Inchiesta. Essere cristiano e omosessuale in Francia
Articolo di Martine Gross tratto da Sociétés contemporaines, 2008/3, n.71, pp.67-93, liberamente tradotto da Marco Casella
Il seguente articolo, basato su un’inchiesta quantitativa e qualitativa, esplora il modo in cui i Cristiani omosessuali gestiscono queste dimensioni identitarie. Il percorso di coloro che lasciano una chiesa tradizionale per una chiesa detta inclusiva somiglia a quello di una conversione. Le loro testimonianze illustrano le varie tappe di questo percorso: il caos, la rottura e la rimessa in senso.
Come in ogni conversione, essi devono liberarsi dalla loro appartenenza iniziale, qui si tratta perlopiù di vassallaggio alla Chiesa cattolica, considerata come l’unica istituzione legittima.
Tutti i Cristiani omosessuali non sono pronti a questa in appartenenza, molti di loro continuano a frequentare chiese tradizionali, il che spiega il piccolo numero di chiese inclusive in Francia. Le inchieste di questo studio applicano strategie identitarie simili a quelle descritte dagli studiosi britannici o nordamericani che hanno preso in esame questo tipo di popolazione, ma con aspetti specifici della Francia.
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CONTESTO
Il presente lavoro descrive la situazione dei cristiani omosessuali in Francia, ovvero in un contesto di impregnazione culturale cattolica e molto secolarizzato. Il Cristianesimo è stato introdotto in Francia nel II secolo. A partire dal IX secolo, la fede, i simboli e il calendario liturgico cattolici furono al centro della vita popolare in Francia.
La Rivoluzione Francese e la separazione della Chiesa e dello Stato nel 1905 hanno in seguito fatto della Francia un paese laico. L’influenza del cattolicesimo, relegato come religione alla sfera privata, si è andata assottigliando tanto dal punto di vista della pratica (calo della frequenza di un luogo di culto, calo del numero dei preti, dei battesimi e dei matrimoni) che della credenza in Dio o dell’appartenenza.
Secondo una recente inchiesta (Lenoir, 2007), la pratica regolare riguarda il 10% dei Francesi nel 2006, che sono sempre meno numerosi nel rivendicare un’appartenenza al cattolicesimo e sempre più numerosi a considerarsi « senza religione ».
Quelli che si dichiarano cattolici hanno preso le distanze dalle istituzioni, in particolare quando si tratta di questioni legate ai costumi, alla morale e alla disciplina. La vita religiosa ricercata, se si considera necessario averne una, è quella che « fa del bene », che apporta un supplemento alla realizzazione delle potenzialità personali di ognuno, incontrando gli imperativi moderni del compimento e della soddisfazione personale (Hervieu-Léger, 2003).
Le posizioni del Vaticano in materia di costumi e di sessualità stabiliscono di fatto un abisso tra la norma alla quale si riferiscono queste posizioni espresse dall’alto e l’universo morale nel quale le persone evolvono rivendicando la loro autonomia.
La questione omosessuale come si pone per il periodo contemporaneo nella Chiesa cattolica francese non ha suscitato studi sociologici ad eccezione di quello di Hélène Buisson-Fenet (2004) o quello più generale e storico di Florence Tamagne, di cui un capitolo affronta gli aspetti religiosi della stigmatizzazione sociale. Questi lavori hanno preso maggiormente in esame sia le posizioni dell’istituzione clericale che i percorsi biografici degli omosessuali cristiani.
I lavori sulla vita degli omosessuali cristiani in Francia sono oggetto di teologi, preti e religiosi, o ancora di giornalisti. È nei lavori anglosassoni che si troveranno studi che esplorano l’articolazione tra riferimento religioso e identità omosessuale. Gran parte di questi lavori anglosassoni si interessano ai protestanti e agli anglicani lasciando nell’ombra i cattolici.
A differenza di quello della Francia e dei paesi latini, il contesto religioso dei paesi anglosassoni è pluralista. Infatti, le chiese protestanti, che si tratti degli Stati Uniti o della Gran Bretagna, non sono organizzate attorno ad un’istituzione centrale come lo sono le chiese cattoliche.
