Il vostro amore omosessuale è benedetto da Dio, non avete bisogno di altra benedizione
Riflessioni sul Responsum Vaticano de La Comunità cristiana di base di San Paolo (Roma) del 3 aprile 2021
La Comunità cristiana di base di san Paolo in Roma si aggiunge alle molte altre voci del mondo cattolico, in Italia e nel mondo, che hanno ritenuto inaccettabile il Responsum – datato 22 febbraio e reso noto il 15 marzo – con cui il cardinale Luis F. Ladaria, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, rispondeva a questo dubium: “La Chiesa dispone del potere di impartire la benedizione a unioni di persone dello stesso sesso?” – “Si risponde: Negativamente”.
Noi riteniamo che il diktat vaticano vada respinto, sia nel metodo che nel merito.
Come è possibile che, dopo tanto parlare di “sinodalità”, il papa abbia permesso che, su un problema così delicato, un dicastero della Curia esprimesse un giudizio, a nome di tutta la Chiesa, senza prima formalmente consultare almeno i presidenti di tutte le Conferenze episcopali? E, inoltre, senza interpellare almeno alcune organizzazioni di cui fanno parte persone LBGTQ+ di religione cattolica, e dunque anch’esse parte della Chiesa?
Ma, a nostro parere, è soprattutto per quello che afferma che il Responsum va ritenuto inammissibile, sotto l’aspetto biblico, teologico e storico.
Se Dio è il Creatore di ogni uomo e di ogni donna, non è sorprendente, per non dire scandaloso, affermare che due persone dello stesso sesso che si amano siano nel “peccato”? Se Dio le ha create così, e dunque anche per innamorarsi di persone dello stesso sesso, perché non dovrebbero vivere di conseguenza e con gioia la loro sessualità?
È ben vero che nella Bibbia – Primo e Secondo Testamento, anche se mai nei Vangeli – vi sono proclamazioni di condanna di comportamenti omosessuali (anche se tale parola non vi è nelle Scritture). Sappiamo quello che stabiliva il Levitico: “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro” (20,13).
Parole che poi, nella Societas Christiana medioevale, e anche dopo, saranno tradotte in pratica: sia le autorità della Chiesa, che quelle della società civile, hanno talora emesso condanne al rogo per i “sodomiti”.
Armato di zelo ardente, il 30 agosto 1568 san Pio V (papa, canonizzato nel 1712) con la bolla Horrendum illud scelus stabiliva che i chierici – il discorso era rivolto ad essi, non ai semplici laici – rei di “un così esecrabile delitto” [di atti omosessuali] fossero degradati, e poi “immediatamente consegnati all’autorità secolare onde essere sottoposti al supplizio, come prescritto dalla legge appropriata che punisce i laici sprofondati in tale abisso”. Il “supplizio” poteva comportare anche il rogo.
La moderna esegesi ci ha insegnato che la violenza e la vendetta, dalla Bibbia attribuite al Signore che “comanda” azioni atroci contro i nemici, o contro i peccatori, non possono essere sic et simpliciter prese alla lettera: l’agiografo (l’estensore di un dato libro) scrive con la sua mentalità e immagina nell’Altissimo sentimenti umani che a lui, uomo, sembrano “normali”.
Ma che siano “normali” in Dio è tutt’altro discorso: e questa precauzione non può essere assolutamente disattesa, per non cadere in un devastante fondamentalismo. Del resto, un agiografo particolarmente acuto mise in bocca al Signore questo pensiero: “Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri” (Isaia, 55, 9).
I testi di condanna citati, che oggi ci inorridiscono, vanno comunque calati nel periodo storico in cui sono stati scritti, in cui nulla si sapeva dell’omosessualità e dell’omoaffettività, come le conosciamo oggi. Si conoscevano solo gli atti, i comportamenti, nulla si sapeva dell’identità della persona che c’era dietro, del suo orientamento sessuale. Se dunque chi ha scritto quei testi è giustificato, seguitare a parlare oggi, con le conoscenze che abbiamo, di “atti”, è scandaloso. Non ci sono gli atti, ci sono le persone con i loro amori e la loro sessualità, che è dono di Dio. E il Creatore non fa doni di serie A e doni di serie B. La condanna delle relazioni omosessuali da parte delle gerarchie della Chiesa romana, questa sì, è peccato, perché fa violenza sulle persone, umilia e colpevolizza il loro amore.
A noi sembra che il problema di fondo per il magistero cattolico sia e stia nella difficoltà di contrastare e smentire se stesso che, lungo i secoli, e pur nel cambiare delle culture e delle società, ha condannato duramente l’omosessualità. Ma non si uscirà dal circolo vizioso, nel quale è prigioniero il magistero ecclesiastico, se non si prenderà atto, anche nella Curia romana, che la riflessione sulla/sulle sessualità deve tener conto, assolutamente, degli apporti della scienza moderna e della psicoanalisi. La teologia di un tempo, dunque, non può più guidare, oggi, una riflessione seria, ed evangelicamente liberante, sulla sessualità. Bisogna trovare il coraggio di riconoscere, rispetto al passato, l’errore e chiedere perdono agli omosessuali per il peso che gli si è gettato addosso. Ora, senza aspettare secoli, come purtroppo si è atteso per il caso Galileo.
