Riflessioni di Paolo Spina del Progetto Giovani Cristiani LGBT
A chi ama il Vangelo, le domande piacciono tanto; da esse, infatti, nascono le pagine più belle: “Maestro, dove abiti?”; “Che cosa cercate?”; “Ma voi, chi dite che io sia?”; “Chi è il mio prossimo?”; “Mi ami tu?”. E’ anche per questo che il Progetto Giovani Cristiani LGBT, ogni anno, mette in cantiere un questionario e, perché possa essere uno strumento utile a ciascuno, vorremmo provare a fare sintesi sulle risposte raccolte all’ultima domanda posta lo scorso anno: “Quale sogno concreto hai nel cuore per il futuro della Chiesa e del suo accompagnamento con i giovani LGBT, e come possiamo gettare il nostro piccolo seme per realizzarlo?”.
Non è semplice trovare il trait d’union tra tante voci, e il compito avrebbe potuto essere difficile, troppo difficile: offro un tentativo, leggendo e rileggendo le risposte arrivate, tenendo in mano la penna dai tre colori che tante volte mi ha aiutato, dall’università all’oratorio.
Con il verde sottolineo il sogno concreto più citato: un gruppo di giovani cristiani LGBT in ogni diocesi. Le storie dei nostri gruppi raccontano la bellezza di una fede condivisa, la gioia di camminare insieme, il senso di un’amicizia che non abbandona, ma quante volte tali traguardi sono il frutto anche di esperienze di chiusura, di indifferenza, di incapacità di ascoltare e accogliere i nostri vissuti?
Chi ha abbracciato (o riabbracciato) la fede nei nostri gruppi ha trovato in essi il volto di una Chiesa-casa, una Chiesa-famiglia, e vorrebbe che mai più accada che altre e altri si sentano messi ai margini, discriminati o esclusi solo in ragione del proprio orientamento sessuale: per questo è quasi scontato che, a fianco alle tradizionali forme di pastorale specifica – giovanile, familiare, universitaria, del lavoro, dei malati – si chieda a ogni diocesi l’istituzione di una pastorale specifica per le persone LGBT.
Con il blu evidenzio la parola, il verbo, l’aggettivo più utilizzati, e mi accorgo come il comune denominatore sia l’accoglienza. E’ una richiesta che nasce dall’esperienza di molti, quando si arriva (o si ritorna) alla dimensione comunitaria della fede, all’interno di una parrocchia, di un gruppo, di un movimento, e si avverte che Dio non chiede mai di scegliere tra Lui e quello che sono io, la mia dimensione più profonda, l’intimità e il cuore della mia persona!
Proprio dall’accorgersi che non esiste un fantomatico “cristianesimo LGBT”, soltanto un cristianesimo che è seguire Dio fatto uomo per me, si spicca un coraggioso salto di qualità: dal desiderio di una pastorale specifica per le persone LGBT, oggi ancora necessaria, soprattutto nelle realtà più piccole e lontane dalle grandi metropoli, a una pastorale ordinaria, in cui ciascuno possa vivere serenamente l’appartenenza alla Chiesa senza che il proprio orientamento sessuale sia un impedimento impronunciabile o una dimensione da nascondere o reprimere, senza la paura di non essere accettati solo perché affetti e inclinazioni sono vissuti alla luce del sole.
Due sogni agli antipodi, paradossali, antitetici o contraddittori, quelli sottolineati col verde, o evidenziati col blu? No, anzi: voci diverse che chiedono la stessa cosa: saper vedere nella propria particolarità un dono da condividere con tutti, per realizzare in ciascuno l’opera che Dio ha iniziato, e che trova il suo compimento camminando col sostegno di tutta la comunità ecclesiale.
Quali, allora, i possibili passi?
Li trovo circondandoli in rosso, e provando a elencarli così: condividere liberamente tali tematiche in oratorio, nei gruppi parrocchiali e nei movimenti ecclesiali (ad esempio gli scout o Azione Cattolica), anche organizzando momenti di conoscenza reciproca e iniziative comuni; continuare la formazione specifica di seminaristi, presbiteri e consacrate/consacrati sull’accoglienza delle persone LGBT; realizzare percorsi vocazionali dove non si abbia paura di nominare la diversità, senza chiudere a priori o giudicare con pregiudizi la vita di coppia o di consacrazione per le persone LGBT; prevedere cammini di accompagnamento per le coppie LGBT, in maniera analoga a quelli per le coppie eterosessuali; procedere con la ricerca nelle discipline teologiche perché, coadiuvate dalle scienze umane, possano favorire la piena accettazione di ciascuno, integrando fede e affettività, con un bisogno minore di gruppi specifici e protetti.
Un sogno ambizioso? Sì, perché quando si sogna, si sogna in grande, come il Padre ha fatto guardando alla vita di ciascuno di noi.
Un sogno impossibile? No, se ognuno accetta la propria vocazione profetica e, mettendosi in gioco per primo, scommette di testimoniare il vissuto affettivo in ambito ecclesiale, come il vissuto di fede nel contesto del mondo.
Non abbiamo la presunzione di avere “risposte di compromesso a domande scomode“; per questo continuiamo a camminare, lasciando alle spalle l’affermazione più pericolosa in assoluto per la Chiesa e per ciascuno: “Abbiamo sempre fatto così”, e rilanciando il nostro sogno insieme ad altre domande (che Papa Francesco poneva in una sua omelia, il 9 ottobre 2019): “Vado incontro agli altri oppure sono contro gli altri? Appartengo alla Chiesa universale (buoni e cattivi, tutti) oppure ho una ideologia selettiva? Adoro Dio o adoro le formulazioni dogmatiche? La fede in Dio che professo mi rende amichevole oppure ostile verso chi è diverso da me?”.