Il pubblico che frequenta queste chiese può scegliere quella la cui apertura e il cui rigore corrisponde meglio e reciprocamente. Queste chiese possono adattare il proprio discorso al pubblico. La celebrazione religiosa di unioni omosessuali o l’ordinazione di omosessuali sono dibattute e accettate all’interno di alcune chiese.
Alcune chiese gay si sono così moltiplicate in Inghilterra come negli Stati Uniti. Il presente studio riguarda quindi un contesto molto diverso.
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METODOLOGIA
Per esplorare come i gay e le lesbiche cristiane gestiscono le due dimensioni identitarie, i dati utilizzati sono tratti da tre fonti: testimonianze redatte dai membri delle chiese inclusive , un’inchiesta con questionario e interviste semidirettive ad alcuni chierici.
Le testimonianze autobiografiche sono state unite in una raccolta (Sereno, 2005) il cui scopo specifico era di rendere servizio ad altri credenti omosessuali indicando loro una possibile via di integrazione delle loro dimensioni identitarie: la comunità inclusiva1.
La lettura di questa raccolta di testimonianze ha orientato tale studio verso l’idea che il cammino verso una chiesa accogliente andava di pari passo con un percorso di conversione la cui testimonianza costituiva l’ultima tappa, quella del discorso di esemplarità (Hervieu-Léger, 2001).
L’inchiesta era composto da un questionario di 250 domande delle quali alcune aperte consentivano agli intervistati di testimoniare liberamente o di esprimere più largamente le loro opinioni tanto sulle loro credenze e pratiche quanto sulle loro attitudini, il loro coinvolgimento all’interno del mondo gay e lesbico o all’interno di una parrocchia. Inizialmente concepito da Andrew Yip, sociologo all’università di Nottingham Trent per esplorare questi temi nel Regno Unito, il questionario è stato adattato alla Francia.
È stato diffuso per posta (4000 esemplari) su tutto il territorio nazionale nei gruppi cristiani accoglienti persone omosessuali e nei gruppi e nei media lesbici in grado di accogliere membri o lettori cristiani. Alcuni annunci sono stati pubblicati nella stampa cristiana, e manifesti indicanti l’esistenza dell’inchiesta e la possibilità di scaricarla da Internet sono stati deposti nelle chiese e nei luoghi gay del quartiere di Marais a Parigi.
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DESCRIZIONE DEL CAMPIONE
L’inchiesta ha consentito di raccogliere le risposte di 311 uomini e di 84 donne. La stragrande maggioranza è cattolica (89% cattolici, 6% protestanti e 5 % di altra confessione cristiana). La proporzione dei cattolici riflette quella dei cristiani in Francia. La sotto-rappresentazione delle donne può invece sorprendere quando si sa che le donne cattoliche sono più numerose da praticare. Inoltre, stando alle valutazioni statistiche dell’INED, il numero di lesbiche che si dichiarano in quanto tali (4% della popolazione) non è inferiore al numero di gay (5% della popolazione).
Tale sotto-rappresentazione delle donne può spiegarsi con il modo di reclutamento nella rete associativa gay e lesbica. Quest’ultima è effettivamente nota per essere maggiormente frequentata dagli uomini, ad eccezione dell’associazione dei genitori gay e lesbici. Tutte le associazioni di omosessuali cristiani contattati hanno diffuso il questionario accompagnato da un testo incitatore insieme ai loro aderenti. Se nessun elemento del questionario consente di conoscere esplicitamente il mezzo con il quale gli intervistati sono stati contattati, è tuttavia probabile che coloro che hanno risposto di aderire ad un’associazione omosessuale a riferimento cristiano o non, siano venuti a conoscenza dell’inchiesta con il loro intermediario. Solo 116, ovvero il 29% del campione, non appartengono a nessuna associazione e sono stati quindi reclutati al di fuori della rete associativa.
