Gay in Ucraina. Vivere stretti tra due barricate
Articolo di Caroline Gayard Lanson tratto dal mensile Têtu (Francia), del marzo 2014, liberamente tradotto da Marco Galvagno
Da 4 mesi, in un freddo polare la mobilitazione contro il presidente Ianukovic non si indebolisce. Da pacifica, la manifestazione pro-europa si è trasformata in scontro dall’inizio dell’anno.
La maggior parte delle organizzazioni gay ucraine, alle quali l’adesione all’Unione Europea offrirebbe garanzie, è schierata nel campo europeista, ma la povertà spinge alcuni gay anche nel campo filo-russo, è un problema di sopravvivenza.
È mattina, cosa preferisci tè o caffè? Preferisco il weekend. Dasha è così, odia il lavoro di ragioniera in una banca ucraina. Di solito è il giovedì sera che la incontriamo al Pomada, uno dei tre locali gay di Kiev.
Al Pomada da diverse settimane sui grandi schermi del bar i videoclip hanno lasciato spazio alle diapositive che raccontano gli avvenimenti della manifestazione anti-Ianukovic e a favore dell’Unione europea che si svolge a cento metri da lì, sulla piazza dell’indipendenza di Kiev, diventata l’epicentro di un vero e proprio campo di battaglia.
Kostantin, soprannominato Kostia, padrone del bar Pomada, non c’è molto spesso. Lo incontriamo o la sera molto tardi o la mattina presto, durante il giorno lo troveremo a Maidan mentre manifesta. Le decine di migliaia di persone che sono venute a manifestare contro il ritiro ucraino dai negoziati per l’ingresso nell’Unione Europea alla fine di novembre sono diventate centinaia di migliaia.
Il conflitto si è allargato a causa dei pestaggi dei militanti che sono stati fatti sloggiare la mattina presto dai poliziotti usando la violenza, il primo week end di novembre. Il movimento si è rafforzato ulteriormente dopo che il presidente Ianukovic ha firmato accordi economici con la Russia e Putin in cambio dell’alleanza ha promesso un finanziamento all’Ucraina per 15 miliardi di dollari. Ianukovic è accusato dai suoi oppositori di avere svenduto il paese.
Tra la Russia omofoba e l’Unione europea gay friendly la scelta dei gay è scontata. Ma non per tutti. Incontriamo Igor a notte fonda, freddo gelato nonostante i vari strati di vestiti che indossa.
Da 3 giorni e 3 notti Igor non dorme quasi niente, manifesta, ma non a piazza dell’Indipendenza a fianco dei filo-europei bensì molto lontano, al fianco dei sostenitori di Ianukovic.
Nel parco Marinsky che fiancheggia il parlamento sono centinaia le persone accampate. Per 300 grivna, circa 25 euro al giorno, Igor dà man forte ai filogovernativi. “Se non fossi pagato non manifesterei, non potrei permettermelo, devo lavorare” dice. Igor è gay ma questo non gli impedisce di preferire che l’Ucraina guardi alla Russia come ha fatto quasi sempre; è per motivi economici, nonostante l’omofobia russa.
Un’eventuale adesione all’Unione Europea avrebbe secondo lui conseguenze economiche disastrose, basta vedere quello che è successo alla Grecia.
Una sera alla settimana al Pomada fanno il karaoke. È martedì, il club non è pieno zeppo ma nemmeno deserto. Natascia, trentenne, sale sul palco. “Da dove vieni” le chiede la drag queen che anima la serata.
“Da Mosca” risponde la ragazza coraggiosa: un mare di buhhh echeggia nel locale. “Sono libera” urla Natascia un po’ indispettita e intona una canzone russa, che però tutti conoscono.
In un angolino del bar Boris e Artiom si lanciano sguardi inammorati. È un anno che stanno insieme, hanno 26 e 23 anni, vivono a Kiev ma sono originari di due città di provincia a 300 kilometri di distanza dalla capitale.
“La situazione è difficile per i gay in Ucraina” racconta il primo, “qua nessuno ci capisce, non possiamo mostrarci in pubblico e nemmeno camminare per mano”. Tuttavia l’Ucraina formalmente è un paese democratico, ma solo in apparenza, la coppia fa parte di quelli che si riuniscono a Maidan al lato dei filo-europei.
