In Ruanda una chiesa evangelica accoglie le persone LGBT
Articolo di Laure Broulard pubblicato sul sito GayChristianAfrica il 20 dicembre 2019, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
In un quartiere popolare di Kigali, capitale del Ruanda, una chiesa pentecostale predica “l’inclusione radicale” e apre le sue porte alle persone omosessuali, spesso rifiutate e marchiate dalle comunità religiose del Paese.
Al microfono Albert Nabonibo fa una serie di acuti, al che la congregazione attorno a lui applaude, danza e risponde in coro. Eppure solo qualche settimana fa Albert, ragioniere ruandese appassionato di gospel, pensava che non avrebbe più cantato in una chiesa: nell’agosto del 2019 finì infatti in prima pagina a livello locale e internazionale per aver confessato la sua omosessualità su un canale YouTube cristiano: “Ne avevo abbastanza di nascondermi. Il mio coming out è stato un modo di superare le mie paure e di dare l’esempio”.
Molto presto arrivarono i messaggi di odio, venne invitato a lasciare il lavoro e non si sentì più il benvenuto nella sua chiesa: “Se sanno che sei omosessuale, le chiese pensano che la tua musica non possa servire Dio, e che non puoi presentarti davanti alla congregazione”.
Finalmente, grazie ad Amahoro, un’associazione per la difesa dei diritti umani, Albert Nabonibo ha potuto tornare al gospel. Amahoro è una ONG ruandese che ha come missione il permettere alle persone emarginate di avere un luogo di culto, nata due anni fa in partenariato con una chiesa locale, la Chiesa di Dio d’Africa e del Ruanda, e con una chiesa fondata tra la comunità afroamericana statunitense, TFAM, che opera per l’accoglienza di tutti e tutte, comprese le persone LGBT.
Una predicazione pro-LGBT
Seduti su decine di sedie di plastica, i fedeli pendono dalle labbra del vescovo Joseph Tolton, che questa domenica è venuto direttamente da New York. Abito bianco, croce dorata e computer portatile ultimo modello, intona un sermone a briglie sciolte, urlato e apertamente pro-LGBT: “Fate largo alle persone omosessuali, alle persone transgender, ai poveri, alle donne, a tutti gli emarginati!”. Numerosi gli alleluia in risposta.
Qui tutti sono i benvenuti: le giovani madri, i quarantenni, ma anche i coristi con i dreadlocks, i jeans attillati e i buchi alle orecchie. Tutto questo ha conquistato Lucie, una giovane ruandese che lavora nel settore umanitario: “Ho scelto questa chiesa perché non predica l’esclusione. Secondo me le persone omosessuali sono state semplicemente create così”.
“Riconciliazione spirituale”
“Svolgiamo un’opera di riconciliazione spirituale, presentando al mondo il messaggio originale di Gesù Cristo, che è un messaggio di inclusione radicale. La mia chiesa si oppone agli interventi dei conservatori americani nello sviluppo mondiale delle chiese evangeliche, e alla loro influenza sull’evoluzione sociale di certi Paesi africani” afferma il vescovo Tolton.
Un’allusione ai legami tra il governo ugandese e gli ambienti evangelici americani, accusati di essere all’origine dell’omofobia che cresce ogni giorno di più in quel Paese: nel 2009 un deputato ugandese presentò al Parlamento il tristemente celebre progetto di legge che prevedeva la pena di morte per i casi di “omosessualità aggravata”. Il disegno di legge non è mai passato, ma le condizioni di vita delle persone LGBT nel Paese non hanno fatto che deteriorarsi.
Molto diversa la situazione del Ruanda, che non punisce per legge l’omosessualità: un’eccezione nella regione. Quando Albert Nabonibo fece coming out la scorsa estate, venne persino sostenuto da un membro del governo, che scrisse su Twitter: “Tutti i Ruandesi nascono liberi, con uguali diritti e uguali libertà, e lo rimarranno”, incoraggiando poi Albert a continuare a cantare.
Le discriminazioni, tuttavia, sono ancora pane quotidiano nel Paese: Patrick, 24 anni, assicura di avere molta difficoltà a trovare un lavoro, e si è fatto cacciare da molte corali perché “troppo effeminato”; “Con il Governo non abbiamo nessun problema, è la società che ci rifiuta”.
Per lui TFAM rappresenta ben più di una chiesa: “Ha cambiato la mia vita. Qui canto senza paura di fronte a persone come me, che mi applaudono e riconoscono il mio talento”.
Questa domenica il giovane sale sul palco con il sorriso sulle labbra, circondato da altri quattro coristi. Sono “la mia nuova famiglia”, un luogo in cui poter essere totalmente se stesso.
Testo originale: Au Rwanda, une église évangélique accueille les personnes LGBT
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