Il campione formato dagli intervistati non vuole rappresentare la popolazione degli omosessuali cristiani. Nella misura in cui gli individui in primo piano il proprio orientamento sessuale, è difficile, se non impossibile, ottenere un campione realmente rappresentativo di questa popolazione « invisibile ». Ciononostante, tale studio nazionale realizzato su grande scala consente di esaminare alcune ipotesi a partire da questa popolazione, ovvero persone che si identificano come omosessuali e cristiane al punto che questa doppia dimensione identitaria sia sufficientemente motivante per rispondere a un lungo questionario e per alcune di queste persone che sono coinvolte all’interno di associazioni che raggruppano omosessuali cristiani.
Gli intervistati vanno da 16 a 70. Più di tre quarti hanno tra 26 e 55 anni e la media di età è di 42 anni. Essi possiedono un elevato capitale scolastico. I due terzi del campione sono in possesso di master o dottorato. Essi sono per la maggior parte attivi e hanno risorse economiche non trascurabili. Essi sono ripartiti su tutto il territorio e in comuni di ogni dimensione.
Gli intervistati dichiarano di essere cristiani credenti e molti di loro sono praticanti. Per il 76%, Dio è un essere vicino e per l’80% è un essere con il quale si può intrattenere una relazione intima e reciproca. Il 65% dichiara di pregare tutti i giorni o varie volte la settimana e di leggere regolarmente la Bibbia. Il 65% dichiara di frequentare una parrocchia e, tra di loro, quasi tre quarti partecipano attivamente alla vita di questa parrocchia.
Questi dati descrivono una popolazione molto più praticante della media dei Francesi2. In un paese in cui la religione segna un forte declino, può sorprendere che i cristiani omosessuali dimostrino una tale religiosità. È probabile che quelli che hanno voltato le spalle alla religione o quelli per i quali la religione non è mai stata essenziale non abbiano risposto al questionario, tanto più che la lunghezza del questionario ha necessitato un considerevole investimento di tempo, e quindi una motivazione importante.
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NON ANDARE PIÙ IN CHIESA SEGNA UN DECLINO DELLA FEDE?
Centosettantuno persone (44%) affermano di non frequentare o di non frequentare più la chiesa. La condanna dell’omosessualità e il discorso dei rappresentanti della Chiesa sono le ragioni menzionate più frequentemente (36 persone, 21%) e essenzialmente da cattolici. 34 persone, ossia il 96% dei 36 che hanno avanzato questo motivo, sono cattoliche.
Evitare il luogo di culto è un modo efficace di ridurre la tensione interna tra l’appartenenza religiosa cattolica e l’identità sessuale condannata. Da un lato, infatti, la maggior parte (113 persone, 67%) afferma di sentirsi oggi del tutto a proprio agio con l’omosessualità e, dall’altro, un numero relativamente basso (23 persone, 13%) dichiarano che la loro fede è stata indebolita dalla loro omosessualità.
Solo 3 persone (2%) affermano di non frequentare più la Chiesa perché hanno perso la fede. La seconda causa di defezione, assai lontana dalla prima, è il fatto di intrattenere un rapporto personale con Dio che passa attraverso la Chiesa, o ancora il fatto di preferire un altro tipo di comunità di credenti. Il non frequentare la Chiesa traduce così la possibilità di mantenere la propria fede, senza reprimere il proprio orientamento sessuale, in un non-declino della fede. Questa si esprime allora attraverso una costruzione religiosa individuale.
Solo 20 persone (5% del campione) dichiarano di avere trovato una chiesa più accogliente o inclusiva, ossia una chiesa che pratica un’accoglienza particolarmente benevola delle minoranze sessuali. Sono persone più giovani del resto del campione (11 persone su 20, ovvero il 55%, hanno meno di 35 anni) che partecipano molto attivamente alla vita della Chiesa (in media, più di quattro ore a settimana). Esse vi aderiscono per riconciliare fede e sessualità e per militare (fare evolvere la società, la chiesa e lottare contro l’omofobia).
Nessuno di loro spera di cambiare orientamento sessuale. Solo 3 persone (15%) affermano che non è l’ideale, tutte le altre dichiarano di essere del tutto a proprio agio con la propria omosessualità. Tra coloro che dichiarano di aver trovato una chiesa accogliente, le risposte « rafforza la mia fede cristiana » (13 delle 20 persone, ovvero il 65%) o « la mia sessualità è un’espressione della mia fede » (9 persone su 20, ovvero il 45%) alla domanda « qual è l’impatto della vostra sessualità alla vostra fede cristiana? » indicano un’integrazione delle due dimensioni identitarie omosessuale e religiosa in quelli che hanno trovato una chiesa inclusiva.
