Il teologo Faggioni: «Omosessualità, la morale non può ignorare la scienza»
Intervista* di Luciano Moia pubblicata su Avvenire l’8 settembre 2019, pag.11
«Omosessuali si nasce o si diventa?». La ricerca genetica realizzata negli Stati Uniti (Broad Institute di Mit e Harvard) da un’equipe di studiosi cooordinati dall’italiano Andrea Ganna, ha riacceso l’attenzione sull’origine dell’omosessualità. Secondo lo studio «non esiste un solo gene responsabile dell’orientamento sessuale, ma sono migliaia di interazioni a stabilirlo, frutto di un mix complesso di cultura, ambiente ed esperienze».
«Si tratta di una ricerca i cui risultati sono in sintonia con quanto si stava evidenziando nelle ricerche sulla genesi dell’omosessualità negli ultimi anni, ma apportano dati nuovi e ben fondati sull’importanza del dato genetico. Da anni osservazioni sui gemelli monozigoti, soggetti in pratica geneticamente identici, e sulla familiarità del comportamento omosessuale avevano attirato l’attenzione dei ricercatori. Le conclusioni del gruppo di Ganna chiariscono due cose: la prima è che non si può correlare l’orientamento omosessuale sia maschile sia femminile ad un gene particolare, ma ad alcune associazioni di geni e, in secondo luogo, che il peso del fattore genetico è dell’ordine del 20-25 per cento. Esistono molti fattori convergenti e interagenti, prenatali e postnatali precoci, di natura organica e psichica che intervengono nella complessa definizione della identità sessuale e nella genesi dell’orientamento sessuale».
Così padre Maurizio Faggioni, medico endocrinologo, bioeticista e teologo morale – è sua tra l’altro la voce ‘omosessualità’ sul recente Dizionario di teologia morale della San Paolo – riflette sulla genesi dell’omosessualità a partire dalla ricerca di Ganna.
Se nella formazione dell’orientamento sessuale solo il 20-25% sembra determinato dalla componente genetica, significa che esiste un ampio margine in cui la persona può compiere scelte autonome?
Parlare di orientamento e di comportamento omosessuale in modo univoco probabilmente non è corretto. Più rispondente alla realtà sarebbe forse parlare di ‘omosessualità’ al plurale, ma, restando sulle generali, gli elementi che giocano nella genesi dell’omosessualità sono molteplici: gli influssi genetici e gli steroidi sessuali che agiscono sull’encefalo nella vita prenatale sono fra i più rilevanti, ma non possiamo certo trascurare l’influsso delle prime esperienze del neonato e del bambino e, soprattutto, il legame che si crea con la coppia genitoriale.
Questi elementi agiscono come imprinting neuropsichici sulla mente del bambino e segnano in essa tracce profonde e durature che sono la base su cui si svolge e si sviluppa, a poco poco, la sua singolarità personale. Ricordo, a questo proposito, che l’edizione ufficiale del Catechismo della Chiesa Cattolica, riguardo alle tendenze omosessuali, le definisce correttamente e prudentemente «profondamente radicate» (CCC 2358), mentre la versione provvisoria in italiano diceva erroneamente «tendenze innate».
Tornando alla domanda, bisogna dire che esistono in tutti noi fattori molto ‘antichi’ e indipendenti dalla nostra volontà che ci dispongono a sviluppare un certo orientamento sessuale e, sotto questo punto di vista, l’orientamento appare come un dato che precede le scelte concrete e, in particolare, le scelte sessuali.
Sbagliato quindi pensare che in quella percentuale di componenti culturali ed esperienziali si possa intervenire per orientare la predisposizione della persona?
Diciamo subito che tutto quanto è connesso con la realtà umana è mai completamente bianco o nero perché la persona umana è multidimensionale e anche la sessualità attraversa e caratterizza la persona a tutti i livelli, fisici, psichici e spirituali (cfr. CDF, Persona humana, 1). Se, dunque, è vero che una persona non ‘sceglie’ di essere eterosessuale oppure omosessuale, con tutte le varianti – ovviamente – che queste etichette rigide sottendono, è anche vero che le esperienze del bambino e dell’adolescente, i modelli trasmessi dalla cultura, i progetti personali hanno un ruolo non secondario nel plasmare e attuare le disposizioni date.
Non possiamo dire di più allo stato delle nostre conoscenze e dobbiamo evitare i due estremi di chi ritiene che il comportamento umano sia il semplice frutto di determinismi biopsichici e chi vorrebbe, al contrario, negare questa base di determinazione previa per spiegare tutto come frutto di scelta autonoma in un vuoto assoluto di presupposti.
