In “Preacher’s Kid” canto il mio cammino di credente queer
Articolo di Michel Martin* e Michael Radcliffe pubblicato sul sito dell’emittente National Public Radio (Stati Uniti) l’8 marzo 2021, liberamente tradotto da Nadia DI
Forse non vi sorprenderà sapere che un disco intitolato Preacher’s Kid (Figlia del predicatore), inciso da una musicista il cui padre era un pastore, si è guadagnato il primo posto nella classifica di musica cristiana di iTunes. È accaduto il mese scorso [febbraio 2021] con il nuovo album di Grace Semler Baldridge, che si esibisce con il nome di Semler. I testi dell’album, però, raccontano ben altra storia rispetto a ciò che vi aspettereste.
In “Preacher’s Kid” Semler esplora la fede e la vita di chiesa attraverso gli occhi di una persona queer, dal significato del Vangelo all’attivismo, a ciò che accade nei gruppi giovanili.
Samler ha parlato alla nostra Michel Martin della sua esperienza di persona queer che cresce in una comunità di fede, e del significato che ha per lei scalare la classifica di musica cristiana.
Questa intervista è stata modificata per lunghezza e chiarezza.
Michael Martin: Mi sembra di capire che l’aspettativa per questo progetto è, diciamo, diversa da quella che ci si potrebbe immaginare. […] Non si trattava di un piano ambizioso, da come ho capito.
Semler: No. L’ho fatto a casa, nella stanza da cui ti sto parlando ora, il mio ufficio. L’ho registrato su una chiavetta USB perché dovevo svuotare la memoria del mio PC, e l’ho caricato da sola su Distrokid.com. E poi… Non so, non mi aspettavo tutto ciò, ma sono contentissima di essere in quella posizione.
Si sente che la produzione è un po’ fai da te…
Ah, grazie mille. [ride]
… ma i pensieri sono molto esaustivi. Intendo dire che sembra come se tu quei pensieri li abbia avuti nella mente da un po’ di tempo. Ti dispiace se ci racconti del tuo passato. Tu sei una preacher’s kid, una figlia di predicatore, o “P.K.”.
Sì, certo. Allora, mio padre è un prete episcopale, e sono cresciuta in canonica. Questa era la mia vita. Non so cosa voglia dire crescere senza fede, sono sempre vissuta negli ambienti ecclesiastici. Da un certo punto di vista è stato meraviglioso. Sotto altri aspetti no, nello specifico; quando si parla di identità queer, e quando c’è stata la scoperta di me stessa da adolescente.
Hai scoperto il tuo essere queer da piccola? L’hai vissuto come qualcosa da nascondere? Sai, ci sono alcune confessioni e denominazioni, famiglie credenti che sono più tolleranti di altre. Naturalmente ci sono racconti tremendi, di persone costrette a sottoporsi a terapie di conversione, o cacciate di casa. So che non è questo il tuo caso, ma com’è stato? Potresti descrivercelo meglio?
Allora, sapevo di essere omosessuale fin da piccolissima. E sapevo anche di appartenere ad una Chiesa tollerante verso le persone omosessuali, anche se non sempre apertamente accogliente. Non è che ci fossero bandiere del Pride in mostra. Era un tipo di Chiesa tollerante, come ce ne erano tante nel 2010. Non si predicavano sermoni omofobi, ma non ero protetta dalla cultura tipica delle Chiese maggioritarie. E così, quando venivo mandata agli eventi giovanili e così via, anche se ero cresciuta come episcopale, le altre persone presenti erano giovani che appartenevano alla tradizione evangelica.
Ricordo quando Young Life [una organizzazione giovanile cristiana, che è stata criticata per i suoi atteggiamenti e regolamenti anti-LGBTQ, n.d.a.] iniziò ad aggirarsi attorno la nostra scuola, quando ero alle superiori. E mi ricordo di essere stata esposta a un tipo diverso di dottrina, che mi confondeva abbastanza le idee, e mise in chiaro che la mia sessualità e la mia identità era qualcosa da tenere nascosto, qualcosa di cui vergognarsi. Ed era come se… in larga parte la cultura in cui vivevo non fosse per nulla tollerante, capisci?
