‘Io Esisto’. Imparare dall’oppresso una vera umanità
Riflessioni di Federica Mandato del gruppo Ressa di Trento dell’8 novembre 2010
E’ su tutti i giornali in questi giorni la protesta contro le affermazioni omofobe del Presidente del Consiglio, ultima uscita di un uomo che è simbolo di un’anti-cultura diffusa nel nostro paese, dove il diverso, il non conforme è da denigrare, da isolare, da screditare a priori, per definirsi ‘normali’, giusti, eleggibili.
E’ evidente che non si tratta di una boutade da bar, come pensano molti, la cosa è molto più sottile e drammatica allo stesso tempo, il messaggio di Berlusconi al suo elettorato è chiarissimo: meglio puttaniere che frocio.
Meglio potente che umiliabile, meglio Berlusconi che chiunque altro, amatemi per il mio disprezzo e per la mia protervia, per il mio piedistallo luccicante che mi eleva sulla plebe che li in basso vive i problemi quotidiani anche di integrazione, re di un mondo dei balocchi che voi potete solo sognare: soldi, belle donne, intoccabilità (per chi fa di questi sogni terribili).
In un paese come il nostro, arcaico in molte sue espressioni, ci sono però rivoli di civiltà che spesso sono sotterranei, non appaiono sui giornali e non fanno notizia. Come “il Teatro dell’Oppresso”, forma teatrale di origine latinoamericana, proposta dalla compagnia di Verona, “L’altra Faccia del Dado”, giovedì 4 novembre 2010, a Trento con lo spettacolo “Scusa, Io Esisto”.
Interpretando le vicende di un giovane studente omosessuale che si interroga sulla sua diversità, sono stati rappresentati i caratteri volutamente estremizzati dei tipi umani che possono girargli attorno, in uno spaccato di vita quotidiana: la donna chiacchierona e pettegola che fa girare voci e maldicenze e mette zizzania; il miglior amico, compagno di sport e studi che scopre l’omosessualità dell’altro e si sente minacciato; la mamma che fa la moderna e dice di accettare tutto, ma quando si tratta di suo figlio nega anche l’evidenza; le amiche di lei che sono una coppia lesbica e si interrogano sulla propria visibilità, cosa che le mette in crisi; la bigotta, che si scandalizza appena sente pronunciare la parola gay, caricatura di una mentalità cattolico-integralista, certamente diffusa, ma decisamente estrema.
Il teatro dell’oppresso è un tipo di teatro civile che prevede il coinvolgimento del pubblico. Una scena di circa venti minuti viene prima rappresentata e poi ripetuta, invitando gli astanti a fermare la scena e inserirsi come attori in prima persona, modificando e rivoluzionando la scena stessa, per prendere coscienza di cosa si può realmente fare in situazioni di discriminazione ed esclusione.
La partecipazione alla serata è stata ampia e sono intervenuti in molti a ‘ribaltare’ le vicende rappresentate. Alla fine delle due ore e mezza (tanto si è allungata la serata) c’è stata la possibilità di porre delle domande ai ‘personaggi’ e il pubblico, tutt’altro che stanco, non si è tirato indietro.
Alla madre: pensa che sia davvero amore quello che ha per suo figlio negandogli di essere se stesso? Non lo vorrebbe felice piuttosto che ‘normale’ e in un ruolo che non è il suo ma che lei vorrebbe per lui?
Alla pettegola: non pensa che ci sia spazio anche per gli omosessuali? Cosa la spinge a mettere tanta zizzania? Alla bigotta: non crede che la sua ‘fede’ sia vissuta in maniera integralista? Come schermo protettivo dalla realtà piuttosto che come cammino profondo?
Forse sarebbe tempo di aggiornarsi e ascoltare anche i messaggi che molti gruppi e persone di fede nella chiesa portano a sostegno della libertà di vivere la propria identità sessuale.
Alla ragazza lesbica che ha paura della visibilità: che cosa potrebbe aiutarti a uscire allo scoperto? A sentirti più libera? Al giovane gay: come è possibile aiutarti a uscire dalla paura e dall’isolamento? Densità e civiltà, approfondimento nato dal vissuto quotidiano di migliaia di persone in Italia come altrove.
La risposta migliore verso gli sberleffi e l’arroganza di un certo tipo di potere e di mentalità bidimensionale, dove conta solo l’etichetta e il perbenismo… e potremmo dire: meno male che il teatro dell’oppresso c’è, caro Silvio!