Il problema, perciò, non è risolvibile confermando i “princìpi” sulla condanna dell’omosessualità proclamati nel Catechismo (varato da Giovanni Paolo II nel 1992, e sul punto mai smentito da Francesco), addolcendoli nella “pastorale”. E, infatti, la contraddizione insita in questa impostazione è scoppiata, e il Responsum vaticano la esplicita con solare chiarezza: “La Chiesa non benedice né può benedire il peccato: benedice l’uomo peccatore, affinché riconosca di essere parte del suo disegno d’amore e si lasci cambiare da Lui”. E, qui, il “peccato” è quello delle persone omosessuali che, create così dal Signore, si amano. Dunque, il magistero ecclesiastico si arroga il diritto di correggere l’opera di Dio e di proclamare condanne là ove l’Altissimo ha sparso benedizioni.
Ma il problema non riguarda solo l’omosessualità; riguarda la sessualità in generale, il controllo della quale è lo strumento con cui la Chiesa gerarchica ancora esercita, o spera di esercitare, attraverso una casistica dettagliata e fantasiosa di divieti, il suo vero e più grande potere: quello del controllo sulle coscienze. Una scelta strategica. Non c’è, infatti, uno strumento migliore perché nessuno sfugga: la sessualità riguarda tutti e nell’intero arco della vita delle persone. È un modo efficace per creare, attraverso la paura, sudditi, laddove Gesù ha cercato una sequela di discepoli liberi. E tutto questo nel nome di Dio, impadronendosi di Dio per controllare le coscienze e sottomettere il popolo di Dio al proprio potere.
Ogni amore – noi, invece, pensiamo – è bello e santo. Dove non c’è violenza e sopraffazione, dove c’è cura dell’uno per l’altro, tenerezza, rispetto reciproco, libero consenso ed assunzione di responsabilità, qualunque sia l’orientamento sessuale della coppia, c’è una relazione d’amore. E, come tale, quella relazione ci racconta qualcosa dell’amore di Dio per il suo popolo e ne è segno.
Per tutti questi motivi, noi riteniamo che il Responsum vaticano vada respinto. Vogliamo rilevare, comunque, come esso non sia la parola della “Chiesa” ma solamente la parola di qualche autorità della Chiesa romana. Molto più importanti ci sembrano le vite, e l’insegnamento, di coloro che si amano, tra loro le persone LGBTQ+, oggi sotto gli strali del Responsum, alle quali vogliamo esprimere la nostra solidarietà e l’invito alla speranza.
Care sorelle, cari fratelli LGBTQ+, non siete soli! Perfino alcuni vescovi hanno avuto il coraggio di dissentire dal diktat del cardinale Ladaria, perché con ogni evidenza è fondato sul pregiudizio, sulla pretesa di assoggettare le coscienze, sull’ignoranza della scienza e della psicologia. E c’è un’intera Chiesa di base, formata da chierici, religiosi, religiose, laici, uomini e donne, che non fa Responsa, ma che cammina con voi.
È di questa Chiesa – insieme anche a quei vescovi e presbiteri, che iniziano a porsi domande e dubbi sulla dottrina tradizionale, e a quelle Assemblee sinodali che, come in Germania, si aprono a nuove prospettive su questi temi – che c’è bisogno perché la Chiesa tutta possa mettersi su un cammino di conversione, alla sequela di quel Gesù di Nazareth, che invita a benedire anche coloro che maledicono (Lc 6,28), e che si è messo, senza se e senza ma, dalla parte degli emarginati e delle emarginate del suo tempo.
Invece una gerarchia che proclama il vostro diritto ad essere rispettati – e bene fa a proclamarlo – ma poi precisa che voi siete “oggettivamente nel peccato”, se vivete la vostra sessualità, in realtà accatasta legna al fuoco – oggi per fortuna solo simbolicamente! – per accendere roghi. Voi non avete bisogno di “comprensione”, più di quanto non ne abbiano bisogno le persone eterosessuali. Siete persone come tutte, battezzate, impegnate a vivere l’Evangelo, chiamate a rispondere davanti al Signore, ai fratelli e alle sorelle solo su un punto dirimente: se vi spendete per gli impoveriti, per i curvati da una società ingiusta, per costruire giustizia e pace nel mondo. Non farlo, questo sì, è il solo e grande peccato!
Il vostro amore è benedetto da Dio, non avete bisogno di altra benedizione (e il rifiutarvela da parte di una gerarchia della Chiesa che ha benedetto le armi, fa solo sorridere amaramente). Vivete la vostra vita a testa alta nella società e nella Chiesa, che è vostra come lo è di tutti e tutte.
In questo Sabato santo, nell’attesa trepida della risurrezione di Gesù, vorremmo che la speranza si accendesse nei cuori di tutti e tutte: si avvicina il tempo, finalmente, nel quale la Chiesa spezzerà antiche catene, di cui era prigioniera e, convertita all’Evangelo, accoglierà e benedirà ogni amore, nato nella libertà e cresciuto nella responsabilità. E allora, con più gioia e credibilità, percorreremo tutte e tutti insieme la strada indicata da Gesù e ci impegneremo per la giustizia e la pace nel mondo.