Il Vescovo di Pavia, l’omosessualità e le cose che non avrebbe dovuto dire
Riflessioni di Gianni Geraci del Gruppo Il Guado di Milano e volontario de La Tenda e del Progetto Gionata
Un commento a quanto ha detto il vescovo di Pavia, monsignor Corrado Sanguineti, agli studenti dell’IPSIA “Cremona” che l’avevano invitato il 7 marzo 2018 per una conferenza.
Nel commentare il post indignato di un giovane omosessuale credente che, giustamente, condivideva il suo disagio per le parole pronunciate dal vescovo di Pavia, un prete della sua diocesi lo giustificava scrivendo: «Cosa volevi che dicesse? Cos’altro poteva aggiungere?».
Il problema, però, non sono le cose che monsignor Sanguineti avrebbe potuto dire e che ha omesso. Il problema sono le parole che avrebbe dovuto non dire e che, invece, ha detto, venendo così meno a una delle raccomandazioni che la Congregazione per la dottrina della Fede, nel 1986, faceva ai vescovi come lui ricordando loro che, quando si parla di omosessualità: «si richiede studio attento, impegno concreto e riflessione onesta, teologicamente equilibrata» (cfr Homosexualitatis Problema. Lettera ai vescovi della chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, 3).
Se monsignor Sanguineti, ad esempio, si fosse limitato a ricordare che, per il magistero della chiesa, la tendenza omosessuale «non è peccato, ma è qualcosa di disordinato» non avrebbe fatto altro che il suo dovere, riprendendo quanto recita la lettera già citata al punto 3 (cfr).
Purtroppo, invece di seguire la sobrietà di san Giovanni Paolo II che, quando in occasione del World Pride del 2000, aveva deciso di dire alcune cose sull’omosessualità, aveva letto alcuni brani del catechismo, monsignor Sanguineti ha voluto aggiungere alcune sue opinioni personali dicendo che la tendenza omosessuale è qualcosa di disordinato «rispetto all’ordine della natura» e ricordando la frase: «non sarà quella la strada che ti farà felice» che aveva detto a un suo «ex amico che dice di essere omosessuale e ha cominciato a convivere con un uomo».
Perché parlare di disordine «rispetto a un ordine della natura» per una tendenza la cui genesi, per lo stesso magistero della chiesa «rimane in gran parte inspiegabile» (cfr Catechismo della chiesa cattolica, 2358)?
Perchè dire poi che chi decide di vivere la propria omosessualità non potrà essere felice? Non posso ecludere che monsignor Sanguineti parta dall’esperienza delle persone che ha conosciuto, ma visto che considera “ex amici” quelli che convivono con un uomo, ho l’impressione che si tratti di un’esperienza parziale che, tra l’altro, contraddice quello che ricordano i documenti del magistero quando, suggeriscono a quanti, tra gli omosessuali, accettano di rinunciare a qualunque forma di intimità sessuale, di unire: «ogni sofferenza e difficoltà che possano sperimentare a motivo della loro condizione, al sacrificio della croce del Signore» (Homosexualitati Problema 12) e proprio in considerazione di queste «sofferenze e difficoltà» ricordano che: «per il credente, la croce è un sacrificio fruttuoso, poiché da quella morte provengono la vita e la redenzione» (ibidem).
Cosa intende poi dire monsignor Sanguineti quando afferma che, a uno che gli dice di essere omosessuale e gli chiede di aiutarlo a vivere la sua condizione, lui direbbe: «Cerca di darti un altro orientamento»? Sembra quasi che voglia suggerire l’idea che ci sia qualche scorciatoia per modificare il proprio orientamento sessuale, ma se l’intento fosse questo, non solo saremmo di fronte a un’affermazione scientificamente sbagliata (non necessariamente un vescovo deve essere un esperto di psicologia), ma ci sarebbe una palese contraddizione con quanto afferma il Catechismo della Chiesa cattolica quando ricorda che certe tendenze sono «profondamente radicate» (cfr 2358) o con quanto sembra avvallare il documento Persona Humana. Alcune questioni di etica sessuale quando riporta il pensiero di quanti sostengono «non senza motivo» che ci siano omosessuali che «sono definitivamente tali per una specie di istinto innato» (cfr 8).
Che ci fosse bisogno di un chiarimento deve averlo capito lo stesso monsignor Sanguineti quando ha pubblicato sul sito della Diocesi di Pavia una lettera di risposta alle critiche che gli erano state mosse.
Purtroppo, in questa lettera, c’è una ricostruzione fuorviante delle parole che aveva detto il 7 marzo. Quando ad esempio afferma di aver detto che «è giusto che lo Stato garantisca i diritti delle persone che vivono un’unione omosessuale, anche con leggi specifiche» mentre dall’audio dell’incontro con gli studenti dell’Ipsia sembra emergere una condanna di queste stesse leggi nelle parole: «Non è giusto! É un fenomeno che c’è nel nostro tempo».
Quando ricorda l’esperienza di un suo «carissimo amico» che per gli studenti dell’IPSIA era invece stato descritto come un «ex amico».
Quando ha tirato fuori il tema della maternità surrogata, di cui non aveva parlato il 7 marzo scorso, e ha omesso di riconoscere l’impegno di tantissimi esponenti del movimento omosessuale italiano contro questa pratica che, tra l’altro, coinvolge prevalentemente delle coppie eterosessuali.
Qualcuno che vuole bene alla chiesa e a monsignor Sanguineti dovrebbe scrivergli e dirgli queste semplici parole: «Non dubito delle sue buone intenzioni, ma credo che lei abbia bisogno di essere aiutato a capire meglio certi argomenti per evitare in futuro altri incidenti come quello di questi giorni!».