La capacità di decisione umana emerge proprio da questo intreccio misterioso di determinazione e di indeterminazione. Riguardo alla possibilità di intervenire per modificare l’orientamento sessuale, secondo i percorsi indicati per esempio dallo psicologo americano Joseph Nicolosi, l’esperienza clinica invita a grande prudenza distinguendo le situazioni in cui la spinta omosessuale deriva da difficoltà intervenute nello sviluppo della persona che, talora, possono essere sbloccate e superate, e situazioni in cui siamo di fronte a strutture personali consolidate nelle quali un intervento di riconversione potrebbe risultare devastante, anche se il soggetto lo desidera per una qualche sua ragione.
Ma se l’orientamento omosessuale è così profondamente strutturato da risultare per niente o difficilmente modificabile, la valutazione etica non dovrebbe riconoscere questo dato?
Il discorso etico non può non tenere conto degli apporti della scienza e questo, infatti, ha portato ad un atteggiamento della morale cattolica molto più articolato e duttile rispetto alla Tradizione. In sintesi, per l’insegnamento magisteriale, l’orientamento omosessuale, in quanto non è frutto di scelta personale, ma è una condizione data, non è colpevole in sé, anche se dispone ad atti disordinati. Gli atti omogenitali sono giudicati, infatti, disordinati perché non rispondono al senso intimo della sessualità umana che è quello di esprimere l’amore coniugale fra l’uomo e la donna.
La responsabilità morale per questi atti espressivi della sessualità omosessuale andrà valutata tenendo conto delle situazioni concrete della persona e del fatto che la spinta omoerotica non è il risultato di una scelta ma una condizione antecedente la scelta. Non si può presumere, però, una specie di coazione all’atto sessuale e, forte di questa persuasione, la dottrina morale cattolica chiede agli omosessuali di astenersi da atti sessuali. Non è una proposta da poco perché chiede alle persone omosessuali, al di fuori di una scelta religiosa e celibataria, di rinunciare ad una esigenza inscritta in ogni essere umano. Ben consapevole delle difficoltà della sua proposta etica, la Chiesa invita le persone omosessauli a vivere le difficoltà connesse con la loro situazione in unione alla croce del Signore (cfr. CCC 2358).
Quindi l’invito del Sinodo e di Amoris laetita all’accoglienza, al rispetto e alla benevolenza nei confronti delle persone omosessuali deve rimanere limitato all’ambito della spiritualità?
Questo è il grande nodo. Nelle discussioni preliminari al Sinodo sulla famiglia è stato sottolineato che sarebbe ingiusto non apprezzare quanti doni di sensibilità, intelligenza e generosità un credente omosessuale può offrire alla sua comunità cristiana. Non possiamo nascondere la difficoltà di mettere a fuoco la qualità antropologica di una coppia omosessuale, né i problemi morali che la pratica omogenitale comporta, soprattutto se confrontati con il paradigma di antropologia ed etica sessuale cattolica che lega la verità del linguaggio sessuale all’amore coniugale, ma non possiamo neppure negare che alcune relazioni basate su un affetto omosessuale possono esprimere valori umanamente significativi come la lealtà, l’ascolto, l’aiuto, l’oblatività. È sufficiente questo per porre analogie con l’amore coniugale?
La relazione fra gli/le uguali è paragonabile a qualche livello con la comunione che si può realizzare nella diversità sessuale? La infecondità originaria della coppia omosessuale è da leggersi in prospettiva antropologica come segno di una radicale incompiutezza di essa? Sono sfide e domande che chiedono alla comunità cristiana e ai suoi pastori grande saggezza e che – mi pare evidente – non possono trovare risposte soddisfacenti nella scienza, anche se con la scienza sarà doveroso sempre più confrontarsi.
SCHEDA: Il lungo percorso del magistero postconciliare
Il più organico documento del magistero sull’omosessualità in epoca postconciliare è la lettera ai vescovi della Congregazione per la dottrina della fede (“La cura pastorale delle persone omosessuali”) pubblicata nel 1986.
Il testo, spiega padre Faggioni nel nuovo “Dizionario di teologia morale” (San Paolo, 2019), da una parte «respinge un
approccio pastorale che si basi sulla “presunzione infondata e umiliante che il comportamento omosessuale delle
persone omosessuali sia sempre e totalmente soggetto a coazione e pertanto senza colpa” e indica nell’astinenza sessuale perpetua l’unica via lecita da percorrersi». Un pesante fardello imposto «non per motivi ascetici, come nel celibato religioso, ma per motivi etici che spesso risultano poco comprensibili anche da molti fedeli».
Nel ’97 il Catechismo riprende la lettera dell’86 e ribadisce che le persone omosessuali «devono essere accolte con
attenzione, compassione e dolcezza». Indicazioni pastorali che Amoris laetitia (2016) sviluppa (n.250), escludendo
però ogni riferimento etico.
* Sul tema ha già pubblicato Avvenire l’intervista al ricercatore Andrea Ganna uscita su “Avvenire” di giovedì 5 e quella al neuroscienziato Pietro Pietrini, uscita venerdì 6.