In Ungheria con l’ipocrisia omofoba di padre Bese
Riflessioni di Massimo Battaglio
Un paio di giorni fa, il quotidiano on line Dagospia è uscito con una delle sue infografiche taglienti a proposito di un prete ungherese, Padre Bese, notissimo per la sua amicizia e le sue collaborazioni con Orban nonché per le sue prese di posizione intransigenti e reazionarie – compresa ovviamente un’omofobia sbandierata ai quattro venti. Ecco l’apertura dell’articolo:
“Ha ragione papa Francesco: nella chiesa c’e’ troppa frociaggine! Peter Gergo Bese, parroco ungherese noto per le sue posizioni omofobe, è stato beccato mentre partecipava a delle orge gay. Alcuni dei rapporti omosessuali a cui presenziava il prete sono stati filmati e postati su siti per adulti, dove il don è stato riconosciuto. Padre Bese era il prediletto di Orbán, tanto che il presidente gli aveva fatto anche benedire alcuni uffici del governo”.
Potremmo liquidarla come l’ennesima storiella boccaccesca che incastra un prete come tanti. Solo che, in primis, Bese non è un prete come tanti ma appunto un notissimo collaboratore stetto del regime ultra-cattolico ungherese e, quindi, il suo esempio conta. E in secundis, ci saremmo anche un po’ rotti le scatole, a forza di registrare periodicamente storielle come questa. Siamo stufi di chi fa la morale agli omosessuali in nome di Dio salvo poi vivere l’omosessualità nel più immorale dei modi.
Per carità, non facciamo i bacchettoni. Ognuno è libero di gestire la propria sessualità secondo la propria coscienza, purché non coinvolga minori o persone non consenzienti. Ma, da chi si fa paladino della morale di Dio, non è esagerato chiedere qualcosa in più. Perché nessun Dio e nessuna religione ammettono l’esercizio della sessualità senza regole. E nessuna morale promuove il sesso al di fuori di un rapporto stabile, fedele e basato su qualcosa di più del puro sfogo ormonale.
Ma soprattutto, nessuna morale, religiosa o laica che sia, ammette l’ipocrisia, il predicare in un senso e razzolare nel senso opposto. Gli ipocriti, prima ancora dei fornicatori, sono i primi immorali. Se poi l’ipocrisia si esplica in una condanna pesante e pericolosa verso gli altri, a cui fa da contraltare una licenziosa assoluzione verso se stessi, siamo davvero messi male.
Non sorprende che questi atteggiamenti si registrino quasi sempre in ambienti conservatori e tradizionalisti. Ormai siamo abituati a constatare che i peggiori omofobi sono in realtà omosessuali irrisolti, che a volte si reprimono e, più spesso, non si reprimono affatto. Il caso di padre Bese pone alcune questioni per come si sta sviluppando.
Prima questione: la reazione della Chiesa ungherese
Essa, nella persona dell’arcivescovo Kalocsa-Kecskemet, è immediatamente intervenuta, su pressione dello stesso Vaticano, sospendendo il prete dalla doppia vita. Un tempismo tale da creare sospetto. Come se si volesse dimostrare che si tratta di un caso isolatissimo, che non mette in discussione la linea ufficiale, cioè quella del conservatorismo spinto fino all’appoggio di una quasi-dittatura.
Ma siamo sicuri che si tratti solo di una mela marcia? Se così fosse, perchè tutta questa fetta? E perché, proprio alla mela marcia, era stata accordata tanta fiducia nel gestire rapporti con la politica?
Seconda questione: la reazione dello stesso padre Bese
Il sito ungherese civilek.org riporta una lunga lettera aperta dello stesso padre Bese, in cui egli ammette di aver “fatto un errore” (caspiterina, proprio una piccola cazzata!) ma gira immediatamente la frittata:
“Ieri – si legge – è stato uno dei giorni più bui della mia vita e di quella della mia famiglia – Che c’entra la famiglia? – È un’esperienza difficile affrontare il potere dei media e della politica. Non solo ti solleva e ti esalta, ma ti manda anche all’inferno in un istante. Usano la mia debolezza contro la mia Chiesa e la mia comunità, cercano di causare quanti più danni possibile.
Ho fatto un errore. Sono stato sfruttato; la mia ingenuità è stata sfruttata e ho perso il mio buon senso. Ho peccato contro la Chiesa e la mia comunità. Ho infranto il mio voto sacerdotale, ho commesso un peccato. Chiedo scusa a tutti quelli che ho ferito, a tutti quelli che ho deluso.
Ma ho svolto il mio servizio sacerdotale e il mio lavoro di insegnante con la migliore conoscenza e l’enorme energia che potevo. Sono molto grato per le grazie che ho ricevuto, per l’amore delle persone e per il fatto che nella mia professione ho avvicinato molte persone a Dio e alla mia Chiesa. Ora con la mia sospensione questo servizio termina. Grazie per aver contattato tutti coloro che hanno offerto il loro aiuto e, naturalmente, coloro che mi sostengono con le loro preghiere.
Nelle prossime settimane voglio andare in pensione, calmarmi, praticare la penitenza e ripensare la mia vita. Nel Vangelo di Matteo, Gesù dice ai suoi discepoli: “Se qualcuno vuole seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi la perderà per causa mia la ritroverà.”
Praticamente, è tutta colpa di qualcun altro e soprattutto dei media, tanto per cambiare.
Terza questione: le reazioni dei reazionari
Da più parti, i media conservatori ungheresi e non solo sottolineano che il caso ha scatenato le “accuse delle sinistre”, cercando di dimostrare che esse sono ancora più gravi degli atti di padre Bese stesso. Ok, è una tecnica vecchia come il mondo.
Ma a costoro bisognerebbe ricordare che non è “la sinistra” ad essere stata sorpresa in prassi scabrose e discutibili, ma un esponente clericale della destra più estrema. Di più, non è nemmeno “la sinistra” a condannare tali prassi, ma proprio la parte politica di chi le ha appena compiute. Chi la fa, l’aspetti, diceva mia nonna. Male non fare, paura non avere, aggiungeva sua sorella, che non era mica tanto di sinistra.
Forse sarebbe utile ricordare che episodi come questi, negli ambienti della destra ungherese, non sono nemmeno nuovi. Una per tutte, rammetiamo la storia dell’europarlamentare József Szájer, beccato, nel novembre 2020, nel pieno di un’orgia gay a Bruxelles insieme ad altre ventiquattro persone. Ne avevamo parlato anche su Progetto Gionata. Tutti di sinistra tranne lui?
Ora
Senza scivolare nella dabbenaggine di Dagospia che finisce per dare ragione a papa Francesco quando dice che nella Chiesa c’è troppa frociaggine (quella frase resta inqualificabile e dice quanto machismo tossico regna anche nelle assise dei vescovi), occorre riconoscere che, un po’ di ragione, pure il Papa ce l’ha quando parla della “rigidità”:
“La rigidità è una perversione che viene proprio dal clericalismo, è una cosa brutta. Sotto qualsiasi rigidità c’è putredine, sempre”.