In Turchia, dopo il fallito colpo di Stato, anche la comunità LGTB subisce l’autoritarismo di Erdoğan
Articolo di Juli Amadeu pubblicato sul sito Dosmanzanas.com (Spagna) il 21 luglio 2016, liberamente tradotto da Sara C.
Venerdì 15 luglio, una fazione dell’esercito turco ha partecipato al tentativo di golpe. Il bilancio parla di circa 300 vittime e 1.400 feriti, per lo più civili. La comunità internazionale ha reagito con la condanna unanime di questi atti violenti, difendendo la legittimità democratica turca. Cresce la preoccupazione per le misure autoritarie che saranno addottate dal Governo di Erdoğan. La comunità LGTB, negli ultimi anni stigmatizzata e non considerata da parte dello Stato (quando non direttamente perseguitata), dovrà fare i conti con uno scenario ben peggiore.
Si sbagliavano coloro che pensavano che le acque si sarebbero calmate dopo il fallito tentativo di golpe. La “pulizia” di Recep Tayyip Erdoğan non è da considerarsi conclusa. Ai 29 colonnelli e 5 generali dell’esercito che sono stati destituiti (decisione considerata ragionevole in relazione alla gravità dei fatti) si sommano all’incirca 3.000 giudici. Sono state richieste le dimissione di 36.000 professori, pubblici ministeri, più di 1.500 rettori, oltre 1.500 funzionari del Ministero della Finanza e una ventina di mezzi vietati. È difficile determinare la relazione di questi funzionari con il fallito tentativo di golpe. La rimozione dall’incarico, immediatamente successiva al fatto, sembrerebbe un pretesto per mettere in atto un piano elaborato in precedenza.
Sono decine di migliaia le persone che si vedono minacciate dal crescente autoritarismo da parte del governo. È stato dichiarato lo “stato di emergenza” in Turchia per i successivi tre mesi e un cospicuo numero di persone sono già state arrestate. Un atteggiamento che, nonostante tutto, non è nuovo o eccezionale: il 19 giugno scorso, la polizia turca ha insorto con violenza contro un gruppo di attivisti LGTB che stavano manifestando in Piazza Taksim, a Istanbul, per rivendicare l’orgoglio omosessuale. Lo stesso governatore aveva proibito le varie manifestazioni dell’orgoglio citando problemi di sicurezza.
Nonostante il divieto presidenziale, la piazza fu occupata in maniera pacifica da coraggiosi attivisti LGTB guidati da donne e uomini omosessuali che non volevano rinunciare a rivendicare i propri diritti. La Marcia dell’Orgoglio Omosessuale avrebbe dato così il via agli atti di violenza verificatisi nelle giornate successive, dal 19 al 26 giugno.
Una settimana dopo, durante la celebrazione dell’orgoglio a Istanbul nonostante il divieto da parte delle autorità, la polizia ha esercitato una nuova dimostrazione di forza contro gli attivisti. Almeno 19 persone sono state arrestate (tra cui diversi politici tedeschi, membri dei Verdi). Nonostante il fatto sia accaduto prima del fallito colpo di stato, il governo di Erdoğan ha trovato una scusa per la propria posizione omofoba e per mettere a tacere gli attivisti una volta per tutte (per quanto chiaro sia che l’evento in questione non ha alcun legame con il colpo di stato). L’atteggiamento del governatore non è comunque giustificabile.
Il Sostegno della FELGTB per la diversità sessuale in Turchia
Abbiamo voluto raccogliere il messaggio di solidarietà della Federazione Statale di Lesbiche, Gay, Transessuali e Bisessuali (FELGTB) a favore della manifestazione e della comunità LGTB turca. Il presidente della più importante organizzazione ugualitaria della Spagna, Jesus Generelo, ha dichiarato alla pagina web Dosmanzanas che, “le minoranze LGTB sono particolarmente vulnerabili, specialmente quando si produce una situazione di crisi come quella che si sta verificando in Turchia”.
Generelo ha inoltre dichiarato che, “dalla Spagna solleciteremo la diplomazia spagnola in modo che la libertà di orientamento sessuale e l’identità di genere siano una priorità in qualsiasi dibattito o discussione in materia di diritti umani”. La FELGTB, a questo proposito, resterà “vigile” e sosterà ogni iniziativa promossa per rafforzare e difendere i diritti della comunità LGTB turca.