“Un accordo associativo con l’Unione Europea non cambierà molto le cose” sostiene Boris, “ma è una buona cosa che la maggioranza degli ucraini voglia entrare nell’Unione”. “Non sarà però sufficiente a far cambiare le mentalità rapidamente sulla questione gay, ci vorrà del tempo” aggiunge Artiom.
“Guardo l’Europa e mi piace, mentre ciò che può darci la Russia sono solo aiuti materiali: soldi e gas”. I due ragazzi tuttavia escludono che una legge omofobica venga adottata in Ucraina, sulla base di quella russa. L’Unione Europea non lascerebbe fare.
Dall’anno scorso i responsabili politici sorvegliano il loro linguaggio, spiega l’ultimo rapporto del consiglio che riunisce le associazioni omosessuali ucraine. Nel 2013 le autorità locali e nazionali hanno tenuto a freno le azioni apertamente omofobiche.
Per la prima volta dei rappresentanti dei gruppi gay hanno potuto esprimersi pubblicamente. Senza alcun dubbio questi cambiamenti positivi sono dovuti al fatto che gli sguardi dell’Unione Europea siano puntati su Kiev, tuttavia il popolo ucraino non è pronto a seguire le orme dell’Unione Europea nel campo dei diritti gay. Anzi, vi sono politici che giocano in chiave antioccidentale e filorussa la carta dell’omofobia e dell’Occidente degenerato galvanizzando le folle.
L’ex premier Kyala Azarov in un discorso ai suoi militanti sosteneva: “Per entrare nell’Unione Europea dobbiamo rispettare delle condizioni, le volete sapere? Legalizzare il matrimonio gay e adottare una legge sull’uguaglianza di diritti per le minoranze sessuali. La nostra società è pronta?”
Come in Russia, l’ottanta per cento degli ucraini è contrario alle relazioni tra persone dello stesso sesso e circa il 50% degli ucraini vorrebbe vietare ai gay stranieri l’ingresso nel paese. “La gente dice che siamo malati” racconta Oleg, che abita a Nicolaev, una città russofona nel sud del paese.
Oleg ci mostra le sue foto nello smartphone: Oleg in città, Oleg al mare, Oleg in slip, Oleg vestito da sposo. “Sì, sono sposato. Hai visto? Bella mia moglie, vero? È una cara amica, meglio così”.
Oleg incontra uomini su internet o su Vkontakte, una specie di Facebook russo, o nei locali gay, non per strada, ci mancherebbe, scherza il ragazzo. Un po’ come Igor, Oleg pensa che la priorità sia l’economia prima dell’integrazione nell’Unione Europea. Questo non gli impedisce ogni giorno di farsi strada tra le bandiere blu stellate che sventolano su piazza Maidan.
Al di là delle aspirazioni europee di molti ucraini, l’Europa è per loro infatti sinonimo e garanzia di democrazia e giustizia, ma è il basso livello di vita della gente che li preoccupa e che ha congelato il movimento di protesta.
Con stipendi modesti, che spesso non superano qualche centinaio di euro al mese, non vi sono per molte persone altre possibilità che condividere appartamenti con estranei e vivere in tanti amassati nella stessa stanza.
Olga lavora in un salone di bellezza, ha 30 anni e guadagna l’equivalente di 300 euro al mese. “Non ne posso più, non posso far nulla” dice la donna mentre guarda sospirando la decina di letti sovrapposti nella sua stanzetta.
“In questo appartamento vi sono inquilini di tutte le età, single o in coppia, siamo divisi in due stanzette, una per gli uomini una per le donne. L’ambiente però è simpatico e piacevole e le persone ci guardano stupite, alcune con simpatia ed altre con invidia”.
Verso la fine del nostro soggiorno ucraino, un ragazzo al Pomada ci ha frugato nelle tasche e ci ha trovato l’equivalente di un mese di stipendio. Colto con le mani nel sacco, ha paura. “Vi prego non chiamate la polizia”. In effetti è meglio non farlo. “La polizia odia i gay” ci spiega un’amica; “se vengono a sapere che è gay gli danno un sacco di botte”.
Poco dopo il nostro soggiorno nella capitale ucraina Dasha ci manda un articolo pubblicato nel giornale locale “Sconosciuti hanno distrutto un bar gay a Kiev.” All’alba, nella settimana in cui siam ripartiti uomini armati hanno fatto irruzione al Pomada e han distrutto il locale. Non ci sono vittime secondo l’articolo. E così il Pomada dopo un po di tempo ha riaperto.
Testo originale: Ukraine: entre deux barricades