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CHE NE È DI QUELLI CHE FREQUENTANO UNA CHIESA TRADIZIONALE3 MALGRADO LA CONDANNA DELL’OMOSESSUALITÀ ESPRESSA DALLA CHIESA-ISTITUZIONE?
221 intervistati dichiarano di andare in Chiesa, ovvero 56% del campione. Più di due terzi di quelli che vanno in Chiesa non si accontentano di assistere alla messa domenicale: essi partecipano alla vita della loro parrocchia dedicandovi molto tempo (in media tre ore e quarantacinque minuti a settimana). Essi sono coinvolti nell’organizzazione di attività parrocchiali4.
Anche qui viene constatato uno scarto notevole con quello che è stato reperito a proposito dei cattolici praticanti in Francia dei quali il 25% sono coinvolti come volontari in un’organizzazione di tipo religioso o parrocchiale. Se il 21% delle inchieste considera la chiesa che frequentano come ostile al tema dell’omosessualità, quelli che vi dedicano del tempo al di fuori della celebrazione del culto sono più numerosi (37% vs. 33%) nel trovarla benevola su questo tema.
Queste risposte indicano che l’atteggiamento della parrocchia non riflette il discorso ufficiale della Chiesa-istituzione. La parrocchia viene vissuta come più benevola dall’omosessualità quanto le proposte avanzate dai rappresentanti ufficiali dell’istituzione non lo lascino presagire. Questa distanza tra magistero e pastorale è descritta da Hélène Buisson-Fenet (Buisson-Fenet, 2004) nel dossier sulla Chiesa cattolica e l’omosessualità maschile in Francia.
Tre aspetti possono apportare un chiarimento sulla gestione delle tensioni identitarie dei parrocchiani omosessuali: il loro coinvolgimento o meno nella vita della Chiesa, la loro posizione personale nei confronti della morale sessuale decretata dalla Chiesa e la loro appartenenza alla Chiesa malgrado la condanna dell’omosessualità.
La maggior parte (148 persone, 67%) di quelli che frequentano la Chiesa hanno mal vissuto la scoperta della loro attrattiva per le persone dello stesso sesso. Per 90 di loro (41%) l’omosessualità sfida la loro fede cristiana. La tensione è quindi viva per un numero non trascurabile. Quelli che partecipano alla vita della loro parrocchia sono però un po’ meno numerosi di quelli che si accontentano di andare a Messa senza essere maggiormente coinvolti, nell’aver mal vissuto la scoperta della propria omosessualità e a dire (33% vs. 46%) e nel dire che questa sfida la loro fede cristiana. Essi sono anche più numerosi nel dichiarare che essa rafforza la loro fede (43% vs 25%). Questi risultati indicano che partecipare attivamente alla vita della Chiesa rafforza il mantenimento della fede e agevola la gestione delle due dimensioni identitarie malgrado la condanna ufficiale dell’omosessualità.
Di fatto, partecipare alla vita della parrocchia consente di essere riconosciuto anche come omosessuale, a costo di far restare una parte di sé nell’ombra. Infatti, il 40% delle persone che frequentano un luogo di culto non hanno rivelato a nessuno la propria omosessualità. Per il 37%, l’orientamento sessuale è in parte conosciuto dai parrocchiani. Esso è conosciuto da tutti solo per il 15%. Il coming out appare meno frequente nella sfera religiosa che altrove. Statisticamente, il livello di visibilità all’interno della parrocchia è legato a due parametri: la qualifica della chiesa come benevola o ostile sull’argomento dell’omosessualità e il livello di partecipazione alla vita della parrocchia.
Quelli che considerano la propria chiesa benevola e quelli che partecipano alla vita della loro parrocchia sono infatti significativamente più numerosi (65% vs. 34%) nel non dissimulare la propria omosessualità. Invisibilità e partecipazione attiva all’interno della parrocchia sono quindi due strategie che agevolano la gestione del vissuto identitario conflittuale. La partecipazione attiva elimina gli aspetti insostenibili dei discorsi ufficiali a vantaggio di un sentimento di appartenenza ad una comunità di credenti. L’invisibilità, dal canto suo, mantiene l’identità sessuale della persona in spazi e tempi differenti da quelli della Chiesa.