Infine, l’attivismo LGTB spagnolo auspica che l’Unione Europea “tenga in considerazione la prospettiva LGTBI quando si affronterà la questione dei diritti umani in Turchia”, soprattutto se si considera che “ha firmato un accordo con l’Europa sulla questione relativa ai rifugiati”.
Turchia: ponte tra l’Europa e il Medio Oriente, passaggio sicuro per i rifugiati e le persone LGTB
I paesi del Medio Oriente confinanti con la Turchia, come Siria, Iran o Iraq, vivono in una situazione omofoba del tutto insopportabile. Un mese fa abbiamo pubblicato la storia di Taha, mullah gay, che si è visto costretto a lasciare l’Iran perché la sua integrità fisica e la sua vita erano in pericolo. In un primo momento si rifugiò a Istanbul, una città nella quale cercano rifugio molte persone LGTB che riescono a fuggire da Paesi islamici fondati su una società intransigente. L’obiettivo di Taha è quello di ottenere asilo in Canada.
Tuttavia, anche se la realtà di questi Paesi è ancora più drammatica di quella della Turchia, non è un motivo sufficiente per rimanere impassibili (soprattutto se si considera che la Turchia è un paese candidato all’adesione all’Unione Europea). Nel 2015, il programma per i rifugiati di Iranian Queer Organization (IRQO), gruppo iraniano per la difesa dei diritti LGTB con sede in Canada, ha denunciato l’aumento delle aggressioni subite dai rifugiati omosessuali iraniani, in Turchia. A dimostrazione di ciò, a gennaio dello stesso anno, due uomini gay hanno subito violenza da parte di un agente di polizia semplicemente per aver reso pubblico il loro status di partner.
L’Iranian Queer Organization ha anche sottolineato che la confusa e nuova Legge sugli Stranieri e sulla Tutela Internazionale, entrata in vigore in Turchia nel 2013, sta aumento l’insicurezza e la violenza contro i rifugiati LGTB. La situazione sta diventando sempre più grave dal momento che la Turchia è meta di un numero sempre più crescente di rifugiati omosessuali iraniani che soffrono una repressione politica e sociale nel proprio Paese.
Turchia, omofobia a livello sociale e politico
La violenta repressione della Manifestazione dell’Orgoglio Omosessuale e LGTB avvenuto ad Istanbul quest’anno, non è un fatto isolato. Nel 2015, ad esempio, si sono ripetute scene pietose di eccessiva violenza da parte della polizia contro i manifestanti, così come arresti arbitrari e difficilmente giustificabili. Secondo gli organizzatori dell’Orgoglio, il corteo “è stato improvvisamente vietato dal governatore locale senza alcun preavviso perché svoltosi nel mese del Ramadan”. Tale deterioramento delle libertà sociali delle persone LGTB si è intensificata negli ultimi anni.
Un’altra strana coincidenza sono i sempre più evidenti divieti, repressioni e violenze contro la comunità omosessuale, specialmente dopo il successo della Manifestazione Pride di Istanbul avvenuta nel 2013, che ha visto la partecipazione di circa 15.000 persone. In quell’anno, la marcia LGTB ha conciso con le grandi sommosse popolari insorte contro il governo di Recep Tayyip Erdoğan, in cui la stessa comunità ha giocato un ruolo importante.
L’indifferenza del governo verso la comunità omosessuale è da considerarsi anteriore ai fatti in questione. Nel 2012, i partiti dell’opposizione, il Partito della Pace e della Democrazia (BPD) e quello Repubblicano del Popolo (CHP), avevano avanzato la proposta d’inserimento di una menzione esplicita sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere nell’articolo della nuova Costituzione Turca sull’uguaglianza; proposta che è stata prontamente bocciata. Un deputato del partito di Erdoğan ha dichiarato che «non consideriamo corretto includere un riferimento esplicito agli omosessuali in qualsiasi parte della Costituzione.”
Amnesty International ha pubblicato nel 2011 un rapporto che accusa le autorità turche di non agire contro le persecuzioni, le violenze e le discriminazioni infrante alle persone LGTB. Per non parlare poi degli omicidi e crimini di odio, spesso ignorati o sottovalutati dal governo e dalla polizia. La morte di una donna trans, dopo essere stata brutalmente aggredita dalle forze dell’ordine, avvenuta a Istanbul nel 2013, è un esempio eclatante.
