In Islanda un premier lesbica per combattere la crisi
Biondissima, 66 anni, ex hostess della Loftleideir Airlines (oggi Icelandair), socialdemocratica ed ex ministro degli Affari sociali. Johanna Sigurdardottir (ndr nella foto a lato) ha un curriculum politico di tutto rispetto e per questo il 73% degli elettori islandesi gli tributano una fiducia incondizionata.
L’Islanda che vuole uscire dalla crisi si mette nelle sue mani. Nominata due giorni fa a capo del governo transitorio, traghetterà la coalizione fino alle prossime elezioni anticipate, che si terranno con ogni probabilità in primavera. La signora Sigurdardottir ha, però, anche un’altra particolarità.
Ma la cosa sembra solleticare più le pruderie esterne che non l’attenzione degli abitanti di Reykjavik. Popolo riservato, quello islandese. Trecentoventimila anime in una terra sconfinata. Johanna in Islanda la conoscono tutti e la apprezzano per quello che ha dimostrato in questi anni di attività politica, per le sue battaglie e per la sua tenacia, anche quando è entrata in conflitto col suo partito e non è rimasta in silenzio.
La sua vita privata e le sue vicende sentimentali interessano poco e niente agli islandesi, che invece da lei si attendono che diventi il faro che li condurrà fuori dalla crisi più terribile cha l’Islanda abbia mai attraversato.
A ottobre dello scorso anno, il sistema bancario islandese è drammaticamente collassato. Da allora, le piazze di Reykjavik, solitamente tranquille, si sono riempite contro il governo, accusato di aver condotto il paese verso il baratro.
I Verdi-Sinistra hanno cominciato a premere per le elezioni anticipate. La coalizione dei conservatori e dei socialdemocratici è stata travolta e dissanguata dalla perdita dei consensi. Solo una personalità ha continuato a godere della stima della maggioranza degli islandesi: Johanna Sigurdardottir. Potrebbe essere lei, quindi, a portare il paese e la coalizione fuori dall’impasse.
Diversi anni fa, l’Islanda scelse di fondare la propria economia sulle banche. I governi decisero di deregolamentare e privatizzare in maniera selvaggia l’intero settore, che crebbe 10 volte più del sistema economico del Paese. All’epoca il motto era: «saremo come il Lussemburgo e la Svizzera».
L’ottimismo di quegli anni però chiudeva gli occhi di fronte a un punto cruciale, che si sarebbe poi rivelato fatale per l’economia islandese: l’Islanda non è come il Lussemburgo e la Svizzera, perché i sistemi bancari di questi due paesi si fondano sulle solide basi di un’esperienza secolare. Le banche islandesi, invece, hanno appena qualche decennio, come avrebbero mai potuto fronteggiare il meltdown globale?
Così, alle prime avvisaglie di crisi le strutture finanziarie hanno cominciato a sbriciolarsi, trascinando il sistema produttivo con sé. Il governo in questo è stato sempre «complice», laddove non ha tenuto sotto controllo – come era doveroso fare – l’attività bancaria.
In sostanza, gli islandesi hanno accusato le banche di aver corso rischi eccessivi e di aver agevolato un management inadeguato e improvvisato e, last but not least, si sono scagliati contro il governo colpevole di essere stato lassista nelle operazioni di supervisione e controllo.
I politici, in realtà, hanno stretto i denti e provato a resistere, confidando nel motto del Paese che recita «thetta reddast!», un ottimistico: «alla fine tutto andrà bene».
Ma la fine è arrivata e non è andato tutto bene. Il governo ha rassegnato le dimissioni e ora la nuova premier gay cercherà di ridare all’Islanda una speranza. Niente male per il paese del ghiaccio che, ricordiamolo, è però anche il paese dei geyser, sorgenti di acque bollenti…