Interdetta dall’esercitare il proprio magistero sul terreno politico, la Chiesa ha trovato su quello dei costumi e della famiglia il mezzo per continuare a controllare la coscienza e il corpo. La separazione radicalmente stabilita tra l’ordine dello spirito e quello della carne ha condotto ad una morale universale il cui asse principale è un sospetto che colloca tutto ciò che si riferisce al commercio dei sessi dal lato del peccato. Il Vaticano si esprime regolarmente per enunciare la dottrina cattolica in materia sessuale. Ne consegue il rifiuto all’aborto anche in caso di stupro o di incesto, alla contraccezione, ad ogni assistenza medica alla procreazione anche tra membri di una coppia sposata, ai rapporti sessuali fuori dal matrimonio o all’omosessualità, al divorzio e all’ordinazione delle donne, ma anche all’importanza del celibato sacerdotale.
Anche se il 91% dei cattolici francesi praticanti hanno, secondo l’inchiesta CSA, una buona opinione della Chiesa cattolica, non sono meno critici su alcuni punti della dottrina. Il 63% dei cattolici praticanti sono favorevoli all’ordinazione delle donne e il 69% al matrimonio dei preti. Il discorso della Chiesa in materia di costumi coniugali, familiari e sessuali costituisce, fin dalla pubblicazione, nel 1968, dell’enciclica Humanae Vitae che vieta, tra l’altro, ogni assistenza medica alla procreazione, il luogo in cui si scioglie la presa del cattolicesimo sulla cultura del suo tempo.
In maniera generale, i cristiani omosessuali del presente studio disapprovano il discorso ufficiale delle Chiese sull’omosessualità. Quelli che vanno in Chiesa sono tuttavia più numerosi di quelli che non vanno, nel disapprovare questo discorso e nell’esprimere opinioni conformi alla dottrina cattolica. Essi sono, per esempio, perlopiù d’accordo che un rapporto sessuale deve essere potenzialmente procreativo o che il matrimonio eterosessuale è l’ideale di ogni vita sessuale cristiana. Essi si mostrano meno critici tanto verso l’esegesi tradizionale cristiana dell’omosessualità quanto verso la morale sessuale della dottrina cattolica sul divorzio, sull’aborto o sui rapporti eterosessuali fuori dal matrimonio.
Un confronto con i risultati dell’inchiesta condotta in Gran Bretagna è in corso di elaborazione e sarà oggetto di un’ulteriore pubblicazione. Un primo sorvolo dei dati mostra tuttavia che i partecipanti francesi e britannici sono generalmente in disaccordo con le posizioni ufficiali delle chiese sull’omosessualità, ma che il campione britannico lo è di più rispetto a quello francese.
Indipendentemente dalla frequenza di un luogo di culto, perché alcuni restano legati alla Chiesa mentre i discorsi ufficiali ne condannano l’orientamento sessuale? 72 partecipanti (ovvero il 18% del campione) hanno redatto una risposta a questa domanda aperta. Le risposte dipendono dal significato accordato al termine chiesa. Tre significati vengono attribuiti a questo termine dai partecipanti, che passano dall’una all’altra, a volte all’interno di una stessa frase: la chiesa nel senso di luogo di culto (parrocchia, tempio), la chiesa in senso metaforico di « riunione dei credenti » o la Chiesa vista come l’istituzione che emana la dottrina e i discorsi ufficiali.
Alla domanda dell’appartenenza alla Chiesa malgrado la condanna dell’omosessualità, alcuni rispondono che « lei è la Chiesa di Gesù Cristo, noi siamo i figli » (chiesa come riunione dei credenti). Essi sperano che essa evolverà, che malgrado i suoi difetti è lei che ha fatto loro scoprire l’amore di Dio e credono ai valori o ad alcuni dei valori della Chiesa (Chiesa-istituzione). Per un certo numero è un luogo in cui vivere la propria fede (chiesa-parrocchia) e ritrovare una comunità di credenti.