In un campo organizzato dalla Chiesa ricordo di aver pregato per qualcuno perché era omosessuale, e ho pensato nel fondo della mia mente “Mio Dio”. Immediatamente ho capito: stiamo pregando affinché lei non sia come me. E io sono omosessuale. Come a dire: meglio mantenere il segreto. Non voglio che la gente preghi per me. Non voglio piangere e avere degli sconosciuti… Io non conosco questa ragazza. Tutt’oggi non so il suo cognome. Ho un ricordo vivido di lei, che mi torna in mente adesso che ho trent’anni. E non so il suo nome, e non so se sta bene.
“But I’m a child of God / Just in case you forgot / And you cast me out every single chance that you got / And that’s your loss, not mine / I’ll be better than fine.” (Ma sono figlia di Dio / In caso l’avessi dimenticato / E mi cacci ogni volta che ne hai occasione / La perdita è tua non mia / starò più che bene.) È un’affermazione forte, se ci pensi… hai sempre saputo che saresti stata bene?
No, decisamente no. Ho dei ricordi molto forti di quando ero distesa a letto, mentre ascoltavo musica cristiana, paradossalmente. E mi chiedevo cose tipo: “Starò bene?”, non sapendo che lo sarei stata. E ora penso che la mia vita sia emozionante e gioiosa, voglio essere visibile per tutti coloro che ne hanno bisogno, perché penso che a me sarebbe stato molto d’aiuto. E so che molto di ciò che facciamo noi artisti consiste nell’abbracciare il nostro sé giovane, ed è ciò che questo progetto significa per me, penso.
E hai fatto una scelta ben precisa nel proporlo come musica cristiana, vero? Cosa c’è dietro questa decisione? L’hai fatto, in parte, per abbracciare il tuo sé giovane che vuole reclamare sia la tua fede che la tua sessualità, e che non sente il bisogno di scegliere?
Non c’è divisione dentro di me. Non è che io sono queer e poi sono cristiana. Sono interamente in Cristo, e sono anche queer. E penso che Preacher’s Kid sia un disco cristiano. Solo perché ci sono delle persone che non riconosceranno mai ciò che sono, comprese certe personalità dell’industria dello spettacolo, e che la mia storia è una storia valida, questo non rende la cosa veritiera. Sono qui. Ho vissuto l’esperienza cristiana. La mia fede è importantissima per me. C’è una pluralità di credenze all’interno della cristianità, sappiamo che è così. Eppure, all’interno di questo genere musicale, la musica cristiana, è tutto molto omogeneo.
Sono cosciente, in questo stesso istante, che ciò che ti sembra giusto e ovvio, e lo senti dentro, per altre persone è sbagliato e pericoloso. E come possiamo parlare di questo argomento senza coinvolgere quel punto di vista? E sai, le comunità di fede sono un posto dove, penso, le persone amano gli assoluti. Come la pensi in proposito? Speri che le persone che hanno bisogno di un abbraccio, come dici tu, lo troveranno? Speri di persuadere le persone che sono completamente in disaccordo? Cosa pensi?
Non si tratta di persuadere le persone che sono in disaccordo. È una specie di invito a riconoscere la mia umanità, va bene? Penso che il verso in “Bethlehem” (Betlemme) che sento di condividere di più sia: “But I’m a child of God / Just in case you forgot“ (Sono figlia di Dio / In caso l’avessi dimenticato). A noi cristiani insegnano a vedere l’immagine di Dio dentro ciascuna persona con cui veniamo in contatto. Per qualche motivo, la comunità LGBTQ+ non viene considerata partecipe di questa dignità, all’interno di molti ambienti cristiani.
Quindi, questo progetto e, penso, la visibilità che, più o meno, mi ha recentemente raggiunta, sono speranzosa che possano servire come invito agli altri cristiani ad avvicinarsi e a imparare di più sulla teologia tollerante verso le persone omosessuali, questo è il punto di svolta di tante confessioni cristiane. Alcuni fanno la domanda “È possibile che ti sbagli? È possibile che, forse, la teologia dell’esclusione non sia la sola strada?”. Allora troviamo un punto d’incontro. E parliamone giocando ad armi pari, perché la comunità queer, in larga parte, ha fatto e sta ancora facendo il lavoro più duro nel comprendere la varietà delle teologie. La stessa cosa a dire il vero non la sto vedendo da parte dei conservatori.
* Michel Martin lavora nella National Public Radio dal 2006. Nata a Brooklyn, Michel si è laureata cum laude nel 1980 al Radcliffe College dell’Università di Harvard, e nel 2016 ha conseguito un master in lettere al Wesley Theological Seminary.
Testo originale: Semler, With ‘Preacher’s Kid,’ Writes Music Of Faith For A Real World