In cerca di una spiritualità omosessuale. Come metterla in pratica?
Riflessioni di Carlos Osma* tratte da Lupa Protestante (Spagna) del 13 ottobre 2009, liberamente tradotte da Dino
Ho concluso il precedente articolo affermando che il punto di partenza della spiritualità omosessuale è la libertà.
Adesso mi piacerebbe riflettere sulle difficoltà che ci troviamo davanti nel metterla in pratica, e in che modo ci coinvolge nella nostra vita reale.
Perché potrebbe darsi che la parola libertà non sia altro che una parola; e la nostra spiritualità una costruzione concettuale senza alcuna profondità, che non concretizza il suo vero senso: coinvolgerci nel mondo e avvicinarci a Dio. Sviluppo le mie riflessioni partendo dalla mia esperienza e dal testo biblico, in particolare dall’esperienza di liberazione che il popolo ebraico ci ha trasmesso attraverso il libro dell’Esodo.
La storia che vi troviamo ha un nucleo storico che è stato in seguito rielaborato teologicamente, ingrandito e mitizzato.
Anche se personalmente mi importa relativamente poco che sia stato in Egitto, a Babilonia o in qualche altro luogo o altra esperienza, dove il popolo ebraico comprese che il suo Dio era liberatore. Quello che conta è se ciò che viene raccontato lì ha ancora qualcosa da dirci.
Sembra poco probabile che tutto il popolo avesse il coraggio di fuggire, so di entrare nel campo dell’immaginazione, ma suppongo che non tutti gli ebrei subissero lo stesso tipo di schiavitù, e per questo alcuni preferirono rimanere. Forse più di uno aveva raggiunto un certo potere, per piccolo che fosse, concesso dal Faraone come strategia per rafforzare il suo sistema oppressivo.
E’ qualcosa che spesso succede in qualsiasi sistema che cerca di controllare dei gruppi umani, e il nostro gruppo non sfugge a questa realtà. Non sono poche le persone che difendono il sistema eteronormativo che li opprime, poiché nello stesso tempo fornisce loro prestigio, mezzi per vivere, o vantaggi economici.
Che spiritualità vivono questi omosessuali? E’ semplice, una spiritualità che inizia e finisce nello stesso luogo, in loro stessi.
Lo scopo è di salvare la pelle. Individualismo divinizzato, niente più. Ci potrebbero essere stati anche malati o persone anziane per le quali non c’era possibilità di fuggire. Persone usate e distrutte dal sistema oppressivo.
E’ triste mettersi nei loro panni, certi che non vi sia via d’uscita, e che la propria situazione di vita non consenta di sognare.
Ognuno rifiuta sempre la mancanza di possibilità, e preferisce credere che è meglio morire nel deserto come un essere umano piuttosto che essere un morto vivente in Egitto. La spiritualità di queste persone è quella del fallimento, del tirare avanti come si può, senza credere che è possibile partecipare attivamente a quello che accade. Spiritualità che non crede al potere di Dio, benché lo affermi a parole.
Ci potevano essere anche coloro che preferivano la libertà dello schiavo alla responsabilità della libertà di Dio. Donne e uomini convinti che la libertà cominciava e terminava nelle norme imposte dal Faraone, e che se qualcuno invece non sottostava ad esse, male interpretava la libertà. Abbiamo Faraoni di questo tipo nella nostra società, ma anche all’interno di quelle comunità cristiane in cui le strutture hanno soffocato la libertà dell’essere umano.
Le spiritualità omosessuali che nascono in questo contesto non sono libere, ma sono imposte da un Dio capriccioso che gioca con le persone, costringendole a rispettare delle leggi che le fanno soffrire. Spiritualità della paura, che non ripone fiducia nell’essere umano, che non porta né verso il prossimo, né verso Dio, ma verso il legalismo.
Ci sono però stati degli ebrei che sono partiti, che hanno osato attraversare il Mar Rosso, che hanno creduto esistesse una libertà che fino ad allora avevano conosciuto solo per sentito dire. Cosa li ha fatti partire? Cosa li ha portati a mettere in pericolo le loro vite? Perché loro sì e gli altri no?
La personalità di Mosè non basta a spiegare tutto. Penso che ci siano diverse risposte, ma credo che tutte abbiano qualcosa in comune: la fiducia in Dio.
Per questo, quando durante la fuga tutto sembrava mettersi contro di loro, si ribellavano e perdevano la fiducia nel Dio liberatore.
Solo Lui li aveva convinti che era possibile una vita più umana, solo Lui era il responsabile di ciò che accadeva loro.
Totale dipendenza da Dio, questa è la spiritualità che vien fuori da qui, e sono convinto che essa sia la spiritualità che il credente omosessuale deve cercare, che sia convinto di essere guidato insieme ad altri verso un luogo dove può vivere pienamente.
Sarebbe però un errore scordarsi delle minacce di questa libertà. Alcuni ebrei col tempo avrebbero scoperto, nel regno di Israele, di essere stati liberati da una schiavitù, ma di essere caduti in un’altra. Che i maestri adesso avevano un altro volto, ma chi era schiavo continuava ad esserlo. La società israelita non è stata un esempio di uguaglianza, cosa che i profeti hanno costantemente denunciato.
A questo si è rimediato con una spiritualità omosessuale che dimentica che un giorno siamo stati schiavi in Egitto. Alcuni pensano che il ricordare sempre questa situazione sia una forma di mancato avanzamento, di non normalizzazione, ma io credo che questo sia il punto centrale della nostra riflessione, poiché è parte della nostra esperienza, e se la dimenticassimo saremmo condannati a ripetere gli schemi repressivi nei quali siamo vissuti, anche se sotto altri nomi.
Siamo liberi, e sappiamo da dove siamo usciti, ma: Perché? Che senso ha una spiritualità che nasce da questa esperienza? Ci coinvolge in qualcosa? Gesù dirà che, tra altre cose, il senso della sua spiritualità era “liberare i prigionieri”. Io credo che questa sia la risposta. Non solo cercare di non opprimere gli altri, ma anche sapere che la nostra esperienza ci impegna nella liberazione di altri oppressi.
La spiritualità conduce sempre all’altro, attraverso la nostra esperienza di Dio. Questa è, se non l’unica, di certo la maniera più evidente di trasformare in positivo qualcosa che forse era iniziato come molto negativo. So che molti penseranno che non ho scoperto nulla di nuovo, che questa spiritualità non ha niente a che vedere con l’omosessualità, ma che è una spiritualità cristiana valida per tutti.
Ed è relativamente vero, poiché noi persone omosessuali dobbiamo incarnare con le nostre proprie esperienze la spiritualità che viviamo, perché in questo modo sia più significativa. Rifiutando le affermazioni che dicono che questa parte di noi non ha niente da aggiungere a noi stessi, che è irrilevante.
Ma si sbagliano, poiché soltanto attraverso i segni che questo processo di liberazione ha lasciato nel nostro corpo e attraverso le sofferenze e le gioie che ci ha procurato, possiamo vivere una spiritualità vera e radicata. Un giorno siamo stati schiavi in Egitto, ma Dio ci ha scelti e ci ha liberati. Questa dovrebbe essere la nostra convinzione nel momento di avvicinarci a Dio e al resto degli esseri umani. Questo dovrebbe essere il cardine di una spiritualità omosessuale liberata.
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* Carlos Osma è membro della Chiesa evangelica spagnola di Barcellona
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Testo originale: En busca de una espiritualidad homosexual II