Quale che sia il significato attribuito, le risposte indicano che i partecipanti restano quindi legati alla chiesa, malgrado ciò che possono rimproverargli, per via di un sentimento di appartenenza che si scioglie a fatica. L’esigenza di autenticità che caratterizza la modernità può condurre coloro che si riconoscono credenti come ferventi cattolici e come omosessuali da confrontare ad una dissonanza cognitiva più o meno intensa. Si tratta ora, attraverso testimonianze e interviste, di inquadrare meglio la gestione di questa dissonanza.
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HO ANCHE INCONTRATO CRISTIANI OMOSESSUALI…
La dissonanza è intensa per quelli che aderiscono alla dottrina (che condanna le loro pratiche e l’identità sessuale) ma che non partecipano alla vita di nessuna chiesa. Nella sua intervista, Serge menzionava: « Quando si appartiene al corpo di Cristo, non si può starsene in disparte . […] è per questo che non ci vado più. A volte la solitudine conduce a difficoltà interne molto forti, talmente forti che possono portare al suicidio. Ho pensato al suicidio perché mi sono sentito parzialmente o completamente escluso dalla Chiesa. »
L’inchiesta mette in evidenza alcune delle strategie utilizzare per ridurre la dissonanza cognitiva: la rinegoziazione identitaria, l’evitamento, la reinterpretazione, la gestione personale della fede, e l’integrazione delle identità inizialmente contraddittorie.
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RINEGOZIAZIONE IDENTITARIA
Una delle strategie di riduzione della dissonanza cognitiva consiste nel modificare il comportamento che crea la dissonanza. Per quanto riguarda i cristiani omosessuali, eliminare il comportamento sociale alla base del conflitto può essere ottenuto con una rinegoziazione identitaria: si tratterà sia di distaccarsi o di disinteressarsi dell’appartenenza religiosa sia di rifiutare l’identità omosessuale, sia ancora di compartimentare, ovvero di mantenere separate le due identità. Come precedentemente indicato, tutti i partecipanti del campione si considerano ferventi cristiani. Il rifiuto dell’identità religiosa non fa parte delle strategie alle quali fanno ricorso per attenuare la tensione.
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REPRIMERE L’OMOSESSUALITÀ
Reprimere l’omosessualità è una delle opzioni per gestire il dilemma identitario. Alla domanda « tra le situazioni seguenti, qual è la più conveniente? » un certo numero ha risposto astinenza o matrimonio eterosessuale. Questi si ritrovano in gran parte tra coloro che frequentano una chiesa tradizionale e che sono meno critici verso le posizioni istituzionali. Alcuni di loro lottano anche contro le proprie inclinazioni omosessuali.
Uno di loro risponde alla domanda « Come avete gestito la situazione (dopo avere scoperto la vostra omosessualità) ». « Penso che l’omosessualità è un “vizio di forma” della mia identità, come altri nascono con una gamba di traverso o un deficit mentale. Il Cristo salvatore del mondo ci chiama a superare i nostri handicap e a portare la nostra croce senza mentirci sulla nostra condizione di uomo sottomesso al peccato ma con una meravigliosa misericordia. Dio è più grande delle mie mancanze. »
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COMPARTIMENTARE
Separare la propria vita sessuale da quella religiosa è un altro modo di gestire la contraddizione. Un partecipante scrive: « Separo la mia vita sessuale dalla mia vita in chiesa. Non ho bisogno dei preti. Dio mi ama come sono perché ama tutti. Sono quello che sono e penso che l’omosessualità e la religione non siano indissociabili. » Alla domanda « Perché restate legati alla Chiesa? » un uomo di chiesa omosessuale risponde. « È il luogo in cui esercito il ministero che amo: l’annuncio del Vangelo. Dissocio questo ministero dalla mia vita privata. »
Dissimulare il proprio orientamento sessuale quando si frequenta un luogo di culto è spesso un segno di compartimentazione. Il termine indica una strategia di compromesso consistente nel mantenere separate le identità in conflitto, religione e vita omosessuale. Quando il livello di compartimentazione è elevato, l’omosessualità non è conosciuta da nessuno nella parrocchia frequentata.