Queste stesse autorità si sono però trovate ad assumere politiche egualitarie in aree che si erano rifiutate di implementare. A marzo 2015, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) stabilì che il requisito di sterilità permanente legato alla ri-attribuzione chirurgica di sesso, che la Turchia ha cercato di imporre, è una “violazione del diritto alla privacy”, garantito dall’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il rapporto di Erdoğan con la giustizia
Erdoğan non ha sempre avuto un buon rapporto con la giustizia e, come si suol dire, “chi la fa, l’aspetti”. L’attuale presidente turco, che ha trascorso più di due decenni in prima linea politica, è stato arrestato per “intolleranza religiosa”, dopo essersi pronunciato durante una conferenza nella città anatolica di Siirt. Correva l’anno 1998 quando fu accusato di aver violato l’articolo 312/2 del Codice Penale, che punisce “l’incitamento all’inimicizia per motivi di classe, razza, religione, sesso o differenze regionali”.
Erdoğan lesse una “poesia” di Ziya Goekalp a sfondo islamista e nazionalista nella quale si afferma che “la democrazia è solo il treno su cui si sale per raggiungere la meta. Le moschee sono le nostre caserme, i minareti sono le nostre baionette, le cupole i nostri caschi, i credenti i nostri soldati”. In quell’occasione rivestiva l’incarico di sindaco di Istanbul (carica che ha ricoperto dal 1994 al 1998) e fu bandito dal detenere una qualsiasi posizione governativa per diversi anni.
Alcuni diedero per conclusa la sua carriera politica, ma questo fatto non è appena che l’inizio. Più tardi, alcuni si chiederanno se un islamista è la persona adatta per guidare il paese verso la modernizzazione. Nel 2001 fondò il partito “Giustizia e Sviluppo” (AKP) grazie al quale diventò primo ministro nel 2002. Fu così che un aspirante calciatore diventò primo ministro. Tuttavia, a causa della sentenza che pesava su di lui, dovette aspettare diversi mesi per ottenere l’incarico effettivo che arrivò solo nel 2003. Rimase in carica come presidente della Repubblica di Turchia fino al 2014.
L’islamista che “nascondeva” la propria famiglia
La Turchia è uno Stato laico che risale al primo Novecento, anche se la maggior parte della popolazione professa la fede musulmana (vale a dire il 90%, il quale 75% appartenente al ramo sunnita). È interessante notare come l’esercito sia stato considerato il garante della laicità dello Stato turco, eppure il fallito colpo di stato dello scorso 15 luglio non è il primo che il Paese ha dovuto affrontare (i precedenti risalgono al 1960 , 1971 , 1980 e 1997 ).
Erdoğan è un sostenitore del tradizionale velo da parte delle donne. In passato, la moglie del presidente e le sue figlie, tutte sostenitrici del velo, si sono trovate a fare i conti con il divieto di indossarlo negli edifici pubblici in Turchia. Pertanto, per quanto possibile, Erdoğan accettò di partecipare solo a quei ricevimenti di Stato nei quali la presenza della sua famiglia non era richiesta. Sempre per lo stesso motivo, le sue figlie studiarono negli Stati Uniti evitando così il problema legato al velo.
Nel 2013 Erdoğan approfittò della sua visita in Spagna per annunciare l’”accordo” per mezzo del quale si metteva fine al divieto di velo islamico (i primi luoghi furono le università). Naturalmente, non senza la rabbia dei cittadini laici che scesero in piazza in segno di protesta.
Il sessismo e altre “carinerie” di Erdoğan
Bisogna ritornare al mese di giugno per recuperare le dichiarazioni sessiste del presidente con le quali descriveva le donne senza figli come “carenti” e “incomplete”. Riprendendo le stesse parole del presidente turco “rifiutare la maternità significa rinunciare all’umanità”. Egli ha ritenuto, inoltre, che la legittimità delle donne di sviluppare la propria carriera non dovrebbe essere un “ostacolo” alla maternità. “Almeno tre figli”, ha esortato.
