Essere chiesa insieme in pensieri, parole, opere e missioni
Riflessioni di Fabio Trimigno della rete Zaccheo Puglia
Spesso alcuni sacerdoti e religiosi (il clero) si trovano in mezzo ad un gruppo di fedeli, una comunità di persone di tutte le età, di differente cultura e colore della pelle, di diversa estrazione socio-economica, di diverso orientamento politico, sessuale e differente identità di genere.
Spesso alcuni fedeli (il laicato) non hanno sempre esperienza del Vangelo e si trovano davanti o di fianco (mai in mezzo) ad un gruppo di sacerdoti e religiosi, una comunità altra, anch’essa con le sue innumerevoli sfumature.
Come può trasformarsi un gruppo così eterogeneo di clero e laici in una ecclesia, in una Chiesa di Dio?
Come può trans-formarsi (formarsi aldilà) una realtà così piena di splendide contraddizioni in un Popolo di Dio, custodendo ciascuno la propria identità e unicità di figlia e figlio di Dio?
Come può trasfigurarsi un gruppo di così innumerevoli varianti e rigogliose pluralità in una comunità portatrice unica della buona novella?
Qual’ è la scintilla che accende il fuoco di una ecclesia?
E’ racchiusa per caso nelle parole scritte nel Vangelo o solo nel nome di Cristo che scivola dolcemente tra le labbra?
Oppure è scritta nella carne viva di quello stesso Vangelo?
Un proverbio africano recita:” io sono perché noi siamo”.
Mi piace pensare che San Paolo (quando ancora girava per le terre in lungo e in largo perseguitando i cristiani) abbia sentito questo antico proverbio da qualche schiavo africano, chissà …
E da lì le sue declinazioni sul Corpo di Cristo, le sue membra (ognuno secondo la sua parte) e la sua unità.
Io sono perché noi siamo: un io che diventa un noi, un noi che diventa un io.
Quale sarebbe l’atteggiamento di una ecclesia rispetto ad un io?
E qual sarebbe l’atteggiamento di una guida, di un maestro, di un pastore rispetto ad un noi?
Sono lì per un selfie, per autocelebrarmi, per esibire la mia bravura e preparazione teologica?
Sono lì per leggere un vademecum per una ipotetica ed escatologica salvezza?
Sono lì per dettare una punizione per una acclamata dannazione eterna?
E se fossi lì per accogliere come un recipiente di argilla vuoto, pronto ad essere attraversato, riempito?
Se io mi facessi curvo, concavo, vuoto per annientarmi?
Essere guida ed essere niente, essere servo ed essere inutile, essere Chiesa ed essere nulla, essere il Corpo di Cristo ed essere il vuoto, l’attraversabile.
La chiesa-istituzione spesso è incapace di farsi recipiente, di farsi attraversare, non trabocca e non si ritrae.
E nel suo contrappunto più articolato di una inevitabile disarmonia c’è il suono di una chiesa-popolo che è il mondo che è lì non in quel momento, ma in questo momento: la Chiesa del nunc, il popolo del qui ed ora.
In quel popolo, in quella Chiesa fatta di clero e fedeli, istituzione e laicato, c’è un mondo irripetibile, unico, un crescendo logaritmico di contraddizioni umane e piacevoli esplosioni di sinapsi sociali.
Tutti assieme, gli uni davanti agli altri: un mondo di mondi.
Quanti mondi dentro quell’io e quanti noi dentro quei mondi nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nelle conquiste e nelle sconfitte, nell’obbedienza e nella trasgressione, nella sacralità e nella volgarità, nelle urla e nel silenzio, nel bagnato e nell’arido, nel calore e nel gelido, nel dritto e nello sviato, negli amori negati e negli affetti corrisposti…
Ognuno di noi è scorrere di mondi sconosciuti, un articolato ricamo di storie.
Ogni creatura è il frutto di generazioni in generazioni, figlie e figli del nunc, del qui ed ora fino a tornare indietro all’ adam (Adamo), il terrestre, la creatura fatta di terra, la creatura sopra la terra, l’umanità tutta.
Una diffrazione di voci simultanee, una musica plurale, una armonia, un contrappunto.
E quindi quale sarebbe l’atteggiamento di una ecclesia rispetto ad un io?
Pensieri, parole, opere … missioni.
Ecco la missione: il silenzio, per essere in grado di ascoltare quella musica.
La nostra chiesa non sa mettersi in un vero atteggiamento di silenzio, e quindi di ascolto.
La nostra chiesa fa fatica ad accogliere il contraddittorio.
La nostra chiesa non vuole rinunciare alla penna.
La nostra chiesa è incapace di deporre la sua vanità.
La nostra chiesa continua a vestire la propria accidia con gli indumenti di una falsa prudenza.
Nel fare silenzio, nel mettersi in ascolto si fa strada all’essere e non all’apparire.
Nel farsi niente la nostra Chiesa può incontrare la sua missione.
Se la nostra Chiesa imparasse ad essere vuoto, ad essere orecchio, ad essere sguardo, ad essere abbraccio, forse riuscirebbe ad accogliere volti, storie, vite umane …
E da qui non può che scaturire il suo senso di responsabilità, ossia la capacità e l’abilità di dare delle risposte: dire un SI o dire un NO, con la responsabilità di raccogliere un eventuale tempesta che potrebbe essere raccolta dal vento di quel SI o di quel NO.
“Io sono perché noi siamo”: io sono noi, il Corpo di Cristo siamo noi.
Un cristiano responsabile non può sentire solo il bisogno di nutrirsi del Corpo di Cristo.
Un cristiano responsabile deve necessariamente sentire anche l’urgenza di nutrire quel Corpo.