza vissuta sulla propria pelle, non può giungere nemmeno in forma rarefatta.
– L’aspetto più criticato del film è il ruolo che il regista riserva al quotidiano “l’Unità”, organo ufficiale del PC, diretto nel 1968 dall’ex partigiano Maurizio Ferrara, padre di Giuliano Ferrara. La figura di Scribani, dovrebbe ricalcare quella del corrispondente reale Paolo Gambescia, ma, anche in questa circostanza, Amelio si concede l’occasione artistica di modificare qualcosa. Sul finire del lungometraggio, si palesa che Scribani è omosessuale, frangente che giustifica l’interesse intimo nei confronti della vicenda, e che autorizza il direttore del giornale ad agevolare un licenziamento, con la maligna e omofobica convinzione, che del processo se n’è parlato in abbondanza. Tutto ciò non è mai accaduto, anzi, “l’Unità”, è l’unico quotidiano che abbia, per l’intero sviluppo, seguito il processo per plagio a carico di Braibanti (cfr. https://www.bookciakmagazine.it/wp-content/uploads/2022/09/Braibanti-commento-Ferrara-su-condanna.pdf).
A mio parere, sono due i motivi che hanno indotto il regista a “modellare” la sceneggiatura: il primo è direttamente riscontrabile nel cameo di Emma Bonino, il quale, dimostra la vicinanza del filmmaker all’universo culturale, di matrice liberale, rappresentato dal Partito Radicale (cfr. https://www.panorama.it/lifestyle/cinema/signore-formiche-venezia-amelio-braibanti), considerata, a torto, l’unica forza politica che si oppose all’oscurantismo socio-culturale di quell’Italia; il secondo, riconduce direttamente agli stati d’animo che, un ventitreenne omosessuale, deve aver provato alle udienze del processo a cui ha assistito (cfr. l’edizione commentata del film presente nel DVD). Scribani è la razionalizzazione a posteriori del giovane Amelio, con le paure di colui che prende coscienza della propria omosessualità e si trova di fronte ad una condanna che suggerisce l’inadeguatezza del rispettivo orientamento sessuale.
– A conferma di quanto scritto poco sopra, suggerisco che il vero protagonista del lungometraggio è Ettore Tagliaferri, la cui età, all’epoca del misfatto, è la stessa di Amelio. La sequenza, teatrale, di oltre sette minuti riservata al volto sofferente di Ettore durante l’interrogatorio, avvalora la tesi. A giudizio del regista, la vita distrutta dall’accaduto, è quella del ragazzo, il quale, abbandonato dalla famiglia dopo il processo, con una instabilità psichica causata dagli shock insulinici e l’uso prolungato di elettroshock, ha dovuto ricominciare completamente da zero.
CONCLUSIONI
Nel complesso, Il signore delle formiche, è un buon film, dove la regia, fotografia, l’intero corpo delle maestranze necessarie, funzionano a modo. Come già registrato, bene gli attori, così come l’intuizione di Amelio di non vincolare la storia al “pragmatismo processuale”, privilegiando la convergenza emotiva tra due persone, senza per questo cadere nel manierato. Utile, a tale scopo, l’utilizzo nella sceneggiatura delle poesie composte da Braibanti stesso, che facilitano l’immedesimazione, e, nello stesso tempo, costringono nel giusto alveo la violenza insita nella stessa vicenda. Discutibili, invece, alcune scelte di natura extra-filmica, che mi riservo di esplicitare in un articolo apposito dedicato alla contestualizzazione storica del reato di plagio.
SCHEDA DEL FILM
Regia: Gianni Amelio
Soggetto: liberamente ispirato ad una storia vera
Sceneggiatura: Gianni Amelio, Edoardo Petti, Federico Fava
Montaggio: Simona Paggi
Fotografia: Luan Amelio Ujkaj
Scenografia: Marta Maffucc
Costumi: Valentina Monticelli
Produttore: Simone Gattoni, Beppe Caschetto
Casa di produzione: Kavac Film, IBC MOvie, Rai Cinema, Tenderstories
Distribuzione: 01 Distribution.
Interpreti: Luigi Lo Cascio (Aldo Braibanti), Elio Germano (Ennio Scribani), Leonardo Maltese (Ettore Tagliaferri), Anna Caterina Antonacci (madre di Ettore), Sara Serraiocco (Graziella), Rita Bosello (madre di Aldo), Maria Caleffi (Carla).
Genere: drammatico; anno: 2022; durata: 130 minuti.
TRAMA
1959. Aldo Braibanti, ex partigiano con una militanza nel Partito Comunista Italiano, conosce casualmente Ettore Tagliaferri, fratello di Riccardo, un giovane uomo che frequenta, senza trarne giovamento, il circolo culturale organizzato dal filosofo mirmecologo nei pressi di Castell’Arquato. Al contrario di Riccardo, Ettore è affascinato dal pensiero di Aldo e, col passare del tempo, il frequentarsi diventa affetto, dopodiché, amore.
I Tagliaferri, imbarazzati dalle voci attorno all’intellettuale, ingaggiano una battaglia contro la coppia, nel tentativo di separarli definitivamente. I due, per sfuggire il clima molesto costruito dalla famiglia di Ettore, fuggono a Roma, convinti che la distanza possa placare il loro risentimento: nel 1965, Ettore, viene rapito dai genitori e costretto a cure psichiatriche che mineranno la sua stabilità senza posa; per Aldo, invece, comincia il processo per plagio, che lo vedrà colpevole del reato ascrittogli.
A seguire la vicenda, in tribunale, Ennio Scrivani, giornalista de “l’Unità” che, nel corso del dibattimento, diventa confidente di Aldo.