Alla domanda « Qual è stato l’impatto della vostra sessualità sulla vostra fede? », un partecipante ha detto: « Penso che la mia fede non abbia niente a che fare con la mia sessualità… la fede è arrivata un giorno e non è mai ripartita, coniugarla con la mia sessualità è un’idea strana! ». Queste persone non cercano di conciliare la fede con la sessualità poiché una tale conciliazione andrebbe a contraddire il sistema di valori ai quali aderiscono, ma soffrono più o meno di questo stato di cose.
Jean-Marc: « Da una parte c’era il cristiano entusiasta, dell’altra l’omosessuale che moltiplicava gli incontri di una sera. Non riuscendo a integrare la mia fede e la mia omosessualità, la mia sessualità era diventata compulsiva. Questa doppia vita è diventata insopportabile.»
Serge (intervista): « Questo paradosso è sempre molto presente. Non riesco ad essere sempre presente in un gruppo senza mentire, essere un po’ impostore e appartenere a questo gruppo e, allo stesso tempo, nascondere qualcosa di cui si sa che se viene rivelato sarà rifiutato… […] Ma non riesco ad essere credente fuori dalla Chiesa. Non si può essere credenti al di fuori di un gruppo. Nello stesso tempo, non posso andare in un gruppo di omosessuali che professa la propria fede prendendo le distanze dalla Chiesa. »
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INTEGRARE
Un’altra possibile risoluzione della tensione tra queste due dimensioni identitarie è l’adesione ad una comunità di credenti esprimendo un punto di vista positivo sull’omosessualità. Rodriguez e Oullette hanno trovato nel loro studio dei membri della Metropolitan Community Church di New York (MCC/NY) che è una chiesa particolarmente accogliente per gli omosessuali.
In primo luogo, gran parte dei partecipanti era riuscita ad integrare le due dimensioni cristiana e sessuale e, in secondo luogo, il livello di integrazione era legato al livello di coinvolgimento nella MCC/NY (Rodriguez/Oullette, 2000).
Moshe Shokeid, nella sua etnografia della sinagoga gay di New York, spiega che la frequenza di questa sinagoga « era per molti dei suoi membri una restaurazione dell’immagine di se stessi, una ricostituzione delle parti disunite di sé in un tutto coerente» (Shokeid, 1995).
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1 Le chiese inclusive sono chiese che, anche se aperte a tutti, accolgono in particolare le minoranze sessuali. Esse sono diverse da quelle dette gay-friendly che sono solo benevole ma che restano soprattutto chiese tradizionali, come quella di Saint-Merri, a Parigi. Una chiesa inclusiva aiuta in particolare i fedeli a riconciliare omosessualità e identità cristiana. Le chiese inclusive in Francia sono raggruppate sotto il nome di Carrefour des Chrétiens Inclusifs (http://cci.blogspirit.com) e riuniscono le associazioni e le comunità cristiane seguenti: il Centre du Christ Libérateur, il gruppo Chrétiens LGBTH 31, la Communion Béthanie, la Chiesa MCC di Montpellier, il gruppo fraterno di Lille, il gruppo Lambda della cattedrale americana di Parigi, Présence 75 de Paris, Rendez-vous Chrétien de Lille.
2 Come indica l’inchiesta CSA realizzata per il Mondo delle religioni nel 2006, soltanto il 17% dei cattolici frequentano regolarmente la Chiesa, di cui un terzo partecipa alla vita della parrocchia, il 25% prega tutti i giorni o almeno una volta la settimana. Il 18% dei cattolici credenti in Dio lo rappresentano come un essere con il quale possono entrare in relazione personale.
3 In questo articolo, l’espressione « chiese tradizionali » si riferisce alle chiese in generale, ovvero non in particolare note per la loro apertura alle minoranze sessuali.
4 Essi sono in particolare coinvolti nei gruppi di condivisione, nei gruppi di studio biblico, nel catechismo, nei consigli parrocchiali, nella corale, nella preparazione ai sacramenti, in altre attività caritative o sono responsabili di un movimento associativo cristiano.
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Testo originale: Être chrétien et homosexuel en France