Il tempo di Avvento è attesa e apertura
Riflessioni bibliche di Craig A. Ford, Jr. pubblicato su Bondings 2.0*, blog dell’associazione cattolica New Ways Ministry (Stati Uniti), il 27 novembre 2016, liberamente tradotto da Silvia Lanzi
Ad una prima occhiata sembrerebbe che l’Avvento sia una stagione fatta apposta per incasinare la nostra nozione del tempo. Sentiamo spesso che Avvento significa “aspettare”. Queste parole, almeno per me, non mi fanno venire in mente immagini e situazioni che implichino tante cose da fare: per me aspettare evoca scene in cui ogni attività è almeno temporaneamente sospesa, come sedere nella sala d’aspetto del dottore o aspettare un e-mail cruciale da parte di un collega per finire un progetto.
D’altra parte sembra che, in questo periodo, ogni cosa della nostra vita quotidiana sia frenetica, amplificata dalla compulsione dello shopping, dai regali da comprare, dalle cene, dalle feste e dai biglietti natalizi da spedire. Questa pazzia è la cosa più lontana dall’attesa che ci sia, anzi, sembra piuttosto una corsa.
Ma se lasciamo, almeno per un momento, che le letture di questa settimana d’Avvento catturino la nostra attenzione, vedremo che l’impressione che abbiamo di questo periodo come di una sala d’aspetto liturgica non sia esatta; certamente non ci dicono che l’Avvento è un periodo di consumismo in cui comprare le diavolerie più nuove e imperdibili. Le Scritture di oggi sottolineano piuttosto che abbiamo bisogno di essere coinvolti in un altro tipo di attività.
Quest’impressione alternativa si fa più chiara quando andiamo a ritroso nelle letture. Le parole che ci rivolge Gesù nel Vangelo invitano chi le ascolta non in una storia dove le persone sono sedute con le mani in mano, ma in una storia dove tutti vanno avanti e indietro nel loro tran tran quotidiano, completamente dimentichi delle sollecitazioni del Vangelo. A partire da qui si drammatizza l’arrivo del regno di Dio con l’improvvisa scomparsa di alcune persone molto vicine a noi: “Allora due saranno nel campo” dice Gesù “uno sarà preso e l’altro lasciato” (Matteo 24:40). Ma nessuno dovrebbe essere lasciato nel campo. La nostra opera come cristiani è quella di includere tutte e in questo l’Avvento chi chiede di impegnarci.
Cosa comporta questo lavoro? L’impegno di aprirci agli altri. Il coraggio di non rintanarci in noi stessi al di là di ogni richiesta di cura di noi stessi (non dovremmo mai tenere in poco conto la cura di noi stessi, compreso tutto quello che serve per sentirci in salute così da poter continuare ad aiutare gli altri, come un caffè con gli amici, lunghe passeggiate e una disconnessione dai social media). Il nostro lavoro comporta vivere un Vangelo non escludente, dove diventiamo ambasciatori dell’accoglimento reciproco. Paolo, nella seconda lettura, lo sintetizza come il rivestirci di Gesù Cristo (Romani 13:14), che, come sappiamo da altri passi della Scrittura, significa prendere su di sé, curare – in una parola amare – il nostro prossimo (1 Giovanni 4:20).
Questo compito non è semplice. Per chi si identifica come cattolico/a LGBT, queer o transgender sembra che questo tipo di azione sia assolutamente impossibile. Dopo tutto, come potremmo aspettarci che si aprano agli altri finché i nostri vescovi continuano ad usare il linguaggio offensivo della “verità sull’uomo e la donna e sul legame unico che formano nel matrimonio”? (Quel che una dichiarazione del genere eclissa è la verità vera: non abbiamo il permesso di escludere dalla Chiesa nessuna relazione in cui sia presente l’amore, dalla Chiesa che è propriamente una comunità animata dall’amore, il legame dello Spirito Santo.)
Inoltre, la prospettiva del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump esaspera questi messaggi negativi, dal momento che la sua presenza nel dibattito pubblico avalla i sentimenti omofobici e transfobici di alcuni dei suoi sostenitori. Questi, a loro volta, fanno dichiarazioni del genere pubblicamente e ciò causa in molti di noi preoccupazione per la propria integrità fisica, specialmente se viviamo in Stati che non hanno una specifica politica di protezione delle persone LGBT, queer e transgender.
Non di meno, comunque, questa chiamata all’apertura è la chiamata del Vangelo. Questa è l’opera dell’Avvento: aspettare l’arrivo di Cristo. Dobbiamo pregare Dio perché ci rafforzi in questo intento, in quanto l’altra faccia della medaglia di quest’opera sono la giustizia sociale e la pace. Il racconto di Isaia ha catturato molti cuori: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra” (Isaia 2:4). Catturerà anche i nostri?
Noi cristiani queer sappiamo di non poter sopportare un’esclusione perpetua. Che questo Avvento possiamo dedicarci a non lasciare più nessuno – amico o nemico, persona cara o bigotto – nel campo.
*Per le quattro settimane di Avvento Bondings 2.0 ospiterà riflessioni sulle letture del giorno fatte da teologi e ministri pastorali LGBTQ che studiano al Boston College. Le letture liturgiche per questa prima domenica di avvento sono: Isaia 2:1-5; Salmi 122 (123):1-9; Romani 13:11-14; Matteo 24:37-44. La riflessione di oggi è di Craig A. Ford, Jr., candidato dottorando in etica teologica al Boston College.
Testo originale: Let No One Be Left in the Field