“Non abbiamo più paura”. In Perù le persone GLBT lottano per il cambiamento
Articolo di Jérémy Joly pubblicato sul mensile Têtu (Francia) del novembre 2014, pagg.52-55, liberamente tradotto da Marco Galvagno
“Para que nunca se repita no los olvidaremos” (perché ciò non si ripeta mai più non li dimenticheremo).
Siamo a Lima, il 31 maggio, ai piedi di un monumento chiamato “L’occhio che piange”, eretto in memoria delle vittime della guerra civile che ha insanguinato il paese negli anni ottanta e novanta.
Una quarantina di persone sono riunite per rendere però omaggio ad altre vittime silenziose, ai 17 gay, lesbiche e trans che sono morti in Perù dal 2013 ad oggi.
Tra due alberi è steso un quipu tradizionale inca composto di cordicelle variopinte. I partecipanti uno ad uno vi attaccano bigliettini che indicano il nome delle vittime, la data e le circostanze della loro morte.
” Non bisogna dimenticarli né scoraggiarsi, la lotta contro l’odio e l’indifferenza deve continuare” spiega Jorge Chavez, presidente del movimento omosessuale di Lima (MHOL). Per la prima volta questo avvenimento è stato organizzato in un luogo pubblico, fuori dai locali delle associazioni. È un segno che i tempi stanno cambiando. La comunità LGBT ha deciso di non nascondersi più.
Per capire questa giornata, così come gli avvenimenti degli ultimi mesi, bisogna andare indietro al 12 febbraio del 2011, il giorno che molti hanno individuato come il risorgere del movimento GLBT. Quella sera venti persone si erano riunite davanti al municipio di Lima per un kiss-in, cioè un bacio pubblico per chiedere una vera protezione da parte dello Stato.
I poliziotti, presenti in gran numero, fecero uso della forza: alcuni manifestanti vennero feriti, altri trascinati per terra. “Non sono uno stupratore, sono un gay, qual è il mio reato?” ha urlato un ragazzo. Oltre alle sofferenze fisiche è la sensazione di essere trattati come cittadini di seconda classe che ha scioccato i manifestanti. Dopo decenni di lotte le organizzazioni GLBT si scontrano ancora e sempre con lo stesso muro: lo Stato peruviano nega loro il diritto di esistere e di rendere pubblica la propria condizione.
Tuttavia, la repressione poliziesca ha prodotto un effetto inaspettato, spingendo i più giovani tra i manifestanti, che nel 2011 erano solo spettatori, ad impegnarsi attivamente. “La polizia, in teoria, dovrebbe proteggerci, non attaccarci, sapevano di stare facendo un’azione illegale, se no non si sarebbero tolti il loro tesserino di riconoscimento con il numero identificativo e non avrebbero cercato di impedirci di filmare”.
Raccontando quella fatidica serata André Mere ha ancora la voce che gli trema. Era un semplice studente di scienze della comunicazione che assisteva all’evento; da allora in poi ha deciso di saltare il fosso e di impegnarsi in prima persona. Ha fatto ancora di più: è riuscito a trovare lavoro in Impones, un’associazione che ha il compito di educare le masse sui temi della sessualità. Molti altri come lui sono diventati attivisti da quel giorno della manifestazione.
Nei cortei in prima fila si incontrano sempre le stesse persone. Pur avendo alle spalle solo pochi anni di militanza, sono loro ad organizzare e arringare le folle e tentare di rendere visibile sui media la loro battaglia. Si chiamano Ana, Gabriel, Liurka, André, Pilar e Jonathan. “Venti anni fa quelli che cercavano di cambiare le cose sopravvivevano grazie ai fondi internazionali versati nella lotta contro l’AIDS ed erano totalmente inascoltati, oggi sono giovani indipendenti economicamente, che anzi spesso mettono il proprio denaro al servizio dell’organizzazione” spiega Jorge Chavez. “Sanno come vanno le cose in altri luoghi del mondo e sono stufi di sentirsi ripetere ovunque che sono dei mostri o dei malati.”
Ancor più sorprendente è il fatto che agiscano al di fuori dei circoli abituali e che spesso non parlino nemmeno di politica. Il MHOL, la maggiore organizzazione gay peruviana, nasce nel 1982 come emanazione di Izquierda Unida (Sinistra Unita) ed è totalmente schierato a sinistra, ma fa fatica a trovare adesioni. Così come Carlos Bruce, unico deputato apertamente gay del Perù che, nonostante provenga dal MHOL, si definisce centrista. Riunirsi a sinistra? impossibile per lui, ma oltre al suo caso particolare, è proprio il frazionamento dell’universo delle associazioni gay a preoccuparlo. “
Se faccio una riunione con i rappresentanti del movimento GLBT devo chiamare almeno una ventina di persone con idee e sensibilità molto diverse tra loro. Tutto si complica. Le ultime manifestazioni sono nate infatti spontaneamente sulla base dell’adesione volontaria dei militanti: lanciano un passaparola su Facebook o si scambiano tweet.”
Il 12 aprile la marcia per l’uguaglianza ha riunito varie migliaia di persone etero e gay, che sono scese in strada a chiedere l’approvazione di una legge sulle unioni civili: un record. In prima linea a questa manifestazione storica, Carlos Bruce si stupisce lui stesso dell’emergere di una nuova generazione spontanea di militanti, tra cui spicca Ana Lizbeth Aranjo Rodriguez.