Lo scorso marzo, ha usato parole altrettanto pungenti sull’uso del preservativo: “nessuno può interferire nel lavoro di Dio. Fare figli è il primo dovere alle madri”. Nessuna famiglia musulmana, stando a quanto dice il presidente, deve sottomettersi alla pianificazione familiare. In realtà quanto affermato da Erdogan non è affatto nuovo; pochi mesi fa aveva definito il controllo delle nascite un “tradimento” al Paese e all’Islam. L’elenco completo delle sue sparate supera di gran lunga la portata di questo articolo. Coincidenza o no, è presente solo un ministro donna, la velata Fatma Betül Kaya Sayan che guida appunto il dicastero per la Famiglia e le Politiche Sociali.
Le due facce dell’Unione Europea
Dopo anni di accordi economici con le istituzioni europee, nel 2005 la Turchia presenta la candidatura per entrare a far parte dell’Unione Europea. Nonostante l’ingresso della Turchia nella Comunità Europea sia uno degli obbiettivi primari del presidente da più di un decennio ormai, quando era sindaco di Istanbul affermò tutt’altro, definendo l’Unione Europea come “l’unione dei cristiani con cui la Turchia non deve aver nulla a che fare “.
I 28 ora chiedendo al presidente Erdoğan di non usare il colpo di stato come arma per ridurre l’integrità democratica della Turchia, lo stato di diritto e le libertà civili nel suo Paese. Il Ministro degli Esteri francese, Jean-Marc Ayrault, ha avvertito che la reazione al fallito colpo di stato, “non può essere un assegno in bianco”. I leader europei temono che Erdoğan ripristini la pena di morte; per tale motivo la cancelliera tedesca, Angela Merkel, chiamò il presidente turco lo scorso lunedì per mettere in chiaro che questa misura è incompatibile con l’ingresso della Turchia nell’UE.
Risulta comunque difficile dimenticare l’accordo preso lo scorso marzo tra i 28 leader europei e la Turchia sulla questione degli migrati irregolari siriani richiedenti asilo. In base all’accordo, inizieranno le procedure affinché tornino in Turchia i migliaia di migranti irregolari in viaggio verso la Grecia. In cambio, l’UE ha promesso di accelerare la liberalizzazione dei visti e aumentare il sostegno finanziario per i rifugiati turchi. Un boccone avvelenato che, per molti critici, significa una rottura dell’Unione europea con i propri standard umanitari e le politiche in materia di rifugiati che si stavano esportando in tutto il mondo.
Altre nuvole minacciano i diritti umani di questo Paese. La Turchia è tornata a bombardare contro obiettivi curdi per la prima volta dopo il colpo di stato. Un gruppo di F-16 delle forze armate ha aperto il fuoco contro Hakurk, zona a nord dell’Iraq nel centro del Kurdistan, una regione che comprende i territori di Iran, Iraq, Siria, Armenia e Turchia, il cui obiettivo è l’indipendenza.
Reazioni politiche dalla Spagna
Pablo Iglesias, segretario generale del partito Podemos, ha pubblicato un messaggio diretto e chiaro sul social network Twitter, affermando quanto segue: “Non siamo amici di Erdoğan però in democrazia i Governi si cambiano nelle urne. La mia condanna al golpe in Turchia”. Diverso invece è il tono usato da Mariano Rajoy che ha utilizzato lo stesso social per esprimere: “La Spagna appoggia l’ordine costituzionale democratico in Turchia, Paese amico e alleato”.
“Jueces para la Democracia” (una delle cinque associazioni spagnole di giudici) ha chiesto al presidente in carica di intervenire contro gli intenti di Erdoğan finalizzati a compromettere l’indipendenza della giustizia. “Abbiamo ricevuto la terribile notizia del fallito golpe da parte dei nostri giudici/colleghi e procuratori, compresi i membri dell’associazione professionale YARSAV”, affermano in una lettera i coordinatori dell’associazione dei giudici progressisti.
Così si esprime il segretario generale dei socialisti, Pedro Sanchez: “Preoccupato per la situazione in Turchia. Il mio appoggio alle leggi e istituzioni democratiche per la protezione delle vite umane dei cittadini turchi”.
In fine, il tweet di Alberto Rivera, lider dei Ciudadanos: “Speriamo che In Turchia venga ristabilito al più presto l’ordine democratico e lo Stato di Diritto”.
Testo originale: Turquía y su colectivo LGTB se enfrentan al autoritarismo de Erdoğan tras el intento fallido de golpe de Estado