I videogiochi sdoganano il mondo gay
Articolo del 15 gennaio 2013 di Mauro Munafò pubblicato su l’Espresso
Oggi è in atto una rivoluzione: si è passati dall’omosessuale “brutto e cattivo”, al giocatore che può selezionare i propri gusti sessuali nelle opzioni. L’indagine di De Santis nel libro ‘Videogaymes’ sulla mondo lgbt formato pixel
“Scopare con più donne possibile senza farsi sodomizzare dai froci e contrarre l’AIDS”. Era il 1985, e il poco noto videogame a sfondo erotico ‘Mad Party Fucker’ trattava così il tema dell’omosessualità, ricalcando stereotipi ben consolidati nell’immaginario di quegli anni.
Un caso di sicuro estremo, ma che fa capire quanto il mondo lgbt (sigla che indica gay, lesbiche, bisessuali e transessuali), sia stato oggetto di aggressioni più o meno velate anche nella narrazione proposta nei giochi elettronici sin dalla loro apparizione; aggressione continuata con poche eccezioni fino alla prima metà degli anni ’90 e poi abbandonata per posizioni molto più progressiste.
“Anche nei videogiochi il pregiudizio sociale nei confronti degli omosessuali emerge, soprattutto tra gli anni ’80 e ’90, quando questo mezzo culturale ricalca i messaggi diffusi in particolar modo dal cinema”, spiega Luca De Santis, autore del libro in uscita per Unicopli ‘Videogaymes’, che analizza proprio come l’omosessualità sia stata trattata nei videogame. “E’ solo alla fine degli anni ’90 che i videogame si staccano dal cinema e lo superano, tanto da arrivare ad anticipare la realtà e a permettere i matrimoni omosessuali prima ancora che questi siano legali in molti paesi, come nel caso di The Sims 3”.
Il lavoro di De Santis affronta un tema assai sottovalutato, con il merito di trattare il videogioco come forma culturale adulta e non come semplice giocattolo per bambini, idea fin troppo diffusa nel pubblico e contro cui combatte un gran numero di ricercatori. Tematiche come quella dell’omosessualità e la transessualità, che sembrano così lontane dal mondo di Super Mario e co, si scoprono così essere in realtà tutt’altro che marginali nei mondi riprodotti su schermo. “Volevo iniziare con un semplice censimento dei personaggi lgbt presenti nei videogiochi (oltre 9.000 quelli analizzati ndr), ma poi ho notato un’evoluzione nel modo di trattare il tema e ho deciso di seguire questa strada”, continua De Santis.
Grazie a un’attenta indagine basata anche su libretti delle istruzioni e sulle dichiarazioni degli autori, il giornalista e scrittore riesce a scoprire molti insospettabili omosessuali nascosti tra i pixel. E proprio la sensazione di incredulità è la prima a palesarsi nella mente del lettore-giocatore. “Il giocatore dà sempre per scontato che l’eterosessualità sia la normalità nei videogame, e quindi anche di fronte ad elementi chiari non si pone alcun dubbio. Vestiti o fattezze che richiamano la cultura omosessuale non vengono quindi colti perché manca l’abitudine a leggere questo tipo di messaggio”.
Ripensando ad anni passati in sala giochi o davanti a una console, ci si accorge quindi di quanti messaggi gli autori dei videogame abbiano lanciato. L’omosessualità è stata vista come devianza nei picchiaduro anni ’80 e ’90, con i cattivi abitanti delle periferie degradate vestiti in pelle, tacchi alti e borchie, opposti in tutto alle virtù e ai principi del protagonista eroe (che infatti deve pestarli a dovere). Impossibile o quasi trovare un personaggio lgbt che non sia un antagonista da sconfiggere e attraverso cui ribadire la superiorità del protagonista impersonato dal giocatore.
Le battaglie per i diritti della comunità omosessuale che caratterizzano l’ultimo decennio, insieme all’incredibile allargamento del target commerciale dei videogame, rivoluzionano le cose. Si passa dal gay “brutto e cattivo”, all’omosessualità che diventa un’opzione selezionabile dal giocatore in base al suo interesse.
Giochi recenti e best seller come The Sims, Fallout, Mass Effect o Elder Scroll permettono di costruire un protagonista dichiaratamente omosessuale e di intrattenere relazioni con personaggi dello stesso sesso. Un’evoluzione che trova spiegazione anche nelle dinamiche stesse del gioco.
“Il videogioco non è come il cinema. Nei confronti dei personaggi che comandiamo c’è un’impersonificazione quasi totale”, conclude De Santis, “Per questo al giocatore deve essere data la libertà di rappresentarsi. E anche quando la linea “romantica” sembra marginale rispetto agli sviluppi della trama, questa ha un impatto assai più grande nella capacità del giocatore di sentire quel personaggio come suo”.
La strada è ormai tracciata e, almeno nei mondi virtuali, la comunità lgbt è riuscita a conquistare i suoi diritti. Ora tocca alla realtà raggiungere i videogiochi.