Questa avvocatessa ventiseienne dal carattere schivo ha iniziato ad impegnarsi solo nel febbraio scorso, grazie a Facebook. “Essere in prima linea nelle battaglie andava contro il mio carattere riservato, ma avevo la forza di volontà. Oggi, far progredire i nostri diritti è ciò che mi rende felice.”
Una scelta, la sua, non priva di rischi: la sera del 6 giugno, durante una marcia a Lima, le forze dell’ordine hanno manganellato i manifestanti e li hanno dispersi usando gas lacrimogeni e ferendo una persona. Per fortuna, i numerosi media presenti sul posto hanno dato visibilità ai manifestanti.
Ecco il nocciolo del problema: in assenza di visibilità lo Stato si rifiuta di riconoscere che le persone omosessuali e transessuali sono vulnerabili. Mentre esistono misure specifiche per proteggere le donne, gli indigeni o la comunità afroperuviana, non vi è nessuna legge nazionale prevista per il 2014 che protegga le persone omosessuali e transgender.
Per protestare, varie decine di persone si sono riunite il 10 luglio davanti al Ministero della giustizia. Ai microfoni dei giornalisti Bruce ha affermato: “Questo governo passerà alla storia come il più omofobo che il Perù abbia mai avuto.”
A maggior ragione, dato che l’Onu ha varato una campagna per la protezione delle minoranze sessuali nel Paese. Il governo allora ha fato marcia indietro, aggiungendo le persone GLBT tra le minoranze da proteggere, ma non è molto convincente. Per molti bisogna fare ancora più volontariato e sensibilizzazione: i 17 decessi contati da Promsex purtroppo non sono che la punta di un iceberg, bisogna contare anche i morti non censiti o le aggressioni, ancora più numerose.
Pilar Fachin è il caso più famoso: si trovava a Yurimaguas, nel nord del Perù, quando il fratello della sua compagna l’ha ridotta in fin di vita a colpi di machete. Con il cranio fratturato e il viso tumefatto e sfigurato è stata trasportata in aereo a Lima.
Anche se il suo aggressore ora è in prigione, Pilar sa che non potrà mai più tornare nella sua città: la famiglia della sua ragazza si è schierata con il figlio maschio: “Per loro è meglio avere un figlio pazzo che una figlia lesbica” aggiunge disillusa.
Oggi vive nella capitale peruviana grazie al sostegno delle organizzazioni GLBT e manifesta, pensa di non dovere nascondersi, vive per raccontare la propria storia e spinge le altre persone vittime di violenze a fare altrettanto. Il suo stato fisico e l’impatto mediatico dell’evento hanno costretto le forze dell’ordine ad intervenire, ma purtroppo non avviene sempre così.
È per questo motivo che Gabriel De La Cruz ha fondato l’associazione “No tengo Miedo” (Non ho paura), un sito web in cui raccogliere le testimonianze delle discriminazioni e delle violenze che le persone omosessuali e transgender subiscono nella vita quotidiana. “Riceviamo in media tre testimonianze al giorno, le violenze e i soprusi avvengono soprattutto in famiglia ma non ne sono esenti nemmeno le forze dell’ordine e gli insegnanti.
Raccontare le proprie storie di vita quotidiana aumenta l’empatia. Se riuscissimo a far cambiare la mentalità della gente, sarebbe già un passo avanti.” Se la battaglia mediatica sta per essere vinta con il sostegno della maggior parte dei media e degli intellettuali del paese, quella di far cambiar l’opinione pubblica è molto lenta.
La percentuale di persone favorevoli a una legge sull’unione tra persone dello stesso sesso è passata dal 26 al 33%, siamo ancora ben lontani dal raggiungere l’unanimità. Il 24 giugno avenida Abancay è stata teatro di due manifestazioni opposte: una trentina di manifestanti a favore delle unioni civili occupava un angolino di un marciapiede, dal lato opposto gli oppositori erano invece centinaia. È un segno che le opposizioni a questo progetto di legge in un Paese a maggioranza cattolica sono ancora troppo forti.
Tuttavia, per la prima volta i diritti delle persone GLBT sono stati oggetto di un vero dibattito. Si è parlato apertamente della loro situazione, anche se spesso con una buona dose di malafede, ignoranza e lettura ed interpretazione superficiale di versetti della Bibbia. “Però la speranza è l’ultima a morire” spiega Carlos Bruce.
“Il Paese è troppo conservatore perché la legge venga approvata nei prossimi mesi, ci sono troppe pressioni da parte della Chiesa, ma ben tre candidati all’elezione presidenziale hanno affermato di essere favorevoli, il prossimo parlamento approverà la legge, ne sono sicuro.”
Se la mentalità a poco a poco cambia, va però detto che questo non avviene in maniera uniforme in tutto il Paese. Lima, la capitale che raccoglie un terzo della popolazione, viene considerata più sicura dai gay rispetto alla campagna. Fuori città essere gay è pericoloso. “In campagna il ruolo della Chiesa è preponderante e la gente accetta tutto ciò che essa dice.
Il Perù è un paese laico, ma la religione è una componente essenziale della vita politica. Se un deputato sostenesse pubblicamente il progetto di legge, avverrebbe che alcuni preti o vescovi farebbero una crociata contro di lui” spiega Gabriel, proveniente dalla regione di Piura, in cui la gente è molto devota.
André, dal canto suo, si mostra scettico al limite del cinismo: “Non siamo un movimento peruviano ma solo di Lima, quello che succede nel resto del Paese… per carità… meglio non pensarci”.