Il teologo Mancuso: “il Sinodo e il sogno di una Chiesa giovane”
Riflessioni del teologo Vito Mancuso pubblicate su “La Repubblica” del 14 ottobre 2014
Le direttive di Papa Francesco ai padri sinodali aprendo i lavori il 5 ottobre scorso erano state chiare: mettersi in ascolto della realtà effettiva delle persone concrete.
E ancora: confrontarsi senza diplomazie e schemi ideologici aprioristici, parlare in modo trasparente e chiaro, e soprattutto coltivare interiormente lo sguardo che Gesù nella sua vita terrena posava sugli uomini e le donne che incontrava: lo sguardo del perdono, dell’accoglienza, della misericordia.
Dopo la prima parte dei lavori sinodali penso si possa sostenere che i cardinali e i vescovi riuniti a Roma da tutto il mondo stanno prendendo in parola il volere del Papa.
Se si legge la «Relatio post disceptationem» del Cardinale Péter Erdõ, arcivescovo di Budapest e Relatore generale del Sinodo, ci si trova di fronte a delle autentiche sorprese, ad affermazioni inimmaginabili in un documento ufficiale della Santa Sede fino a ieri.
Nuovo è anzitutto il metodo, non più dogmaticamente deduttivo (c’è una dottrina elaborata dal vertice che va applicata dalla base) ma pastoralmente induttivo: “I Padri sinodali hanno avvertito l’urgenza di cammini pastorali nuovi, che partano dall’effettiva realtà delle fragilità familiari”. Grazie a questa rinnovata prospettiva che parte dal basso sono almeno tre gli ambiti in cui le parole della Relatio risuonano molto innovative.
Il primo riguarda i matrimoni civili e le convivenze, al cui proposito si invita a “cogliere la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze”. Persino la convivenza more uxorio, fino a ieri bollata come del tutto improponibile per una vita eticamente formata, oggi viene indicata come portatrice di realtà positive.
Quanta differenza con i toni di crociata e di allarme per gli attentati alla sacralità della famiglia messi in campo dalla Chiesa italiana guidata dal cardinal Ruini all’epoca in cui il governo Prodi nel 2006 aveva in progetto di introdurre i cosiddetti Dico, naufragati principalmente per l’intransigente opposizione della Chiesa di Benedetto XVI e dei suoi “valori non negoziabili”!
Il secondo ambito riguarda le situazioni di quelle famiglie definite “ferite”, cioè che presentano casi di separati, divorziati non risposati, e divorziati risposati.
È noto che è soprattutto su questa terza categoria che da tempo fervono le discussioni, concentrate in particolare sulla questione se proseguire nella linea dura che vieta loro l’accesso ai sacramenti oppure no, come vorrebbe la proposta del cardinal Kasper tanto gradita a papa Francesco.
La “Relatio post disceptationem” non nasconde la divisione dell’aula sinodale (“alcuni hanno argomentato a favore della disciplina attuale in forza del suo fondamento teologico, altri si sono espressi per una maggiore apertura”) ma leggendo l’intero paragrafo è evidente che essa intende aprire la strada a un cambiamento della prassi consolidata: “L’eventuale accesso ai sacramenti occorrerebbe fosse preceduto da un cammino penitenziale — sotto la responsabilità dal vescovo diocesano — , e con un impegno chiaro in favore dei figli”. Non c’è più la durezza dottrinaria del non possumus, c’è lo sforzo di cercare sentieri di accoglienza e di speranza.
Ma i toni e le parole più innovativi riguardano il terzo ambito su cui la Relatio ha preso posizione, cioè le persone omosessuali. Riassumendo il senso della maggioranza degli interventi in aula, il cardinale Erdõ ha affermato che “le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”.
Non sono quindi un problema, un soggetto malato, dei poverini che vanno accolti per spirito di carità; al contrario, sono una risorsa con doti e qualità!
E in questa prospettiva il presule interpella la sua Chiesa: “Siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità?”.
Certo l’apertura non è tale da equiparare le coppie gay al matrimonio (un passo, io penso, che obiettivamente non si può chiedere alla Chiesa cattolica), ma tuttavia si giunge ad affermare che “vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners”.
Si riconosce cioè la presenza dell’amore, della dedizione sincera. E al di là delle etichette, che cosa è in gioco nel matrimonio se non l’amore fedele e duraturo “fino al sacrificio”?
Monsignor Bruno Forte, il segretario particolare del Sinodo, è andato oltre, arrivando ad affermazioni che aprono esplicitamente agli interventi legislativi di riconoscimento delle coppie gay, quando ha definito “la ricerca di una codificazione di diritti che possano essere garantiti a persone che vivono in unioni omosessuali” come “un discorso di civiltà e di rispetto della dignità delle persone».
Questo non significa che tutte le pagine della Relatio sono intrise dalla medesima volontà innovativa. Le chiusure intransigenti sulla morale sessuale rimangono intatte, essendo stata ribadita la bontà e l’attualità dell’enciclica Humanae vitae , il deleterio documento di Paolo VI del 1968 che condanna ogni forma di contraccezione e qualifica come eticamente disonesto il rapporto sessuale che voglia esplicitamente evitare la procreazione.
Ma probabilmente a questo Sinodo e a questa Chiesa oggi non si può chiedere di più. L’anno prossimo vi sarà un altro Sinodo e se questa volontà della Chiesa di papa Francesco di pensare concretamente al bene delle persone continuerà, anche la morale sessuale dovrà conoscere una profonda trasformazione.
Nel 2008 sotto Benedetto XVI il cardinale Carlo Maria Martini dichiarava con tono sconsolato nelle sue Conversazioni notturne a Gerusalemme : “Sognavo una Chiesa giovane, oggi non ho più di questi sogni”. Oggi con papa Francesco è tornata la possibilità di sognare.