In Uganda è guerra ai gay. David Kato, ucciso per aver detto ‘No’ all’odio
Articolo di Giampaolo Cadalanu tratto da Repubblica del 28 gennaio 2011, p.28
L’appello all’odio ha funzionato. «Impiccateli», diceva nell’ottobre scorso la prima pagina del tabloid Rolling Stone, annunciando la lista dei “cento più importanti omosessuali” d’Uganda, indicati con foto, nome e indirizzo di casa.
In copertina c’era David Kato, 46 anni, gay e attivista per i diritti umani. Kato è stato trovato morto mercoledì nella sua casa di Mukono, alla periferia di Kampala.
Ucciso con un martello, secondo la ricostruzione della polizia, che esita a confermare la pista dell’omofobia e privilegia invece l’ipotesi di un furto diventato omicidio. Ancora più prudente, com’è ovvio, è Gilles Muhame, giovanissimo direttore del giornale protagonista della campagna d’odio.
Sembra avere dimenticato i grotteschi titoli con cui avvertiva le famiglie che gli omosessuali volevano “fare razzia nelle scuole” per “reclutare almeno un milione di bambini innocenti”.
Oggi il bilancio è di un attivista ucciso e altri quattro aggrediti e malmenati nelle scorse settimane. E Muhame prende le distanze dal delitto, ci tiene a distinguere a ogni costo: «Non volevamo promuovere attacchi contro i gay, ma spingere il governo a prendere misure contro chi propaganda l’omosessualità ».
Insomma, la giustificazione è quella più ovvia: serve la legalità prima di tutto, non una giustizia sommaria. Tanto più che in Uganda gli omosessuali non possono sentirsi sicuri nemmeno davanti alla legge.
Nel Parlamento di Kampala è in discussione la proposta di legge firmata dal deputato David Bahati che prevede la pena di morte per gli omosessuali. Un’idea che lo stesso governo ugandese ha guardato con preoccupazione, timoroso di veder fuggire gli investimenti stranieri, e che ha fatto inorridire l’Occidente, suscitando le critiche di Obama e Hillary Clinton.
Ma forse quella visione così retriva delle scelte sessuali proprio dall’Occidente era ispirata: a gennaio dell’anno scorso il New York Times aveva raccontato di un convegno lanciato in Uganda da predicatori evangelici Usa esperti di “cura” degli omosessuali.
Il tema era la “minaccia” gay verso le famiglie tradizionali e i valori della Bibbia. In quest’atmosfera pesante David Kato aveva cercato di lavorare con la sua organizzazione, Sexual Minorities Uganda. Ma non era stato un impegno facile.
Invitato in Italia dalla Cgil nell’autunno scorso, Kato aveva raccontato dei problemi e delle minacce: «Durante le udienze in tribunale era protetto da volontari delle Ong e difeso da diplomatici occidentali, che lo avevano salvato da diversi tentativi di linciaggio», ricorda Maria Gigliola Toniollo, responsabile Nuovi diritti del sindacato.
«Ormai viveva segregato, potevamo comunicare quasi soltanto attraverso Facebook», aggiunge Matteo Pegoraro, del Gruppo Everyone. In serata la polizia ha comunicato il nome di due uomini accusati dell’omicidio, insistendo sull’ipotesi di un delitto legato a un furto in casa. Uno dei due sarebbe un ex detenuto per cui David Kato aveva versato la cauzione.
Ma l’assassinio ha comunque rilanciato lo sdegno occidentale: il Dipartimento di Stato Usa si dice «inorridito », il Parlamento europeo chiede «che sia fatta luce sul delitto», dall’Italia arrivano le condanne di Radicali, Arcigay, Cgil e Gruppo Everyone. E le reazioni alla morte di Kato, anche se provocata da un ladro, potrebbero forse rallentare il percorso della misura anti-gay, che altrimenti in Uganda rischia di diventare legge dopo le elezioni presidenziali di febbraio.